LETTERE AFRICANE di Vittorio Gorresio

LETTERE AFRICANE LETTERE AFRICANE di Vittorio Gorresio ni Respingendo le accuse, piangeva e strillava la moglie dichiarata fedifraga, una donnina ben messa carica di collane e braccialetti, lustra la zazzera bruna imburrata, con goccioline di grasso brillanti al sole. Aveva un ombrello che agitava in aria, ma al termine di ogni asserzione di qualche importanza lo conficcava in terra come per fissare un principio. La sua tesi era che il marito la trascurava facendole mancare il necessario. Sposa di un commerciante ricco, era costretta a andare in giro per Addis Alèni in vilissime vesti, se non stracciate: avesse avuto amanti, un guardaroba migliore se lo sarebbe potuto procurare mercé gli illeciti guadagni: ed invece. Ma il dui) nò non le crede, e la condanna a restituire collane e braccialetti avuti in dono dal marito il giorno delle nozze. Le ordina di tornare nella casa dei genitori, la esorta a una condotta più modesta, e a Tesamma concede il beneficio della separazione legale. Al tempo del Negus, il marito avrebbe avuto in sovrappiù il diritto di frustare la moglie, da quaranta fino ad ottanta neroate: ed io quel giorno sul mercato di Addis Alèm guardavo in giro gli spettatori del giudizio per cercare di capire se la più mite nuova legge imposta da noi conquistatori fosse considerata favorevolmente. Nessuno però dava segno di approvazione o di critica, e nemmeno il mio interprete volle pronunciarsi. «Va bene cosi?... gli domandavo invano, ottenendo in risposta solamente: «E' la legge nuova». ★ * Io avevo piantato la mia tenda nell'accampamento di un battaglione della divisione «Sabauda» di presidio a Addis Alèm, ma quella notte fu im¬ possibile dormire. Facendo un grande chiasso, saliva per la collina dove noi stavamo una folla enorme di fedeli diretta alla chiesa che è in cima, una bella chiesa cui si appoggia un campanile di forma neo-romanica, adorno di bifore e coronato da un decente cornicione. La fece costruire Menelik quando progettava di stabilire a Addis Alèm — «Il Nuovo Mondo» — la propria capitale. Ma poi la regina Taitù. sua bella consorte, attratta dalla fama delle sorgenti termali sulle colline fra il Gamelè e il Gabana, lo aveva indotto a preferire la località dove ora sorge Addis Abeba, «Il Nuovo Fiore». Però, in compenso, Addis Alèm diventò un luogo di culto mariano fra i più onorati in Etiopia, meta di grandi pellegrinaggi. Quella notte la folla saliva per la collina cantando in coro sotto la guida di un solista. Incominciava pianissimo, quasi con un semplice mormorio, e continuava a lungo a mezza voce. Poi, come dopo una prova di avvio, a poco a poco si animava, e anche il solista si prodigava in virtuosismi con una voce di ammirevole qualità, rotta da bruschi accenti rauchi a bella posta stonati, strozzata di quando in quando da singhiozzi; poi d'improvviso nuovamente trasformata da una breve serie di note dolcissime. E il coro a gareggiare, anzi a prendere il passo sul solista senza aspettare la fine della frase musicale, e saltando sulle ultime note con un effetto sorprendente. Le parole erano più o meno queste, come potei trascrivere: Tachiàt selàs tarché - gemente bet merché uadla tsenù daghib - gelàb uemerachèb toenù ethassebù - gadèm ebcatebù sehé endehaddà - mecatebù barca... Ma le campane della chiesa disturbavano, e soprattutto era fastidioso il trillare dei sistri, dischetti di metallo infilati tra i capi di una forcella di bronzo, sbattuti con crescente frenesia; ed erano tanti che tutti insieme facevano un diarvolerio di ferraglia. Insomma, ci resero impossibile il sonno, e d'altra parte, con tutta quella folla in movimento accanto a noi, invece che dormire conveniva rafforzare il servizio di guardia: «Quando vanno in chiesa, questi qua, non è mica a pre- j gare; vanno a eccitarsi. Lo sa i che questo è il canto funebre dei Bogos? Potrebbe essere intonato per noi — mi disse il | comandante del battaglione ; phe mi