Dopo l'uragano che ha destato la Svezia di Mario CirielloMauro Vallinotto

Dopo l'uragano che ha destato la Svezia CAMBIA IL *'MODELLO SVEDESE,, ECONOMICO, POLITICO E SOCIALE Dopo l'uragano che ha destato la Svezia La grave crisi economica sta attenuandosi, ma il deficit nel bilancio statale del '78 sarà di quasi novemilatrecento miliardi di lire: una cifra enorme per un Paese di 8 milioni di cittadini - Nella generale incertezza, i «borghesi» al governo estendono l'industria di Stato, i socialisti rinviano l'offerta ai lavoratori d'una fetta del capitale - Resta l'eccellente burocrazia DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE STOCCOLMA — Poche capitali danno come Stoccolma un senso immediato di continuità. Il suo volto, elegante e maestoso, è quello che avevano le grandi città europee all'inizio del secolo, e anche il suo modernissimo centro ha già un'aria «signorile», da tranquilla e soddisfatta borghesia. Perché meravigliarsi? E' dal 1814 che la Svezia vive in pace con i suoi vicini, che non vede morire i suoi figli. E'dal 1931 che le sue forze dell'ordine non sparano contro una violenta dimostrazione operaia, e tale fu l'orrore che il ricordo di quel conflitto, del tutto eccezionale, e delle sue cinque vittime, opprime ancora il subconscio collettivo. L'ultimo sciopero ufficiale risale al 1945, l'ultimo «gatto selvaggio» al 1958. La Svezia è un pianeta che ha viaggiato attraverso la storia su una propria orbita, remota e diversa. Ma è un'orbita che sembra destinata a cambiare: non oggi né domani, ma in un futuro che già si comincia a intravedere. E' finita per la Svezia l'epoca dei progressi costanti, della fiduciosa evoluzione. Come avverte Axel Iveroth, uno dei leaders più influenti del mondo industriale: «Bisogna essere onesti, e riconoscere che non sarà più possibile per la Svezia continuare ad essere la Svezia». Svezia significa «modello svedese», un ideale in cui non pochi stranieri hanno visto, e vedono, la pietra filosofale della felicità economica, politica e sociale. E' appunto questo «modello» che sta per entrare in sala-chirurgia. Non subirà drammatiche amputazioni, anche se qualche pessimista le considera inevitabili: ma non sarà più quello di prima. Sarà un «modello» forse migliore, ma diverso. Cile forma assumerà V«economia mista» svedese, con una industria ancora privata per quasi il 92 per cento, ma sottoposta a una tassazione e a una legislazione che ne ostacolano sempre più le possibilità di sviluppo? Assu- mera lo Stato nuove responsabilità o alleggerirà quelle già acquisite? In che misura dovranno ridimensionare gli svedesi la loro «rivoluzione delle aspettative crescenti»? Quali ne saranno gli effetti sulla psicologia nazionale? E qui occorre prevenire subito un malinteso. Tutte queste domande non sono ispirate dai due grandi avvenimenti degli ultimi anni, la sconfitta socialdemocratica del settembre '76 dopo 44 anni di monopolio del potere e la successiva crisi economica. Questi due terremoti — perché tali sono stati per la placida e ricca Svezia — hanno senza dubbio portato alla superficie le debolezze strutturali del «modello», hanno agito da catalizzatori, hanno accelerato i tempi: ma non vanno confusi con i meno spettacolosi ma assai più vasti e importanti bradisismi nel sottosuolo svedese. Certo, i problemi sovente si accavallano e si in trecciano, è pressoché impossibile distinguere la linea di confine: eppure è una distinzione necessaria, per la cronaca e per la storia. In questi giorni, ad esempio, la gravissima crisi economica sta attenuandosi, il peggio sembra superato, il domani fa meno paura: ma il futuro degli Anni 80, 90 resta pieno di ombre. Ricordiamo, dunque, i fatti degli ultimi due anni. Nel settembre 76, il