Terme di Vinadio: spesi 700 milioni per rinnovarle ora sono chiuse e nessuno si preoccupa di riaprirle di Mario Bariona

Terme di Vinadio: spesi 700 milioni per rinnovarle ora sono chiuse e nessuno si preoccupa di riaprirle Un patrimonio inutilizzato, cento dipendenti a casa, l'economia compromessa Terme di Vinadio: spesi 700 milioni per rinnovarle ora sono chiuse e nessuno si preoccupa di riaprirle DAL NOSTRO INVIATO TERME DI VINADIO (CUNEO) — Il genere umano sembra scomparso, volatilizzato. Per il resto, tutto è rimasto come prima. La solitudine è assoluta, il silenzio rotto soltanto da qualche voce di animale, o dal ronzio di un condensatore. Le Terme di Vinadio chiuse (in piena stagione) hanno l'aspetto di uno sterminato magazzino. Giriamo per i saloni rimessi a nuovo soltanto un paio d'anni fa: i loro stucchi in ordine, i lampadari di cristallo di rocca scintillanti, le sedie a gambe all'aria sui tavoli nell'inutile attesa che passino le donne della pulizia, alimentano un'angoscia senza confini. Questo è un monumento alla stolidezza umana che finisce per turbare. Assillati dalla crisi economica, l'indice di disoccupazione che sale, un apparato commerciale come questo delle Terme di Vinadio, costato soltanto di ammodernamenti più di 700 milioni (occupava un centinaio di persone e sosteneva l'economia di una zona depressa) resta chiuso. Soffocato sotto un'onda di polemiche e di scartoffie burocratiche. Il personale è tutto a casa, ed i cinque dipendenti rimasti, o sopravvissuti, il direttore Silvano Tarabella, che dimissionario resterà fino al 15 settembre nella cocciuta speranza che succeda qualcosa, la moglie che era la «dispensiera», i custodi, Giovanni, Remo e Maria, da giugno, non hanno più nemmeno ricevuto lo stipendio. Il tetto di un'ala delle Terme devastato dalla neve se lo sono riparato da soli, «perché non mandano più neppure un sacco di cemento». Nelle stanze, i letti sono pronti, con i materassi arrotolati in ordine nelle reti; negli armadi, lenzuola, asciugamani, federe, accappatoi, perfettamente accatastati, usciti candidi da quella nuovissima lavanderia Zanussi acquistata durante i rammoderna- menti per qualcosa come 50-60 milioni. In portineria il casellario delle chiavi di 240 camere è vuoto. Tarabella, il direttore che molti ricorderanno a Torino per essere stato anni fa il direttore della Sala Gay dice: «Una pazzia. Tutto era pronto, tutto è pronto. Potremmo aprire domattina e qui non accade niente. Non tanto per me che ormai ho deciso di andarmene (è la quinta stagione che passo qui), ma per quanti restano nella speranza che ci si decida a riaprire. Tutti sperano ancora che il "miracolo" avvenga, magari in ritardo; ancora in questa stagione. Cose del genere uccidono molti entusiasmi. Due anni fa sembrava andare tutto a gonfie vele, dice, e invece...» e intanto ci infila in una grotta dove sgorga acqua naturale a 62 gradi. In pochi secondi ci ammolliamo di sudore; gli obbiettivi delle macchine fotografiche si appannano. «Ubi Thermae, ibi salus» dice una scritta su un porticato, e sembra un epitafio funebre. Dicono i proprietari degli alberghi «Corborant» e «Ischiator», Edoardo Bagnis e Adriano Della Bella: «Se ci abbiamo rimesso? Noi e i nostri colleghi del "Nasi" e dello "Strepeis", abbiamo ricevuto telefonate di clienti che chiedevano se potevano venire a fare le cure. Altri addirittura si sono presentati con le impegnative delle mutue, perché nessuno li aveva avvertiti che le Terme erano chiuse e se ne sono andati. Ce ne sono che vengono qui, da venti, trent'anni: per curarsi, più che per ferie. Alcuni ora sono andati a Valdieri». « Eh — interviene la moglie di Bagnis — la montagna un po' per volta la fanno morire. Pensi che per attirare un po' di gente, gli "skilift" ce li siamo costruiti noi, con quelli che hanno la casa qui tassandoci chi di dieci chi di quindici milioni. Il danno ha toccato molti. Lo chieda al farmacista di Vinadio, lo chieda ai commercianti di Demonte. Persino al santuario di Sant'Anna si sono accorti della chiusura delle Terme ». Tutti se ne sono accorti, ma nessuno si è mosso. Non c'è stata una petizione, un dibat¬ tito pubblico, un manifesto. In altre zone ed in altri settori dell'economia si sarebbe arrivati a gesti clamorosi di sciopero, o di occupazione. Ma qui siamo in provincia di Cuneo ed i colpiti sono soprattutto operatori economi- ci. Anche su questo fronte non è successo niente. Detto questo, qualcuno si chiederà quale « peste » si sia abbattuta sulle Terme, fermando l'orologio alle ore zero del 31 ottobre dell'anno scorso, giorno della chiusura della passata stagione. Nessuno ne parla volentieri e pochi conoscono esattamente i termini della vicenda. Si lavorava al completo, con 200-220 presenze, più una cinquantina di clienti pendolari che arrivavano con i pullman (due corse gratuite) da Cuneo. La retta rimborsata dalle mutue era di 13 mila cinquecento lire, al giorno, più settemila di cure. Vedremo prossimamente le prese di posizione degli interessati gli amministratori dell'ospedale di Demonte dal quale dipendono le Terme di Vinadio (il presidente Edo Verna, il direttore sanitario prof. Olivati quello amministrativo Bernardi), e quelle della Regione Piemonte (assessore regionale Enrietti). Quale soluzione del problema vedono. Perché una soluzione deve esserci a questo « vento divino » che sembra aver sfiorato i responsabili di questa storia come altrettanti « kamikaze ». Perché, non si può restare attestati ciascuno sulle proprie posizioni a far le bizze, preoccupandosi più di stabilire chi abbia più torto e chi meno ragione, che di sanare una situazione divenuta assurda. A fare il braccio di ferro da una parte c'è la direzione dell'ospedale, con il presidente, il direttore sanitario, quello amministrativo, l'80°-'o dei dipendenti dell'ospedale e il 100"<ó di quelli delle Terme. Dall'altra la « Regione Piemonte ». Ognuno con le sue « buone » ragioni. Secondo il presidente dell'ospedale civile di Demonte, che da quattro anni gestisce le Terme, l'uso delle acque dovrebbe rientrare in un programma più vasto di idrologia medica che si vuole realizzare a Demonte. Costruito nel 1500 per opera del medico cuneese Giavelli, lo stabilimento fu acquistato nel 1973 dall'ospedale di Demonte che rilevò per cento milioni il pacchetto azionario della società « Satea » proprietaria degli immobili, rammodernando completamente le Terme. Secondo l'assessorato alla Sanità della Regione invece, le Terme dovrebbero essere staccate dall'ospedale per essere inserite nella comunità Montana, o nell'unità locale dei servizi. « Un orientamento assurdo — sostiene il presidente Verna —. Il mancato finanziamento ci ha impedito di provvedere all'apertura delle Terme ». Torneremo ad approfondire queste polemiche, ma intanto le Terme restano chiuse. E si parla di tenerle così ancora nel 1979, o addirittura di liquidarle. Sempre, natu ralmente come se non stesse succedendo niente. Mario Bariona direttore Silvano Tarabella salone rinnovato (Foto Sergio Solavaggione)