Documento Pandolfi: impegno per tutti di Francesco Forte

Documento Pandolfi: impegno per tutti Documento Pandolfi: impegno per tutti (Segue dalla 1" pagina) li) in connessione alle correzioni alla giungla retributiva e allo sviluppo del riconoscimento delle professionalità. E' un programma assai duro, che si aggiunge alla richiesta di maggior mobilità aziendale; e alla richiesta, ai sindacati, di incontrarsi nella prossima primavera per discutere eventuali allungamenti del periodo di scatto della scala mobile, il cui principio e valore di punto comunque verrà salvaguardato. Sovrattutto, si chiede, al mondo del lavoro, di non forzare la spirale prezzi-salari in modo da non costringere a recuperare un certo livello di salari, insopportabile per la nostra bilancia dei pagamenti, in clima di sviluppo, tramite la nota sequenza inflazione-svalutazione della moneta, cui segue la stretta del credito, la recessione e poi il rilancio. Ogni categoria — e non parlo solo di quella dell'industria, i cui contratti scadono a fine anno, ma pure di quella del parastato, del pubblico impiego, degli enti locali c via discorrendo — dovrà essere capace di autorestringersi. Bisognerà, inevitabilmente, arrivare a un discorso di « patto sociale » o qualcosa di simile, un po' meno ma non troppo. Pandolfi lo prefigura, indicando un «gruppo tecnico triangolare» composto di rappresentanti dei lavoratori, delle pubbliche amministrazioni e degli imprenditori. Ma che cosa offre in cambio? Non offre la riduzione della disoccupazione, perché l'aumento di occupati nel triennio pare solo di poco superiore alle nuove leve di lavoro: in sostanza — se tutte le ipotesi di Pandolfi sullo sviluppo si avvereranno — la disoccupazione non aumenterà, come diversamente accadrebbe; e si potrà fare qualcosa al Sud per ridurla, ma non molto. Pandolfi offre, insieme alla mancata caduta occupazionale, aumenti e modifiche sensibili nelle strutture di investimento, destinate a migliorare la qualità dello sviluppo e a prepararne il durevole riequilibrio; offre la possibilità per le famiglie di guadagnare di più, aumentando le ore lavorate, dato il clima sostenuto delle attività economiche; offre la prosecuzione (sia pure con tagli) delle grandi politiche sociali: della sanità, delle pensioni e della finanza locale (in certi casi, la socialità dei prezzi politici è molto discutibile, ma vasti ceti la gradiscono). Non fa prevedere inasprimenti dei carichi fiscali nominali delle masse e dei ceti medi; inoltre offre una maggior tutela del risparmio, tramite la riduzione dell'inflazione. Ci vuole grande coraggio a presentare questo scenario. Ma soprattutto ci vorrà forza per attuare quella riduzione del disavanzo pubblico che Pandolfi si prefigge, rispetto ai mostruosi livelli cui, con gli automatismi di spesa, diversamente si arriverebbe per la spensieratezza persistente di questi anni, compreso quello in cui ci troviamo. Eppure tale riduzione di disavanzi è indispensabile per far sì che si realizzi il programma — pur modesto — di cose positive, in cambio dei sacrifici, di cui si è visto. Le cifre, dicevo, sono impressionanti. La quota del fabbisogno pubblico di fondi a prestito sul prodotto nazionale nel 1979, « scenderebbe » al 15,7 per cento contro il 16.5 per cenio del 1978, dopo praticati i vari tagli previsti nella finanza pubblica: tutto qui. Ma se non facciamo questi tagli, che pure ci lasciano un siffatto grosso disavanzo, non possiamo incrementare gli investimenti pubblici dei 4 mila miliardi annui previsti; e rischiamo, inoltre, di rimanere con soli 7500 miliardi di finanziamenti alle imprese nel 1979, contro 15 mila nel 1978, anno di stretta del credito e di fiacca dell'investimento produttivo. Come si fa a dire che il capitalismo sta Iramontando da sèi Qui si inaridiscono i fondi delle imprese, mediante la idrovora del fabbisogno del Tesoro! Il risultato avrà però qualità diverse, a seconda del comportamento delle varie parti in causa. Così, certamente si possono migliorare molti servizi pubblici anche se si rallenta il flusso dei denari a pie di lista, che si dà ai vari enti: ci sono enormi margini di spreco su cui agire. 