Si cerca di scoprire quando venne deciso percorso di via Fani per il 16 mano di Silvana Mazzocchi

Si cerca di scoprire quando venne deciso percorso di via Fani per il 16 mano Per avere la certezza dell'esistenza di un informatore Si cerca di scoprire quando venne deciso percorso di via Fani per il 16 mano Versioni diverse sui programmi della scorta - Nuovi interrogatori per gli agenti scampati perché non di turno - Indiscrezioni, non confermate, sulla Ibm usata per i volantini delle Br ROMA — La magistratura ha puntato l'indagine sul 16 marzo: sul perché quel giorno l'auto di Aldo Moro passò per via Fani. Il nodo da sciogliere è se quel percorso era rimasto la via abituale oppure se fosse divenuto eccezionale dopo le minacce ricevute dal presidente democristiano a partire dal febbraio scorso, quando il suo progetto di apertura ai comunisti stava per diventare realtà. Ieri mattina il giudice istruttore Ferdinando Imposimato — uno dei cinque magistrati incaricati dell'inchiesta — ha interrogato quattro agenti della seconda pattuglia addetta alla scorta di Aldo Moro. Sono le quattro guardie del corpo — carabinieri e poliziotti — che quella mattina del 17 marzo scamparono alla strage solo perché non erano di turno. Non sappiamo che cosa gli agenti abbiano riferito al giudice. Conosciamo alcune loro testimonianze raccolte a caldo, a poche ore dall'assassinio dei colleghi e dal rapimento di Moro. Il carabiniere Otello Riccioni confermò che da qualche tempo i percorsi seguiti dalle scorte erano cinque e che, per andare a Mon- i tecitorio, gli itinerari diventavano almeno tre. Fonti vicine ai famigliari dello statista e ai suoi collaboratori avevano precisato che via Fani era stato l'itinerario abituale e il più frequente per molto tempo, ma, dopo le pesanti minacce ricevute, lo stesso Aldo Moro aveva deciso insieme con il suo uomo-ombra (il maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi al suo servizio da vent'anni) di cambiarlo e da qualche settimana era iniziato «il nuovo corso». La notizia che Aldo Moro, il 16 marzo, passò pe: via Fani scegliendo quel percorso, tra altri possibili, solo la sera prima, era stata pubblicata sabato scorso e si era intrecciata con l'intensificarsi del lavoro degli inquirenti che stanno indagando da tempo per individuare gli infiltrati «insospettabili» di cui dispongono le Brigate rosse in alcuni uffici dell'apparato burocratico dello Stato. In questo quadro, il passaggio non ((certissimo» per via Fani aveva aggiunto alle già complesse indagini un capitolo « giallo ». Se quel percorso non era la via di tutti i giorni le ipotesi che rimangono sono solo due. O le Brigate rosse, scelto il 16 marzo per colpire Moro mentre andava a Montecitorio per votare la fiducia al primo governo varato con l'appoggio del pei, disponevano per quella mattina di più di un «commando» pronto ad agire. Oppure, informate da qualcuno dell'itinerario prescelto dalla scorta, abbiano potuto colpire con sicurezza in via Fani. Anche l'episodio delle informazioni raccolte dai terroristi sul fioraio che abitualmente vendeva piante in via Fani, allo scopo di impedirgli di recarsi al lavoro quel giovedì (gli fecero saltare le gomme del furgone la sera prima), potrebbe rientrare solo in un più complesso lavoro di preparazione che i terroristi certamente hanno fatto a vasto raggio. In appoggio all'ipotesi di una certa «elasticità» che le Brigate rosse erano pronte a fronteggiare per mettere in atto la strage e il rapimento, c'è, per esempio, il particolare che la mattina del 16 mar¬ zocvegMcmI I zo Moro non si recò come ogni giorno a messa nella chiesa di San Francesco nella vicina piazza Monte Gaudio, eppure le Br sono state in grado di portare a termine l'agguato. La testimonianza dei quattro uomini della scorta di Moro non è stata certo sufficiente a risolvere il problema: le loro versioni non possono non tener conto della tragedia di cui sono rimasti vittime cinque loro colleghi il giovedì della strage, né la loro posizione di semplici agenti gli poteva permettere di essere a conoscenza di particoI lari che solo il maresciallo I Leonardi sapeva. Ad esempio, il retroscena, tuttora misterioso, che ci sarebbe dietro ad una «presunta» richiesta che il maresciallo avrebbe fatto al Viminale per ottenere un'auto blindata, proprio in seguito alle minacce ricevute da Aldo Moro nelle settimane precedenti al 16 marzo. Per avere un «dossier» completo di testimonianze i magistrati dovranno interrogare i famigliari dello statista e i collaboratori del presidente democristiano che lavoravano con lui nello studio privato di via Savoia 88, fatto segno di misteriose visite e «ag1 guati», più volte, nei primi ì due mesi di quest'anno. I giudici istruttori li interrogheranno di nuovo appena possibile. Venerdì prossimo, intanto, i magistrati torneranno ad ascoltare i fratelli Cosimo e Sesto Tofani, arrestati giovedi scorso per reticenza. Cosimo Tofani è accusato di non aver detto la verità su quanto gli avrebbe riferito suo fratello Sesto a proposito di «misteriose riunioni» che qualcuno avrebbe tenuto nei locali della tipografia «Solet», nei pressi di via del Corso, durante i 55 giorni del rapimento j di Moro. La confidenza, rife! rita prima ad una collabora¬ trice dell'avvocato Nino Gaeta, curatore fallimentare della Solet, poi allo stesso penalista, finì in un esposto presentato dal legale alla Procura generale. Si è diffusa in proposito la notizia secondo la quale sarebbero stati ritrovati nell'ex redazione del quotidiano «Il Globo», edito da Lanzara, alcuni fogli dattiloscritti con una macchina Ibm che fu trasferita nel 1974 nei locali della Solet. L'Ibm scomparve alla fine del '77 dai locali di piazza Bottego, occupati dalle maestranze della tipografia in lotta dopo il fallimento del proprietario della Solet, Gino Lanzara. I fogli dovrebbero essere messi a confronto con alcuni documenti che sarebbero stati battuti a macchina con l'Ibm ritrovata nella tipografia delle Brigate rosse scoperta a Monteverde nel maggio scorso. La notizia non è stata però confermata. Silvana Mazzocchi

Luoghi citati: Monteverde, Roma, Sesto