Caro bagnante, legga questo libro di Giorgio Manacorda

Caro bagnante, legga questo libro LA "TOTO-LETTERATURA,, D'ESTATE Caro bagnante, legga questo libro Tempo d'estate, tempo di classifiche per la letteratura. C'è chi entra nelle cinquine e chi no, chi vince, chi è sul punto di vincere e chi vincerà l'inevitabile premio. Non mi scandalizzano i premi letterari, questo modo balneare di sovvenzionare (molto modestamente) gli scrittori, quello che mi stupisce è un altro aspetto del nostro costume letterario, un aspetto all'apparenza quant'altri mai funzionale, addirittura anglosassone nella sua stringatezza: una volta l'anno i recensori non scandagliano le recondite profondità di testi troppo spesso senza profondità alcuna, non ricamano elzeviri, non elaborano polemiche: abbandonano l'ardua esegesi per l'arido elenco: Caro bagnante, dai retta a me, leggiti questo, quest'altro e quest'altro ancora. 10 che le cose le so ti dico che i migliori libri di questo anno sono i seguenti... (eh no, non ve li dico, non casco nel trabocchetto!). Quello che mi stupisce non è lo sforzo efficientistico di questa nostra barocca e arcadica e un po' misterica cultura, ma il fatto che (salvo lievi smagliature sempre possibili) i consigli dell'esperto coincidono con le classifiche. Il fenomeno è misterioso: come può coincidere il gusto raffinato, magari esoterico e spesso decisamente fazioso del critico con la logica brutale delle graduatorie? Capirei ancora se ci fosse La Classifica, istituzione nazionale come il Totocalcio o «Scommettiamo». Non solo non c'è (per fortuna) ma ci sono svariati tipi di classifiche: oltre a quelle dei premi letterari, ci sono le classifiche dei più venduti (che ogni giornale compila come gli pare, tanto è vero che non coincidono mai: non sarà per caso perché alcuni editori sono anche padroni di certi giornali?), poi c'è la classifica delle recensioni: chi ha avuto più recensioni è più bravo. Quindi la gerarchia delle classifiche: le recensioni servono per avere il premio che poi serve per vendere il libro alle grandi masse. In teoria questo è il meccanismo, ma poi succede di tutto: libri recensitissimi che non prendono 11 premio e non vendono neppure una copia e l'esatto inverso: libri non recensiti e non premiati che si vendono benissimo, libri premiati che non si vendono... Il momento più drammatico di questa corsa a tappe, dell'aspra e ingloriosa campagna che lo scrittore combatte dopo aver deposto la penna, è la battaglia per la recensione. Prostituzioni inaudite, pressioni feroci, compromessi abominevoli: tutto è lecito, .tutto è possibile pur di avere il «pezzo» del noto critico sul grande quotidiano. Ma quando la recensione arriva ed è negativa, viene recepita come un affronto personale, come uno schiaffo o una staffilata sulla pelle viva. E allora sono odi per la vita e vendette innominabili. Le vendette hanno forma di aggettivi, paroline che, graziosamente giustapposte ai sostantivi, ne indirizzano, sostengono o modificano in modo irreparabile il senso originario. Un aggettivo può provocare faide lunghe e sanguinose, tanto da far impallidire certi happening tribali del profondo sud. Queste faide combattute a colpi di aggettivi sul terreno delle recensioni hanno tragiche conseguenze. Una recensione negativa (o una mancata recensione) può precipitare lo scrittore in vertiginose spirali depressive, in stati ansiosi e aggressivi, provocando travasi di bile e alterazioni del ritmo cardiaco, con oggettivo pericolo per la salute e addirittura la stessa sopravvivenza del soggetto. Come si vede sarebbe assolutamente necessaria una campagna nazionale contro la letteratura la quale, come il fumo e certe droghe, se presa a dosi eccessive in ambienti ristretti fa malissimo. Gli scrittori più giovani sembrano avvertire questo pericolo, il lato tossico di questo sistema letterario, e «ecologicamente» tendono ad evadere dalla conventicola, a disarticolare il sistema. Si aprono sulla società, stanno cambiando il rapporto