Si vota in America Latina ma poche cose cambiano di Ferdinando Vegas

Si vota in America Latina ma poche cose cambiano Primo bilancio sulla "ronda electoral" Si vota in America Latina ma poche cose cambiano Nell'America Latina il 1978 è l'anno della ronda electoral; e cominciata il 4 gennaio con la farsa del plebiscito di Pinoclic t, si concluderà in dicembre con le elezioni presidenziali nel Venezuela. Nei primi otto mesi si è avuta una vera pioggia di consultazioni popolari, tra elezioni presidenziali, legislative, amministrative, per un'Assemblea costituente o per un nuovo testo costituzionale; devono ancora svolgersi, oltre quelle appena ricordate del Venezuela, le importanti elezioni presidenziali e legislative nel Brasile, a metà novembre. I cittadini si sono recati o si recheranno alle urne nei Paesi più diversi: dalle piccole Repubbliche dell'America centrale e dei Caraibi (Costarica, Guatemala, Salvador, Repubblica Dominicana) all'immenso Brasile, dai Paesi dell'America Latina (Perù, Bolivia, Ecuador, Colombia), al Venezuela ed al Paraguay. Prendendo in esame solo i casi più significativi, bisogna anzitutto distinguere tra le molte elezioni variamente truccate, manipolate o comunque dal risultato già precostituito e le poche nelle quali il responso delle urne manifestava effettivamente la volontà popolare. Nessuno, è evidente, prende sul serio il « trionfo » al 90 per cento del generale Stressner, che il 12 febbraio si è fatto così rinnovare per la sesta volta il mandato di presidente del Paraguay, perpetuando una dittatura personale che dura da ben 24 anni, dal remoto 1954. Nel Guatemala, invece, il 5 marzo vi erano più concorrenti alla suprema magistratura, nessuno ha ottenuto la prescritta maggioranza assoluta dei voti popolari e la scelta è ricaduta sulla Camera; questa ha chiamato un generale di destra a succedere ad un altro generale di destra mascherando, dietro un trasparente velo l'ormale, il mantenimento del potere nelle mani dello stesso gruppo dominante. Anche nelle elezioni più « pulite », del resto, il gioco si svol ge sempre all'interno della classe dirigente tradizionale, politicamente corretto, però senza produrre un autentico ricambio sociale. Così nelle elezioni presidenziali della Colombia, il 4 giugno, un liberale è vero, è subentrato ad un altro liberale; ma anche se avesse vinto il candidato conservatore sarebbe stato Io stesso, poiché, come suona il vecchio detto colombiano « niente ha mai rassomigliato di più ad un liberale colombiano, che un colombiano conserva tore ». Il Costarica, l'« isola del piacere » democratica dell'Amen ca centrale, è il Paese dove si è andato più vicino ad una reale alternanza, con la sostituzione (elezioni del 5 febbraio) di un conservatore al riformista Figueres; ma anche il popolare don Pepe, arricchitosi, era ormai entrato nei ranghi della classe dirigente. Ricco proprietario fondiario è pure Antonio Guzman, eletto il 16 maggio presidente della Repubblica Do minicana, scalzando il regime autoritario di Balaguer, il fedele servitore e poi erede (dal 1966) di Trujillo. Questa volta un intervento politico degli Stati Uniti ha compensato, in senso democratico, l'intervento militare del 1965, che aprì la stra da a Balaguer. Ed invano questi ha cercato di fare annullare la vittoria di Guzman, uffi cialmente insediato il 16 scorso, alla presenza significativa di Vance. II colpo è riuscito invece ai militari boliviani, che il 21 luglio hanno portato alla presi¬ denza il generale Pereda Asbùn, risolvendo così con la forza una situazione farsesca nei suoi sviluppi, ma tragica per il popolo boliviano. Il regime militare di destra, instaurato sette anni fa col « golpe » del generale Banzcr, continua dunque, dopo le elezioni viziate da brogli, dopo il loro annullamento, dopo il colpo militare. Non si sa ancora se continuerà il regime militare vigente dal 1972 nell'Ecuador, dove le elezioni presidenziali del 16 luglio hanno dato la maggioranza relativa al capo dell'opposizione, esponente di un movimento populista, sicché in settembre si svolgerà un secondo turno elettorale. Nel Perù infi, anch'esso sotto regime militare, alle elezioni del 18 giugno per l'Assemblea costituente è emerso al primo posto il vecchio partito populista dell'ultra ottuagenario Haja de la Torre, divenuto ormai un moderato e riconciliatosi con i militari. I capi della Bolivia, dell'Ecuador e del Perù sono di grande interesse perché in tutti e tre i Paesi sono al potere regimi militari che si erano installati con intenzioni riformiste, persino progressiste (tipico il peruanismo), ma poi, attraverso rovesciamenti, sostituzioni o logoramento, avevano perduto lo slancio o anche mutato rotta. E' rimasta però sempre la direttiva di fondo del desarrollo, volta cioè a promuovere lo sviluppo economico, con risultati in parte positivi, ma con la conseguenza, sul piano sociale, di porre fine allo strapotere dell'oligarchia fondiaria e mineraria e dare consistenza ai ceti medi. Le pressioni di Carter per i « diritti umani » hanno dato la spinta finale, tuttavia si deve soprattutto alla mutata situazione interna la decisione dei militari di passare la mano ai civili o, per lo meno, di accordarsi con essi, con una specie di cooptazione che allarghi la classe dirigente senza intaccarne l'omogeneità sostanziale. L'ordine costituito, insomma, non sembra correre rischi nell'America Latina: nei casi peggiori (Brasile, Argentina, Uruguay, Cile e anche Bolivia) è imposto con la più brutale repressione; negli altri casi viene mantenuto o da militari autoritari, anche con patina progressista, o da governi civili moderato-conservatori ben disposti, come ora sta avvenendo, ad alternarsi gli uni con gli altri. Ferdinando Vegas

Persone citate: Antonio Guzman, Balaguer, Figueres, Guzman, Pepe, Pereda Asbùn, Trujillo