Il gran richiamo di Medicina di Clemente Granata

Il gran richiamo di Medicina LA FACOLTÀ' OGGI PIÙ' AMBITA DAGLI STUDENTI Il gran richiamo di Medicina I giovani sono attratti dal guadagno o dall'interesse della materia? Forse il fenomeno si spiega con la possibilità delle nuove classi di arrivare a una professione prestigiosa - Ma abbiamo un medico ogni 380 abitanti; la più alta densità del mondo - Tra due anni ci sarà un medico ogni 300 abitanti. E dopo? Il giovane attende in fila da oltre un'ora. Adesso è giunto il suo turno. Si avvicina allo sportello della segreteria della facoltà di medicina, consegna all'impiegata i documenti, confabula, annuisce. Le pratiche sono finite. Franco F. è 'matricola* all'Università di Torino. «Perché medicina?*, gli domando. Franco F., biondiccio, asciutto, minuto, riflette un attimo e dice: «Sono andato un po' per esclusione. Giurisprudenza, lettere, politecnico non mi dicevano molto. Medicina decisamente mi piace». Una pausa, poi, serio in volto, fa: «No. Non è il guadagno che mi attira, è l'interesse per la materia». A Torino nel 1977 le - matricole* di medicina furono 1750. Quest'anno la cifra non dovrebbe essere inferiore. Dieci anni or sono, i nuovi iscritti non arrivavano a duecento. Sempre a Torino gli studenti che frequentano il corso della facoltà sono 7300contro i 4600 di lettere e filosofia e i 4400 di scienze. Sono la maggioranza, dunque, come a Milano: alla -Statale* studiano 17.800 aspiranti medici (il prossimo ottobre usciranno 800 laureati), gli iscritti a lettere sono 11.000, a scienze 10.000, a giurisprudenza 7700. Altre città. Bologna: 12.000 iscritti a medicina: Padova, quasi 10.000; Palermo 7000; Firenze 6500. E poi le *punte*: Roma, 19.000 iscritti; Napoli, 20.000. Cifra globale: 165.000 studenti dimedicina in Italia. Sei, sette volte quella di 10 anni fa. Cifra impressionante, specie se confrontata con il numero dei medici iscritti all'albo: 145.000, uno ogni 380 abitanti, la più alta densità del mondo. Già oggi i medici sono troppi. Ma fra due anni, ci dice il senatore Dario Cravero. de, relatore della riforma sanitaria, altri 62.000 laureati usciranno dagli atenei e il rapporto con la popolazione si avvicinerà a un medico ogni 300 abitanti. E dopo? Vado alla segreteria di medicina in corso Massimo d'Azeglio. Ascolto Franco F. e altre matricole come lui. Le risposte non divergono sostanzialmente. L'interesse scientifico sembra prevalere tra i motivi della scelta. Ipossibili vantaggi economici rimangono sullo sfondo, quasi impercettibili. E appena sfumate sono le preoccupazioni per il posto di lavoro. Prendono corpo semmai nelle dichiarazioni degli studenti non lontani dalla laurea. Il prof. Marco Dianzani, preside della facoltà torinese, rileva: 'Lo studente decìde in base a ciò che gli piace. Non c'è dubbio die il clamore suscitato dalle grandi scoperte | ! I ; ! i : | . i ' | ■ I ufficiale ! I | scientifiche eserciti una no! tevole influenza. Poi natuI Talmente c'è la spinta dei fa; miliari, legata a interessi più ! contingenti e concreti e sufi frogata dalla convinzione che : di medici ci sarà sempre biso| gno*. Che la medicina, 'disciplina indubbiamente scientifi. co, ma anche fortemente intrisa di valori umanistici*, possa attrarre i giovani per i queste caratteristiche è an' che la convinzione del prof. | Ugo Marzuoli, ex primario dell'ospedale di Alessandria e recente autore di un interessante libro sulla classe medica, una sorta di affresco di vizi e virtù. Ma egli amara■ mente annota: «Alla fine I però in molti studenti finisce ! con prevalere lo spirito mercantile. Guardi anche il '68. Ci si aspettava l'arrivo di colleghi con mentalità e stile nuovi. Sono come gli altri». i7 prof. Schiavinato, rettore della 'Statale* di Milano, cosi analizza il fenomeno della corsa alla facoltà: «In testa alle cause metterei la liberalizzazione degli ingressi attuata nel '69. L'awicinamento di nuove classi sociali all'Università ha esaltato gli studi, che permettono