Socialdemokratiska Arbetarepartiet di Olof Palme veniva detronizzato da una flessione nei voti di meno dell'uno per cento: e, per la prima volta dal 1932, il potere passava a un governo «borghese», formato da una coalizione di centristi, liberali e conservatori (tutti questi partiti sono chiamati «borghesi». Nessu- , o l o e e i a i , o i e e a i a o o i à l n i a i o o a : o e l i e a l a, a o n di n tdi nò di essi è però di destra: tanto è vero che il conservatore, preoccupato da quel suo nome un po' anacronistico dopo quasi mezzo secolo di socialismo, assumeva tempo fa quello di «partito moderato»). Il nuovo premier, il cupo ma tenace Thorbjórn Fàlldin, leader del «partito di centro», aveva piani ambiziosi, si proponeva persino di «condurre la Svezia fuori dell'era nucleare», di smantellare le centrali esistenti e d'impedirne la costruzione di nuove. Ma, mentre Fàlldin saliva sul vascello e impugnava il timone, si udivano i primi ruggiti di quella bufera che, in pochi mesi, lo avrebbero costretto a puntare la prua verso lidi del tutto diversi Sotto l'effetto congiunto della recessione internazionale, di aumenti salariali del 22 per cento nel '75 e del 17 nel '76 (inclusi i contributi sociali) e di imprevidenti politiche ereditate dai socialisti, la Svezia si affiancava ai «grandimalati» d'Europa. La crociata antinucleare di Fàlldin (osteggiata comunque dai suoi partners nel governo) veniva sospesa in attesa di tempi più tranquilli. C'erano avversità assai più. imperiose. La produzione industriale diminuiva per la prima volta dal 1860: e l'intero prodotto nazionale lordo calava, tra il '76 e il '77, del 2,4 per cento. L'inflazione saliva al 13 per cento e la disoccupazione al due, una cifra ingannevole quest'ultima perché non teneva conto di tutti i lavoratori in impieghi improduttivi, sovvenzionati per ì tre quarti dallo Stato. Il numero delle aziende in difficoltà cresceva di giorno in giorno. Le esportazioni si assottigliavano, la bilancia dei pagamenti mostrava paurose falle. Il governo doveva svalutare la corona e ricorrere a enormi prestiti esteri. Gli svedesi non sono avvezzi a queste convulsioni, erano fenomeni nuovi in violento conflitto con quella loro filosofia della vita riassunta dall'intraducibile parola lagom, che indica tutto ciò che è ragionevole, pacato, misurato, l'opposto di troppo. Nel gennaio di quest'anno tale era la sfiducia che un luminare quale Gunnar Myrdai premio Nobel 1974 per l'economia, concludeva che la Svezia stava precipitando «verso una catastrofe». «Viviamo in tempi pericolosi, gridava. Porse, andremo tutti in malora». E, invece, si scorge adesso qualche raggio di luce. L'uragano non è passato, ma il vento si è fatto meno furioso. Le notizie di questi giorni indicano diversi sviluppi positivi. L'inflazione è calata all'undici per cento e dovrebbe presto toccare il 9 o l'S. Laproduzione industriale sta finalmente risalendo dopo tre anni di declino. Le esportazioni sono in briosa ascesa. Il governo dice: «L'economia sta rianimandosi. Resterà debole per qualche tempo, ma non c'è più il rischio diun collasso». In questi mesi, in questo periodo in cui le innate ansie nordiche alla Ingmar Bergman sono state eclissate da altre più prosaiche forse ma più incalzanti, sono avvenute cose singolari. Ad esempio, il governo «borghese» ha statizzato in misura assai più vasta di quanto avessero mai fatto i socialisti, che, come abbiamo detto, avevano lasciato il 92 per cento dell'industria in mani private (i socialdemocratici svedesi sono sempre stati anti-nazionalizzazione: preferivano pilotare l'industria mediante il credi¬ to, mediante le tasse e la presenza di funzionari dello Stato in alcuni consigli di amministrazione). Ora invece il centrista