Due compratori vogliono il Motta ma i camerieri temono per il posto di Cosimo Mancini

Due compratori vogliono il Motta ma i camerieri temono per il posto Le difficoltà del bar "chiuso per restauri,, Due compratori vogliono il Motta ma i camerieri temono per il posto Il locale è Legato alla sorte dell'Unidal (Motta e Alemagna) che ha deciso di liquidarlo - Per l'acquisto, offerti 210 milioni - I camerieri: "Lo potremmo comprare noi" Il primo bar «moderno» di Torino rimarrà chiuso durante l'ostensione della Sindone. In via Roma, all'angolo con piazza Castello, porta da 18 anni il nome di «Bar Motta» ma per i vecchi torinesi è rimasto «il Combi». Travolto dal declino della casa milanese, sta ora per essere acquistato da un industriale torinese. I dipendenti, però, temono che l'operazione nasconda risvolti poco chiari e che per metà di loro si prospetti la perdita del posto. Hanno quindi chiesto di comprare il bar, costituendosi in società e rinunciando alle rispettive liquidazioni. L'esistenza del «Combi» sembra essere fatalmente legata all'astensione della Sindone. Il locale è stato inaugurato, infatti, il 23 maggio del 1933. Il 24 settembre di quell'anno il sacro lenzuolo fu esposto per l'ultima volta ai fedeli. Il modernissimo bar fu arredato in «stile novecento» e costituì per l'austera Torino — dove i «caffè» erano ancora tutti stucchi, legni laccati e dorature — una assoluta novità. Il «Combi» era quadrato. Il banco — in marmo, con fregi in ottone — semicircolare ed occupava metà del locale. Nei due angoli qualche tavolino, ma per lo più i clienti si trattenevano al banco. Il servizio era rapido, a differenza degli altri bar: i camerieri, in giacca bianca con spalline dorate, gentili ma sbrigativi. Diventò immediatamente il bar dei giovani, che qui potevano assaggiare per la prima volta i cocktails o i tramezzini con la foglia di lattuga e la maionese. Unica eccezione a tanta modernità: si parlava solo torinese. I gusti dei clienti? Molte aranciate e liquori dolci (Doppio Kummel o Triple Secj le cui bottiglie erano in mostra dentro nicchie circolari. In un angolo, una statua di bronzo, alta mezzo metro, che rappresentava un portiere nell'atto di parare il pallone. Era Giampiero Combi, il proprietario del locale. Portiere della Juventus dal 1920 al '34, dimostrò non solo di essere in grado di parare un rigore, ma di avere anche un ottimo istinto commerciale. II «Combi» diventò presto il principale luogo di ritrovo della città. Quando due persone si davano appuntamento j in centro era di rito la frase. «Ci vediamo al Combi». Lo frequentavano professionisti, sportivi e tutti quelli che non erano abbastanza ricchi o abbastanza vecchi per entrare al «Baratti» o al «Torino». Nel '56 Giampiero Ccmbi muore per un infarto. Il fra- tello Maurizio tira avanti an- cora per quattro anni. Poi il bar passa alla Motta. La clientela è sempre la stessa e al pomeriggio c'è ressa per mangiare panini caldi, toast o una fetta di torta. Ma a poco a poco le cattive condizioni finanziarie dell'azienda milanese si ripercuotono sul locale. Anche per questo la storia recente del bar è molto complicata. La Motta è stata incorporata — com'è noto — con l'Alemagna nell'Unidal, società a partecipazione statale. Nel tentativo di salvare il salvabile, l'Unidal ha messo in liquidazione i negozi che sono stati acquistati dalla Sidam, una finanziaria dell'Iri (quindi interamente a capitale pubblico). La Sidam, a sua volta, ha deciso di tenere una parte di questi negozi e di venderne altri ritenuti «non remunerativi». Il bar di Torino è uno di questi. Lo scarso reddito è imputabile, secondo certe stime, all'eccessivo numero di dipendenti: 15. Nonostante ciò si sono presentati due compratori che hanno offerto 210 milioni. I rappresentanti sindacali hanno chiesto alla Sidam di accordare la prefernza ad uno di questi che «offriva maggiori garanzie occupazionali»: il rag. Giovanni Traversa, già proprietario della Socama che gestisce mense aziendali. In questo caso lo statuto dei lavoratori avrebbe tutelato i dipendenti del Motta che avrebbero potuto essere li cenziati soltanto con la «giu- sta causa» Al momento di stipulare il contratto il rag. Traversa ha chiesto che la licenza sia intestata alla signora Trombetta che risulta già proprietaria del bar «Augustus», del «Li- gure» e del «Cavai "d brons». In questo caso i dipendenti del «Motta» perderebbero quelle garanzie concrete di cui abbiamo parlato. La si gnora Trombetta, dal canto SMOi fa assicurato che non ha l'intenzione di licenziare nes- suno. «Rimane il fatto comunque — dice Antonio Astorino uno dei dipendenti — che il bar resterà chiuso proprio nel periodo in cui si prospettano affari d'oro e che potrebbe costituire, per noi, un rilancio. Per colmo c'è la beffa che attualmente siamo in cassa integrazione, ossia pagati pur non lavorando. Forse con un po' di buona volontà si potrebbe riaprire il locale in breve tempo ». Per tagliare la testa al toro i dipendenti del «Motta» hanno inviato venerdì scorso un telegramma al responsabile del settore negozi dell'Unidal, dott. Scabbia, in cui si dichiarano disposti ad acquistare il locale. «In questo modo — dicono — saremmo sicuri di non perdere il posto. Inoltre, lavorando per noi stessi la gestione sarebbe competitiva. Potremmo fare parecchie ore di straordinario senza per questo gravare sul bilancio dell'azienda. E' un peccato tenere chiuso questo bar in un periodo in cui Torino è piena di turisti». Cosimo Mancini I dipendenti davanti al Moiia "chiuso per ristrutturazione"

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