di svolgere una professione I molto conosciuta e dotata d'indubbio prestigio. Poi ci fu un'effettiva richiesta del mercato, dovuta anche all'aumento del tenore di vita; ci furono la diffusione degli enti assistenziali; lo stato economico più vantaggioso garantito agli ospedalieri; la domanda dei Paesi in via di sviluppo. E non bisogna dimenticare la mancata istituzione in Italia del diploma universitario di paramedico. Se fosse conseguibile, i ranghi potrebbero essere sfoltiti, la ripartizione degli studenti più razionale». Schiavinato precisa: «C'è anche un altro fattore importante. Pensiamo a lettere e filosofia. Se lo studente vuole cambiare facoltà può farlo abbastanza facilmente. Per medicina è diverso. «Verso quale facoltà egli potrebbe utilmente indirizzarsi qualora decidesse di cambiare? — si chiede Schiavinato — Non saprei. Cosi si rimane nella facoltà anche se j gli studi non procedono con il ! ritmo dovuto, con l'intima ! convinzione che prima o poi ì al traguardo si arriva. MediI cina, in effetti, è la facoltà I con il più alto numero di laureati: il 60-80 per cento degli iscritti raggiunge la meta contro una media del 30 per j cento degli iscritti ad altre discipline. E naturalmente in presenza di una tale massa di studenti i controlli della preparazione possono risultare meno attenti». Cosi il prof. Schiavinato introduce alcuni argomenti che ; il prof. Cavallo, rettore del| l'Università di Torino ripro; pone e puntualizza. Con un ! sorriso un po' ironico dice: ! «Va bene, diciamo che la scelta di medicina è dovuta ' anche a spinte idealistiche. ; Ma preciserei che dette spin1 te sono accompagnate dalla speranza di una buona sistemazione economica». Pone una raffica d'interrogativi: «Fra sei, sette anni quale sarà il destino dell'ai; tività medica? Ci sarà ancora una professione libera? Ci saranno tanti posti di lavoro per quanti sono i medici?». Ancora: «L'Università può formare dei discreti professionisti? E possono le facoltà mediche permettersi il lusso di ospitare migliaia di studenti stranieri quando non esistono strutture idonee?». La disoccupazione intellettuale è ormai qualcosa di più [ di un rischio. «E' molto vicino il pericolo del cannibalismo ; medico», dice con cruda espressione il sen. Graverò alludendo alla futura spietata concorrenza. Non sembra allarmismo. Già ora, sottolinea il prof. Marzuoli, le liste dei laureati in attesa di fare il tirocinio negli ospedali s'allungano, si formano aree di parcheggio di giovani medici. Poi c'è il problema delle strutture collegate a quello della qualificazione professionale, della quale ci si preoccupa particolarmente trattandosi di persone che hanno in cura la nostra salute. Al primo piano dell'istituto torinese di patologia il prof. Dianzani mi indica il busto di Giulio Bizzozero «insigne innovatore delle mediche discipline, fervente apostolo di ogni civile incremento». Dice: «Quando Bizzozero fondò l'istituto di patologia nel 1884 c'erano 15 studenti. Ora ne abbiamo settemila, ma da allora nulla è cambiato. Faccia il conto lei e mi dica se qui a Torino non è indispensabile una seconda facoltà». A Milano per parecchie ragioni la situazione è meno drammatica, a Napoli l'istituzione di una seconda facoltà ha costituito un'indubbia valvola di sfogo. Ma il problema non si esaurisce nella capienza delle aule. E' questione di mezzi, moderne attrezzature, personale addetto alla ricerca, senza la quale la stessa didattica si impoverisce e diventa mero strumento ripetitivo. Si avverte sempre più l'esigenza del potenziamento delle facoltà mediche e dello stesso rinnovamento degli studi (c'è chi parla di rifondazione). Mali antichi si sono aggravati per il sopraggiungere del male recente rappresentato dal sovraffollamento. La crisi delle facoltà mediche sta raggiungendo il punto più acuto. Il tentativo di risolverla è argomento di vivo dibattito in questo periodo. Clemente Granata Torino. Studenti a una lezione di anatomia (Foto La Stampa - Sergio Solavaggione)