Fàlldin e i suoi alleati conservatori e liberali hanno nazionalizzato tutti i cantieri navali meno uno: hanno riorganizzato con fondi statali il settore acciaio; hanno comprato le due massime aziende tessili e di abbigliamento; hanno acquistato il 50 per cento delle azioni di un grande stabilimento di computers. «Misure provvisorie», dice il governo; ma nessuno gli crede. I «borghesi» hanno violato e calpestato le loro dottrine economiche più sacre nel tentativo di salvare le industrie agonizzanti e di impedire l'impoverimento di diverse regioni II costo dell'operazione è gigantesco, per una piccola anche se ricca nazione. Il deficit nel bilancio statale 1977 è stato di 3387 miliardi di lire; quello del '78 sarà di quasi 9300 miliardi di lire. Cifre da vertigine, per soli otto milioni di anime. Ma non meno vertiginosa, per gli svedesi è stata un'altra imprevista virata, questa volta socialista. In luglio, la direzione socialdemocratica ha rinviato al 1981 una decisione sull'ormai famoso, e controverso, «piano Meidner». Il disegno, preparato dalla confederazione sindacale, prevede il trasferimento, alla fine di ogni anno, di una percen tuale dei profitti di una azienda a uno speciale fondo, fondo formato da azioni della società stessa. Nel giro di vari anni i dipendenti e i sindacati arriverebbero ad avere la metà ed indi la maggioranza dei pacchetti azionari Le considerazioni elettorali hanno contribuito non poco al ripiegamento socialista: l'anno prossimo, in settembre, gli svedesi torneranno alle urne e Olaf Palme non vuole perdere quei voti che potrebbero riportarlo al potere. Il suo cauto appoggio al «piano Meidner» fu tra le cause del suo insuccesso elettorale nel '76; decidesse ora di abbracciarlo, di favorirne l'attuazione, si condannerebbe a una seconda, e più grave, sconfitta. Tutto si muove, in Svezia. I «borghesi» estendono l'industria di Stato; i socialisti differiscono a un futuro assai vago e remoto l'offerta ai lavoratori di una grossa fetta del capitale. Non è che gli uni vadano a sinistra e gli altri vadano a destra: è che per la prima volta gli svedesi non sanno bene dove andare. Il temperamento e la storia della Svezia non tollereranno cambiamenti radicali come si sono avuti e si hanno, in altri Paesi democratici L'oscillazione del pendolo non è mai ampia qui come può esserlo invece in Francia, in Italia o in Inghilterra, ma non sarà più il «modello svedese» di oggi. Il peggio della crisi pare superato; ma restano quelle debolezze strutturali organiche che richiederanno terapie più coraggiose. Gli investimenti diminuiscono da anni cosi come è in continua discesa la produttività. Per molte industrie non c'è più un futuro, bisogna crearne di nuove, ma non si sa qualiC'è chi sostiene che il rinnovamento deve cominciare nelle scuole, dove l'individualismo appassisce in quello che è considerato un eccessivo «conformismo». Tra i figli più illustri, e più amati della Svezia c'è un personaggio straordinario: Axel Oxenstierna. Fu cancelliere di Gustavo Adolfo, nel 1600, e creò quella magnifica macchina dello Stato che ancora oggi amministra, con maestria, questa nazione. Era un superburocrate, ma con una visione geniale, maestosa, quasi da artista. La Svezia di oggi non ha più bisogno di uomini tanto eccezionali ma alcune delle sue doti potrebbero servire d'ispirazione agli ingegneri siano essi socialisti o «borghesi», dell'inevitabile metamorfosi Mario Ciriello TiÌTii i i ——■«■«■■■aUMi TiÌTii i i ——■«■«■■■aUMi Stoccolma. L'ora di disegno in un asilo modello: pur nella crisi, le strutture sociali funzionano perfettamente (foto Mauro Vallinotto)

Persone citate: Axel Iveroth, Axel Oxenstierna, Gustavo Adolfo, Ingmar Bergman, Meidner, Olaf Palme, Olof Palme