Siamo terrestri ma poveri
Siamo terrestri ma poveri Figure e fatti di Giovanni Arpirio Siamo terrestri ma poveri Proprio perché la realtà ci schiaccia, bisognerebbe saper guardare il mondo, talvolta, con un cannocchiale rovesciato. Proprio perché ognuno è così fortemente prigioniero di se stesso, bisognerebbe imparare ad esser uomini lontani da noi, filtrando giudizi e ossessioni e urgenze. Proprio perché non si può ridere della nostra storia, bisognerebbe ridere del momento, di «quel» momento solo, afferrabile e ridicolo. Parliamo tanto di tentazioni extraterrestri, di parapsicologia, di fughe nel tempo, di necessità d'astrazione, di Ufo e compagnia bella, di nuove magie (ma i maghi hanno sempre avuto paraocchi) e non siamo mai stati così «terreni». Per la Sindoyie esposta si assaltano gli uffici dove è possibile acquistare e far timbrare francobolli commemorativi, per la morte di un Papa e la conseguente elezione di un nuovo Papa tutte le tecniche d'informazione si scatenano, costruendo palcoscenici orrendi. Per un nubifragio in India, con decine di migliaia di morti, si usa il sistema documentario più raggelante: la morte cambia il suo peso, passando da un continente ad un altro, diventa un film del filone «povero». Siamo terrestri in un secolo che rifugge il razionale, e forse sta tutta qui la nostra condanna. Per coloro che ricordano le lezioni illuministiche, la tentazione trascendente di oggi è paragonabile a una tromba d'aria: ma in questo vortice non appaiono i mistici e i dannati, solo corporei fantasmi che ancora desiderano oggetti e oggettualità, cose e possesso e privilegi. La religione diventa una nostalgia, non un'ansia primaria e privata. Il vero devoto rifuggerebbe dai cerimoniali, ma la terrestrità li desidera, non sapendo quali altri feticci inventare. Forse è anche per questi soprassalti oscuri e fangosi che ogni conflitto ideologico si trasforma in rissa: non vale tanto l'argomentazione quanto la rapidità di offesa, la forza di negare, la faccia di bromo capace di ripetere (e ogni ripetizione è chiodo che si conficca) che «ho ragione io e basta». Persino Begin e Sadat, nella foresta di Camp David, si rivolgono ai sudditi dicendo: pregate per noi. E' la massima lezione d'assurdo. Non dovrebbero esser loro a piegarsi verso i sudditi? E davvero qualcuno ha tempo e voglia e credulità di pregare per quei baffi, a spazzola, o per quel sorrisetto ghignante sotto gli occhiali? Mai gli uomini hanno attraversato il loro realismo vitale in maniera tanto contorta. Mai è apparso così evidente e grottesca la pretesa di spegnere un teleschermo — gravido di facce insignificanti — e quindi inginocchiarsi in preghiera. Solo rovesciando il cannocchiale potremmo renderci conto della piccineria in cui viviamo. Ma sarebbe un gesto da eremita: e un eremita può fare a meno del cannocchiale. * * Un anno fa mancava Francesco Cesare Rossi, politologo mite, direttore di una rivista fondata a Genova venticinque anni or sono. Itinerari, che nei suoi fascicoli dedicati a temi italiani ed europei ospitò le firme di Salvemini e Cantimori, di La Malfa, dei giovani — allora — Granelli e Galloni, e poi di Ronchey, di Bobbio, Piccardi, Calogero. Grazie al suo direttore. Itinerari condusse, secondo uno stile che ha scarsi paragoni in Italia, le sue battaglie politiche, storiografiche, continentali e locali. Affrontò grandi temi e problemi che potevano apparire minuscoli o periferici (i contadini di Liguria, della Toscana; gli imprenditori nel Sud). Contribuì, purtroppo entro limiti di conoscenza limitata, ad un dialogo assiduo, mettendo a fuoco sfasature e involuzioni e speranze dell'Italia che usciva dalla guerra, poi dal boom, e ancora non riusciva a darsi un linguaggio politico necessitato e coerente. Pochissimi hanno ricordato gli sforzi di Francesco Cesare Rossi e di questa rivista, che ebbe un piglio risorgimentale e fiero pur nella pudicizia. Oggi è possibile rintracciarla solo nelle biblioteche (quelle buone, quelle aperte anche). Ma l'impegno di F. C. Rossi è lì, nelle pagine, e nella trama degli studi che egli riusciva ad imporre agli amici. Penso cosa cercherebbe di indagare oggi Itinerari, con la sua misura, magari soppesando i litigi prò e contro e addosso al leninismo, ultima fosca sirena che spinge al naufragio sugli scogli sia chi è leninista sia chi non lo è. Scomparsi certi uomini, estenuate certe riviste, rimangono le parole: però caotiche.
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