ospitava quella notte —,. Ma lei l'ha vista quella ! chiesa? Non è come le nostre, è un museo militare». La vidi il giorno dopo, gentilmente ricevuto dal priore, il , neburèd Teclaimanòt che ha { il grado di vicario del vescovo, | una figura tutta in nero, dai t capelli alla barba, ai vestiti, I ed in capo un camàuro come ; un doge o come il sommo pon- tefice, di raso nero anch'esso; solo il suo parasole stingeva un po' sullo scolorito. Bella, la chiesa, per le sue pitture murali quasi tutte di genere guerresco. Anche la santa vergine Maria con in braccio il suo pargolo divino ha Serissimi occhi fulminanti minacce. Ancora più terribile san Giorgio, che è in Etiopia il più raffigurato di tutto l'Olimpo cristiano, in groppa ad un cavallo scalpitante, o impennato, generalmente candido con le froge annitrenti. Il santo aureolato, sovranamente padrone delle folgori attorno si apre in un largo gesto per ficcare la lancia nelle fauci del drago già vinto: arrovesciato ai piedi dell'eroe, il mostro attende buono il colpo fatale. Nel riquadro vicino, il colpo è stato inferto con estrema violenza: la lancia ha trapassato ambo le fauci arrivando a ferire la spalla e il ventre del drago che ha la pelle di un verde malvagio, tutta pezzata a chiazze di sangue scarlatto, profuso dal pittore in abbondanza. Fra le battaglie dipinte sulla chiesa di Addis Alèm ce ne sono anche di terrene, generalmente fra gli amhara e i galla. Vincitori sono sempre gli amhara, più scuri, con espressioni più nobili e più fiere, di fronte ai galla di carnagione meno colorita, dal volto quasi idiota, straccioni e male armati. Quando il soggetto degli affreschi non è cruento, le scene appaiono più incerte: nella rappresentazione del peccato originale, per esempio, Adamo è un giovanetto pallido dal volto imbambolato, intento a succhiare un frutto. Appoggiato ad un albero, il suo corpo striminzito avvolto in strette vesti azzurre sembra spiaccicato sul tronco con il quale si confonde. Più bello è un gruppo di ghepardi, visti tutti di fronte e tutti simili nel rotondo viso baffuto, accosciati, assoluta¬ mente statici; solo le orecchie ritte e puntute suggeriscono l'idea che siano desti e vigili. Cosi certi leoni sullo sfondo, che sembrano di temperamento bonario, anche un po' ! spaventati. «Soltanto gli uomini sono raffigurati terribili, se ne ri- ! cordi», mi ammoniva il co- | mandante del battaglione della «Sabauda». Immaginare che queste sue parole tradissero paura degli abissini sarebbe inesatto. Egli era infatti un uomo di coraggio, ma per tutta la durata della campagna non aveva avuto occasione di combattere e ne provava rammarico. Diceva che volentieri si sarebbe scambiato con me, destinato a raggiungere un reparto nella zona avanzata di operazioni. Usare la maniera forte, non dar tregua ai ribelli inseguendoli ai quattro capi dell'Etiopia, ed anche ai sottomessi impartire lezioni con la forza: «E' gente che non capisce altro che il pugno di ferro, e lo rispetta; e noi dobbiamo farci rispettare». Altro che politica di pacificazione, non era ancora il momento: «Da quando è finita la guerra ci siamo tutti un po' impigriti, e specialmente voi giovanotti che vi fate intenerire. Non ve la dovete prendere a male — mi diceva guardando le mie piccole stellette di sottotenente — ma qui ci vuole un'altra musica. Un villaggio è sospetto? Mano ai lanciaiiamme. Facciamoli un poco riscaldare, questi arcù, e verranno fuori le armi che hanno seppellito nei tucul». Arcù vuol dire amico, ed era il nome con il quale noi chiamavamo gli abissini, tutti indistintamente. Erano i giorni della meraviglia, non osavamo quasi credere che fosse stato così facile conquistare un impero, ed ora si pensava di metterlo in ordine con le buone maniere. (continua) . Durante una festa improvvisata tra i soldati del corpo di spedizione italiano nell'Africa orientale. Era l'anno 1936

Persone citate: Addis, Addis Alèm, Negus

Luoghi citati: Addis Abeba, Etiopia