Affascinanti tele, tra sacro e profano

Affascinanti tele, tra sacro e profano IN UNA GRANDE MOSTRA LA PITTURA A VERONA TRA IL'600 E IL'700 Affascinanti tele, tra sacro e profano Un prezioso lavoro di recupero e di restauro - Capolavori poco noti e un Tiepolo giovane di mostruosa abilità VERONA — L'opera indefessa di studio e di salvaguardia dei documenti della storia pittorica in Verona, ricca nei secoli e per ricorrente ricchezza di humus culturale autoctono e per l'ubicazione nodale della città Ira Serenissima, Emilia e transalpinia imperiale tedesca, condotta soprattutto dal direttore di Castelvecchio, Licisco Magagnato, è presente per la terza volta, fino al 5 novembre, nei saloni del Palazzo della Gran Guardia, di fronte all'Arena (orario continuato; catalogo edito da Neri Pozza, con saggi di Magagnato, S. Marinelli, F. D'Arcais, L. Franzoni, G. Borelli, una cronistoria culturale di G. P. Marchi: 179 schede. 208 ilustrazioni). Dopo gli splendori gotici «Da Altichiero a Pisanello», dopo la. rinascita fra '5 e '600 basata sulle glorie veneziane del Caliari e sulla presenza del Brusasorzi e dei suoi «creati», fino agli echi romani caravaggeschi, troncati dalla peste del 1630, che toglieva di scena Bassetti. Ottino e Creara, è ora la volta della «situazione» 1630-1730. E' un arco intercorrente fra l'esigenza delle strutture ecclesiastiche, specie di Ordini come gli Olivetani e i Teatini, ben più potenti e influenti che non a Venezia, di mantenere «decoro» e committenza in una città stroncata e impoverita anche a livello artistico (donde una politica di importazione di opere ad alto livello, da Bologna o da Venezia), e la rinascita di una situazione vitale e creativa, anche economica (ecclesiastica e laica nobiliare). Questa permette — sotto il segno della grande accademia lardo-barocca e della brillantezza rococò — la slabile presenza di artisti di qualità, dal veneziano Simone Brentana al bolognese Gian Giuseppe Del Sole al francese Lodovico Uongny, e addirittura l'«esportazione» in senso Vverso (Bologna. Venezia, le terre tedesche) di artisti locali altrettanto qualificali e del tutto aggiornati, come Antonio Balestra, Alessandro Marchesini, Felice Torelli: accanto ad essi, e costituenti la rivelazione della mostra, i pittori della rinata «scuola» locale — anche per varietà di forme, di culture, di specializzazioni — da Santo Prunaio e An Ionio Calza, nati poco oltre la metà del secolo, a Giuseppe Lo nardi dello lo Zangara. più giovane di un decennio, e presumi bilmenle non più attivo dopo l'entrata nei Filippini nel 1715 E' una «situazione» acutamente indagala, anche sotto il profilo sociologico, nei saggi del Maga gnato e del giovane Marinelli coordinatore della mostra, sulla traccia delle fonti locali (soprattutto del conoscitore-collezionista Bartolomeo Dal Pozzo, che pubblica nel 1718) e di rivelatrici note del 1939 e 1946 di Warth Arslan, al quale il catalogo è dedicato. La mostra dà conto, con grande chiarezza ed efficacia, e avendo alle spalle un prezioso lavoro di recupero e di restauro — innanzitutto dai fondi inesauribili del Museo di Castelvecchio —, della medesima situazione, per 3uanto è concesso da una increibile falcidia che il tempo ha inferto ad un patrimonio che le fonti ricordate rivelano ben più ricco, in chiese, conventi, oratori, quanto in grandi collezioni, come quella dei Giusti e quella dello stesso Dal Pozzo. Della quarantina di tele dipinte da Del Sole per Ercole Giusti intorno all'ultimo decennio del '600, nessuna è oggi identificabile; la Muddulend e L'Angelo ispira Giuditta presentate in mostra, fondamentali esempi di grande classicismo bolognese, di notevole influsso sull'ambiente locale, provengono da un altro ramo dei Giusti. Meno falcidiate sono state le importazioni di opere di gran nome nella seconda metà del '600. La mostra esordisce, logicamente, con queste. Spiccano quelle del veneziano-vicentino Giulio Carpioni, intorno al 1670 (soprattutto le 'pale per le chiese dei Ss. Siro e Libera e per S. Leonardo); quelle di Mattia Preti, operante negli ultimi trenl'anni di vita, fino al 1699, nell'isola di Malta, dove anche si trovava, come Cavaliere di S. Giovanni, il già ricordato Dal Pozzo, tramite il quale probabilmente le opere approdarono a Verona: soprattutto il Beato Bernardo Tolomei battuto dai demoni di Luca Giordano, del 1676, in S. Maria in Organo, affiancato da due tipiche «favole» pagane, già in Palazzo Archinto a Milano, donate a Castelvecchio nel 1938. Queste le ricche e varie basi per il ricostituirsi di una cultura locale: il classicismo, ma ricco di raffinatissime chiarità cromatiche venete, del Carpioni, che giustamente già l'Arslan riteneva di lunga eco locale (e Magagnato lo ricorda e conferma); la densa drammaticità controriformistica del Preti; il «grande» barocco sacro e profano del G iordano. E ciò è ribadito dagli arrivi di più giovane generazione: il S. Leonardo del 1684. per l'omonima chiesa, del veneziano Gregorio La/zarini, con il suo austero neocinquecentismo: il David davanti alle armi di Saul, già in S. Daniele e ora in Castelvecchio, del giovane veneziano, ma di educazione bolognese, Sebastiano Ricci, esem¬ pio opposto di enfatico classicismo barocco, di clamoroso colore. Siamo, con entrambi, negli Anni 80, e cioè, da un lato, alle prime prove di autocloni come Prunaio e Calza, dall'altro allo stabilirsi in Verona di Del Sole e Dorigny. Quest'ultimo, proveniente da Venezia, è presente con un robusto Giuseppe spiega i sogni al Faraone, da S. Nicolò, basato sul violento contrasto fra una grande anatomia «tenebrosa» in controluce e il liquido cromatismo di Giuseppe, già aprente al '700 (più una serie di disegni riferibili alle ricche decorazioni settecentesche in palazzi e ville veronesi, di cui soprattutto tratta in catalogo la D'Arcais). E' la sezione centrale, portante, della mostra. Meno appetibile, ma culturalmente fondamentale, il Prunaio, perpelualore dell'austerità controriformistica, con il cupo fascino melodrammatico della S. Margherita da Cortona con il cadavere dell'amante, già nel convento di S. Bernardino; piacevolissimo il battaglista Antonio Calza, allievo a Roma del Courtois Borgognone, chiamato anche a Vienna nel 1712-16 dal Principe Eugenio (e in effetti le sue battaglie «di genere», quindi ideali, registrano gran macelli di Turchi). Si giunge quindi al punto no¬ dale, anche critico, della mostra, con le opere certe del veneziano Simone Brentana. stabilitosi definitivamente a Verona intorno al 1686. con soggetti biblici, allegorici, sacri, di robusto impianto tardobarocco e di fresco colore settecentesco (salvo tardi incupimenti). e del suo allievo locale Giuseppe Lonardi. con l'immagine originalissima, di pura impostazione cromatica, e nel contempo elementare a livello quasi popolano, del Sansone e Dalila datalo 1692 per S. Nicolò. Gli estensori delle schede biografiche. F. R. Pesenti e S. Marinelli, contendono fra maestro e allievo la paternità delle cinque straordinarie tele, con Storie di S. Anna, oggi nella parrocchiale di Breonio (dove furono scoperte dall'Arslan). 11 ciclo abbina a vere e proprie imperizie, ingenuità sotto il profilo accademico (figurale e compositivo), eccezionali estri cromatici e luministici, di intuitiva sostanza neoveneta — da Veronese fino a Felli, Strozzi. Maffei —, e capacità, ora narrative ora visionarie, di assoluto, rustico populismo, quasi al livello precognitivo di un Tiepolo contadino. Per tali ragioni, che non sono certo solo formali, propenderei per l'autoctono Lonardi. Dopo di ciò la mostra, che già aveva presentato l'evoluzione del Marchesini dal violento neolintorettismo giovanile del Giona in S. Nicolò, che chiude il '600, all'eletta Arcadia accademica, di tema sacro o mitologico, pregiata anche dai Conti di Schónborn, si chiude con le presenze e situazioni del primo '700, dominato dal richiestissimo accademismo ed eclettismo, prevalentemente a tema sacro, di Antonio Balestra: egli riesce ad esiti, a loro modo affascinanti, di estraniazione classicistica e antiemozionale nel piccolo Cristo alla Colonna. Spiccano al termine un sontuoso Tiepolo giovane, da S. Sebastiano, oggi a Castelvecchio. di mostruosa abilità materico-gestuale (un caso personalmente mai riscontrato altrove: lacca slesa a grosse pennellate per «costruire» in pura trasparenza, sul grigio cupo di un'ara marmorea, le ali di una chimera decorativa, a loro volta velate dal fumo bruno di un braciere);' e i quattro stupendi ritratti dei Marchesi Malvezzi di Felice Torelli, del secondo decennio del secolo, che non solo non scapitano per nulla di fronte a un Galgario o ad un Alessandro Longhi. ma addirittura sembrano anticipare di mezzo secolo i grandi inglesi. Marco Rosei coordinatore della mostra sulla Giulio Carpioni intorn l 1670 i oppoto di enfti lii