La rovina viva di Andreina Griseri

La rovina viva UNA MOSTRA DI TIRANESI A VENEZIA La rovina viva VENEZIA — In apertura al suo libro sulle cineserie, Hugh Honour ricorda\come da bambino avesse un'idea ben precisa della Cina; se l'era formata dalle immagini del paesaggio cinese che gli apparivano ogni giorno a tavola, sui piatti a disegni bianchi e azzurri. Anche l'idea delle rovine e insieme delle vedute romane, c cresciuta per molti (non solo per Gocdie) su un archetipo quotidiano: bastava togliere un po' di polvere alle stampe che erano appese in casa e apparivano in anteprima, amplificate e tutt'uno con un'idea di viaggio in Italia, da farsi. Il dibattito intorno a Piranesi lo sta ora sottraendo tanto a questo indistinto pittoresco come all'interpretazione romantica che da Coleridge a Victor Hugo 16 aveva caricato di inconscio collettivo. Mostre recenti dopo quella di Torino del '61, a Parigi e a Roma, a Londra, anche a Tokyo e a Pechino, a Washington e alla Morgan Library di New York per il bicentenario della mone, e dal ^'settembre a ottobre a Venezia nella sede prestigiosa della Fondazione Cini, con l'impegno di far conoscere un grandissimo artista che passato a Roma continuerà a firmarsi «architetto veneziano», ma testimoniando a un culmine traumatico tutta l'intelligenza del '700 europeo. La mostra, organizzata con un risultato di prim'ordine da Alessandro Bettagno (ottimo il catalogo in due volumi edito da Neri Pozza), rinnova in questo senso il dibattito, e lo si ritrova in catalogo nelle parti critiche a cui hanno collaborato con lui gli studiosi specialisti, con molte idee e con molta' filologia. Sono presenti 85 disegni (venuti da Amburgo, Amsterdam, Berlino, Parigi e Stoccolma, Copenaghen, Londra, Oxford, musei americani e collezioni europee, Bologna, Firenze e Roma, pochissimi i disegni di lui rimasti in Italia) e ancora 400 incisioni, 26 rami e legature originali, storia di mecenati, da Clemente XIII ai Rezzonico. Il personaggio si conosce dall'incisione del Polanzani, e può valere da autoritratto: un torso nudo, senza parrucca, testa rasata come un forzato, ironico; nei busti in marmo emerge la bocca, non certo una statua da giardino; i biograti lo dicono «di persona grande, bruno di carnagione, con occhi vivacissimi e non mai fermi»; «religioso e filosofo a un t rempo» ; « metteva r con trasti ^ pel suo temperamento corriè, nei .suoi' ,; djspgni e assecondava je sue ineli^aaazioni come il*uti^enio>>..Come à dire tutto preso dalla sua sperimentazione che rinnova il concetto di mestiere di fronte all'architettura e svolge appunto nei «contrasti» di un segno inventato e drammatico, fino a estrarne un'idea, che la mostra ci consegna con molte chiavi di lettura. Ma intanto, fin dagli inizi, sono decisivi la conoscenza del mestiere del padre — tagliapietra al magistrato delle acque —, le stampe di viaggio riguardate con il fratello, un religioso, gli studi con lo zio e con lo Scalfurotto architetto, e poi l'invito nel 1740 a seguire a Roma l'ambasciatore, in qualità di «disegnatore». Sceglierà Roma per sempre. Gli offriva spazio fisico e mentale; era un enorme alveo, vi confluivano viaggiatori inglesi, eruditi antiquari, i giovani dell'Accademia di Francia, dandies e illuministi; avrà scambi continui, da protagonista, dentro quelle polemiche; e soprattutto Roma era ai suoi occhi, «Regina delle Città», un simbolo vivo, una torre di Babele in cui confrontare la sua nuova lingua. Lascia alle spalle Venezia che smuore, tra Guardi e Pietro Longhi' sulle rive il nitido Palladio; l'idea di quelle vedute come in un canocchiale rovesciato, era insoffribile, e il disegno di Amburgo con le maschere risulta per parte sua un appunto quasi felliniano. Si confronterà piuttosto con lo spazio di Tiepolo, rovesciandone l'ottimismo che era al limite cinico e senza proposte, servendosi di quella luce ancora nei disegni che ormai introducono in un altto mondo. La sua scoperta, il nero intriso e macerato tra acidi e in-, chiostri, da competere con Rem-: brandt con Goya, sarà materia del suo lavoro. Questo diventerà ossessivo; tutta l'opera, una mole enorme, è la storia di un'idea. La mostra la presenta al completo: tappe fitte, con punte che poi sono pietre miliari per il '700 e l'età moderna. Nella lettera del 1743, che accompagna la Prima Parte di Architetture e Prospettive, è chiaro il suo rapporto, quasi un ritorno alle origini, con quella «smisurata mole de' marmi..., quella vasta ampiezza di spazio, ... queste parlanti mine». Una confessione polemica, con la critica ai committenti e una scelta: «Altro partito non veggo restare a me... che spiegare con disegni le proprie idee... disegnare non solo le mie invenzioni, ma d'intagliarle ancora nel rame». La scelta dell'incisione è per la divulgazione, come per Diderot e Voltaire VEnciclopedia. Di tipo illuministico anche la volontà intensamente didascalica, per cui appunta nei frontespizi e nelle tavole non solo iscrizioni e memorie, ma un richiamo ottico illusivo ipnotico del particolare in primo piano, teso aa attrarre il visitatore dentro l'antichità, la rovina, che. poi includono la sua idea di fondò (la colonna sventrata, l'urna con la tibia gigante, i mattoni rilevati ad uno ad uno). Il dibattito critico attuale sta approdando a conclusioni molto importanti (da Calvesi a John Wilton-Ely, a Bertelli, a Garms, a Robison). La rovina per la prima volta appare non solo come un corpo vivo e pulsante, ma come un messaggio di quell'età: giustamente nelle Carceri, «labirinti inestricabili» (Borges), è stata indicata la tensione, sul filò dell'angoscia, incubo non a livello individuale, per la disintegrazione di uno spazio scardinato, con neri urlati, nel passaggio dalle prime del 1745 alla rielaborazione finale (1761). E' un approdo del secolo che aveva misurato il sublime e la relatività inventando Micromcgas e Gulliver; qui il pianeta è campagna rasa, una landa riscoperta dopo un diluvio universale; si aggira una specie umana ridotta a poche larve, tra ceneri e pietre. Non sono dunque solo le età, la Storia, a disfarsi, ma la Vita stessa. L'idea del disfacimento si trasmette al segno in esplosione drammatica, nero su nero per «le vedute di Pesto», o in rapporto al bianco allucinato di fronte a Pompei; investe e dilania gli alberi, le figure, ragnatele rapprese, frammenti modellati in fango; intride l'architettura e la consuma dentro alghe c erbe corrosive. Emergono le colonne, elementi della natura, come in una foresta. Lo spazio è l'involucro dilatato di questa idea eroica, tutta laica, vi domina un emblema. ancora illuminista, la scala, e condensa l.'utopia di-cui parla Tafuri, che ha sottolineato tra il resto il'valore degli oggetti, il furore analitico,' un dedalo in cui «le cose» sono troppo piene o troppo vuote; allusive e «sole». Per Arykwert Piranesi si muove nel passato sul punto di ricostruirlo come un. unico futuro desiderabile. Andreina Griseri Piranesi: «Ruderi dell'anfiteatro castrense» (particolare)