con il pubblico. Negli ultimi due anni è tutto un fiorire di poeti che invadono spazi imprevisti: teatri off e teatri ufficiali, gallerie d'arte, università, enti locali, festival dell'Unità... insomma i poeti spuntano dappertutto come funghi. Com'è mai? Difficile dire, ma ho la sensazione che a forza di cantautori pseudopoetici, semi-poeti, quasi-poeti o comunque spacciati come poeti, la gente si sia chiesta se non era il caso di prendere direttamente contatto con quelli che proprio sono poeti e basta. Perché si è anche visto un interesse dei giovani per la poesia, che prima si vedeva solo per la musica pop... forse esagero un po', ma insomma il segnale sociologico c'è. Perché questo accada non so, ma si può fare qualche ipotesi: a) la crisi degli ideali rivoluzionari riporta al vissuto, quindi all'introspezione, quindi alla poesia; b) questo succede anche a causa della disoccupazione giovanile (già, ma perché invece di comprarsi la chitarra e metter su il complessino che poi può anche sfondare, si mettono 11 a scrivere poesie?); c) le amministrazioni locali, con questa storia del decentramento, giustamente cominciano a decentrare anche la poesia. D'altronde, perché la poesia no? Ormai nei «punti verdi», nelle estati musicali, negli autunni teatrali, nei progetti di contaminazione urbana e rurale, nelle periferie che sono il centro e nel centro che è una periferia come le altre, si vede di tutto. E' finita l'esclusività di quei cineclub trasteverini per cinefili pazzi capaci di succhiare avidamente per settimane intere il cinema tedesco degli Anni Trenta (tutto in lingua originale) o il più bieco Totò Anni Cinquanta come fossero leccornie riservate solo ad una ristretta élite di intenditori. Eh no! Finalmente anche qui è arrivata la democrazia e l'Italia è diventata un gigantesco cineclub. Quei filmetti gialli, saltellanti, con pessimo sonoro e parlati in lingue impossibili (una nota cittadina balneare ha organizzato perfino la settimana del cinema cinese, e poi erano tutti stravolti per quanto era brutto) li vedono anche i bambini a Villa Borehese, finalmente. I sovietici, che queste cose le sanno, ogni volta che decidono di esportare un po' di cultura (tanto per bilanciare gli effetti negativi di certi processi) si portano appresso Evtusenko, imbattibile show-man che vedremo in Italia a settembre. Con l'occasione i nostri poeti maturi potrebbero imparare tanto da lui, che anche lui una volta era d'avanguardia. E chissà se adesso che viene sarebbe disposto a tenere qualche seminario di recitazione per poeti «laureati». Una specie di corso di aggiornamento. Infatti, dopo che i giovani scrittori si sono avventurati sulle scene, rischiamo di avere una improvvisa richiesta di poeti più attempati che avranno di sicuro un loro pubblico. Perché infatti escludere le signore di mezz' età dal piacere della poesia orale? Già vedo managers di provincia organizzare spettacoli a Matera e Martinafranca imperniati sull'insostituibile presenza del poeta di chiara fama o sul premiatissimo scrittore d'ardui romanzi. E' chiaro che, se scatta un meccanismo del genere, ci sarà un mercato dei poeti come quello dei calciatori, e allora è meglio provvedere subito perché tutto sia fatto in modo regolare, sennò il pretore ci rovina tutto. Ma chi lo stabilisce il valore di mercato del tale poeta o del talaltro? Vale di più quello che vende o quello che ha avuto più recensioni, quello citato nelle classifiche giornalistiche o quello pubblicato in una bella casa editrice molto di prestigio? Lo so, questa storia delle classifiche mi rovinerà l'estate: sarà più bello Un altare per la madre di Camon che ha vinto lo Strega o, per esempio, Pontificale di San Marco di Bartolini, l'unico voto unanime della cinquina del Campiello? Per sopravvivere non mi resta che girare il dubbio a Manuela Kustermann, lei almeno quest'estate recita Amleto. Giorgio Manacorda

Persone citate: Bartolini, Camon, Manuela Kustermann, Totò Anni

Luoghi citati: Italia, Matera