11 mondo sindacale e l'opinione pubblica, inoltre, dovranno capire, quando si propongono certe limitazioni: e non fare i « furbi » e lo « scaricabarile », così che l'indugio faccia perdere altro tempo. Il cittadino ne ha poi abbastanza di scioperi nei pubblici servizi nei periodi di punta. In particolare le grandi centrali sindacali dovranno, in reciproca lealtà, accordarsi con il Parlamento: se certe cose è impossibile ottenerle con accordi, perché vi sono i « sabotaggi degli autonomi », si potranno affidare al Parlamento con legge, peraltro consultando e non raggirando il movimento sindacale. Trovi il Parlamento, inoltre, modo di discuterne in aula e non in commissione. Infine la classe degli imprenditori e dei proprietari non può pretendere di veder ricostituiti i margini di profitto — cosa obiettivamente richiesta perché il nostro sistema economico migliori anziché deteriorarsi — senza accettare alcune regole in materia di imposte, di superstipendi, di responsabilità dell'impresa e di democrazia nelle aziende e negli uffici; nonché di sensibilità umana. I partiti sono chiamati in causa in prima persona, in rapporto alla politica negli enti locali e nei vari enti di sottogoverno, i cui disavanzi sono stati sin qui un comodo strumento per allargare o mantenere o recuperare consensi elettorali. Quando Pandolfi osserva che lo Stato, da centro di entrate e spese per i suoi servizi, è diventato una grande centrale di trasferimenti o pagamenti a fondo perso al parastato, agli enti locali, alle varie imprese pubbliche ed enti del cosiddetto operatore pubblico allargato, non sottolinea che ciò è dovuto anche al fatto che noi abbiamo abbandonato, da tempo, l'aureo principio di responsabilità, per cui ogni comunità deve cercare di trovare, innanzitutto, al suo interno, i mezzi per la propria solidarietà ed i propri fini collettivi, anziché andarseli a pescare nel calderone dello Stato. Alla ricerca di « antenati del socialismo », si è in realtà così scoperto (ma mi riferisco a tutti i partiti e a tutti i governi, anzi a tutti i cittadini) il modello di Cristoforo Colombo: quegli che « trovò l'America con i soldi degli altri ». Ma qui non si scopre l'America, bensì la falsa so¬ cialità e il privilegio, che si connettono alla spirale inflazione-deflazione e all'arrafTa-arraffa di queste prassi. Da Pandolfi si sarebbe voluto un riferimento al suddetto concetto generale. Devo anche dire che non mi convince il silenzio sulla cosiddetta politica industriale e sulle vantate politiche settoriali, che sono consistite sin qui (e parlo anche delle ultimissime battute) di politiche neo-mercantilistiche con cui si erogano pubblici denari a chi dovrebbe fallire; si impacciano le imprese con vincoli salvo allettarle con sovvenzioni; si promettono benefici fiscali alle banche salvo minacciarle con la nomina di commissari nelle faccende dei loro clienti; si frappongono amministrativismi macchinosi ai proprietaririsparmiatori edilizi, salvo allettarli con crediti agevolati ed esenzioni; si minacciano sanzioni al di fuori delle regole ordi¬ narie di procedura per i grossi evasori, salvo allettarli con cedolari secche et similia. Ci vuole anche questo coraggio <' microeconomico », non solo quello « macroeconomico » riguardante i grandi tagli, le grandi cifre. Se si è trovato coraggio (come era giusto) nell'entrare nei dettagli microeconomici della politica del costo del lavoro, bisogna anche averne nell'entrare in questi altri dettagli del rapporto fra potere pubblico e imprese e i capitali, grossi o piccini. Il piano che il ministro del Bilancio sta apprestando, ci si augura che vorrà prendere posizione su questi temi. E' in gioco una intera filosofia dello sviluppo. Non è solo il diverso tasso di inflazione che ci rende difficile il pieno aggancio con l'Europa; c'è pure il diverso tasso di « rispetto delle regole del gioco ». Francesco Forte

Persone citate: Cristoforo Colombo, Pandolfi

Luoghi citati: America, Europa