Ritorno a Molotov di Frane Barbieri

Ritorno a Molotov Breznev di fronte a Hua e Carter Ritorno a Molotov Fra l'attivismo spettacolare di lina Kuo-feng c le iniziative poco lineari, ma non meno spettacolari, di Carter, ci si sta scordando di Breznev, rimasto chiuso nel silenzio. Di fronte ad un mondo cresciuto troppo presto, senza dare ietta agli schemi politici ed ideologici prestabiliti, la politica di tutte le potenze si è trovata in crisi. Però, mentre Washington e Pechino si mettono in movimento, superando Kissinger c Mao, l'Unione Sovietica, di fronte ad una situazione sempre più fluida e presa in contropiede dall'improvvisa mobilità degli avversari, reagisce congelando le proprie posizioni. Infatti, Mosca e sprofondata nelle formule più antiquate ed opache della diplomazia molotoviana: bipolarismo nell'assetto mondiale e monolitismo nei rapporti intcrcomu nisti. Le spiegazioni sono molteplici. La prima sta nella precarietà della composizione stessa del l'olitburo. L'attività di Breznev sembra ormai ridotta al minimo. 11 prezzo di ogni impegno importante è un sempre più lungo periodo di riposo e di cure. Ciò malgrado il suo ruolo risulla più indispensabile che mai. L'unico delfino giovane predestinato a succedergli, Kulakov, è morto repentinamente. Altri non si vedono. 1 vecchi, conservali e conservatori, tengono salde le proprie posizioni e non lasciano accesso ai personaggi nuovi emersi nell'apparato pur rinnovato da Breznev nei tempi delle sue migliori aperture. Ciascuno dei membri del Politburo rappresenta un settore importante del potere e sostiene determinati interessi. Nessuno però unisce nel proprio personaggio l'intera « struttura » sovietica. AI di fuori di Breznev. Perciò il capo attuale rimane tuttora insostituibile: non più come portatore di una linea, denominata a suo tempo breznevismo, ma come mediatore fra tante lince. L'impossibilità dello stesso Breznev di imporsi, come a volte gli riusciva, ha come conseguenza lo spostamenlo del punto di convergenza nel Politburo verso posizioni sempre più conservatrici. Le ambizioni innovatrici sembrano svanite e con esse anche la capacità di reagire alle nuove realtà sovietiche e mondiali. Anzi, la reazione ricorrente è l'allarme. S'incomincia dalla situazione interna. La campagna contro i nemici sta diventando di nuovo il fulcro e la spinta essenziale della costruzione socialista. La soluzione, oltreché nel sistema interno, potrebbe essere trovata in una ripresa delle aperture internazionali. Però, il Cremlino ha sempre cercato il modo di aprire le correnti economiche, favorevoli all'Urss, e bloccare quelle politiche, considerate pericolose. Così si è finito con il bloccare tutto. Adesso poi, d'improvviso, ci si trova di fronte ad una situazione internazionale sconvolta. Il bipolarismo Usa-Urss, ormai classico, non è più sufficiente a scoprire e dominare un mondo in subbuglio. Mosca rimane aggrappata ai patti con Washington e s'inquieta quando trova un Carter sfuggente e per niente affezionato alla politica del telefono rosso. Contemporaneamente anche il mondo comunista si pluralizza, con l'uscita di Hua dall'autoisolamento, e si scopre sempre meno disponibile a seguire il gioco bipolare, stando incondizionatamente dalla parte di Mosca. In piena espansione durante gli ultimi decenni, infatti tutte le grandi iniziative erano sue, la diplomazia sovietica si sente di colpo accerchiata o almeno in buona parte tagliata fuori gioco. La reazione è stata più che altro convulsa. Come primo passo Breznev ha premuto per serrare le file del blocco degli alleati più vicini. Agl'inizi dell'anno ancora si erano studiate le modalità per conservare il blocco politicamente compatto pur lasciando ai singoli governi dell'Est la possibilità di spaziare in Occidente alla ricerca di mercati e tecnologie. Ora, dopo il vertice estivo di Oreanda, vengono richiusi gli spiragli appena aperti. Kadar, per esempio, che non aveva allacciato mai un contatto internazionale senza motivazioni economiche, cercando sempre di tenersi fuori dalla mischia, finisce oggi con l'invitare Arafat proprio durante il controverso picnic di Camp David. La tournee di Hua Kuo-feng ha fatto poi reagire Mosca contro Pechino sulla slessa manie¬ ra usata tempo fa da Pechino contro Mosca: ora è la Cina huaista ad essere proclamata « pericolo numero uno della pace mondiale ». Gli alleati sono stati indotti a controfirmare una simile constatazione, Gromyko ha cercato di trascinare anche il ministro indiano, suo ospite, nelle accuse anticinesi, mentre l'Occidente viene messo in guardia che « assecondando le aperture di Hua Kuo-feng opera contro se stesso ». E' difficile che Washington accetti il ritorno ad un bipolarismo ridono su misura cremliniana. Il richiamo al ritorno nelle file rivolto a Ceauscscu ha provocato la risposta più dura e sfidante che il capo romeno abbia mai dato ai sovietici. Il rimprovero a Tito di aiutare « l'eversione » cinese non soltanto non ha ottenuto come effetto il blandimento dell'amicizia riscoperta fra i due revisionismi, i quali proseguono nei contatti sempre più intensi (partito, governo, economia, esercito), ma ha compromesso il progettato incontro fra Breznev e Tito, senz'altro più utile al sovietico in questo momento: se non per altro, per sminuire gli effetti della tournée di Hua. Chiudendosi nella roccaforte il Cremlino mette anche gli eurocomunisti ed altri partiti di fronte alla necessità di chiarire meglio la propria posizione su questioni lasciate finora nell'ambiguità. Il pluralismo, tuttora poco chiaro nel contesto di una futura società socialista, sta diventando quasi un imperativo imprescindibile nei rapporti intercomunisti lasciando su posi-1 zioni monolitistichc il pcus ed i suoi accoliti più sfreni. Oggi Mosca non può più sognarsi di convocare una conferenza internazionale senza che tin numero importante di partii' comunisti richieda la presenza dei cinesi. La divisione fra pluralismo e monolitismo nei rapporti Intercomunisti traspare anche dalle dichiarazioni di Pajctta. Contraddittorie: aperturistica verso il pc cinese la prima e critica la seconda. (Rimprovera, infatti, a Pechino di non aver dato spiegazioni sull'affare dei «quattro» come se il pcus le avesse fornite sul caso Kruscev o il pei sul caso Secchia). Un indizio questo che il pei pur sensibile alle aperture avvenute nel mondo, sia influenzato anche dalle chiusure operate di riflesso da Mosca. Ammettendo che il mondo sia difficile da arrestare, rimane l'incognila delle ulteriori reazioni del Cremlino. Trovandosi in crisi, dominato da un senso di allarme e d'isolamento, incapace di trovare sbocchi adeguati, può essere anche tentato di trasferite la propria crisi oltre i confini del blocco, aggravando quella mondiale. L'invio di Castro in Africa e la consegna datagli per spaccare il movimento dei non allineati non è che siano troppo rassicuranti. Frane Barbieri