Domani quattro votazioni e prime due fumate

Domani quattro votazioni e prime due fumate Domani quattro votazioni e prime due fumate CITTA' DEL VATICANO — Con il classico «Extra omnes» intimato ad altissima voce dai cerimonieri agli estranei, si inizia oggi alle 16,30, dinanzi a tutto il mondo collegato per televisione, il Conclave più numeroso nella storia della Chiesa, il più incerto fra i sei che l'hanno preceduto in questo secolo, da quello dell'agosto 1903 che elesse Pio X. Al canto so'enne del «Veni Creator Spiritus» i centoundici cardinali elettori di quarantasei Paesi dei cinque continenti, tutti sotto gli ottant'anni, entreranno in lenta processione nella Cappella Sistina e da domattina, sabato, voteranno quattro volte (le fumate saranno due) senza aver raggiunto un accordo su un candidato. Si va, dunque, a un Conclave al buio, malgrado le fitte riunioni ufficiali e gli ancor più fitti incontri riservati dei porporati nei diciannove giorni del pre-Conclave. Gli esclusi sono quindici perché hanno superato gli ottant'anni, età limite posta da Paolo VI nella riforma del Conclave emanata nell'autunno '75. Fra essi sono sei italiani: Carlo Confadonieri che, come decano del Sacro Collegio, ha presieduto le riunioni preparatorie e ora deve restarsene a casa; Alfredo Ottaviani, che si autodefinì il «carabiniere della fede»; l'ex segretario dell'ex S. Uffìzio Pietro Parente; Alberto Di Jorio, Paolo Marella, Ferdinando Antonella E ancora, fuori dal Conclave per ragioni d'età, tre statunitensi, uno ciascuno per Germania Occidentale, Unione Sovietica (Giuseppe Slypij, che subì vent'anni di carcere e fu liberato da Kruscev nel 1962 in omaggio a papa Giovanni), Brasile, Argentina, Messico, Uruguay. L'esclusione degli ultraottantenni è uno dei problemi aperti nella Chiesa e in questo Conclave, ed è stato sollevato come questione da risolvere durante le congregazioni generali preparatorie. C'è chi propone per il prossimo pontificato il dilemma, lasciato insoluto da Paolo VI, sulle di¬ missioni, o meglio «rinuncia», del Papa al pontificato e sul controllo della sua condizione fisica da parte del Sacro Collegio. Esiste, infatti, un identikit del nuovo Papa e del suo programma pontificale. E' il solo accordo concluso, anche se l'interpretazione delle qualità specifiche dell'eletto «ideale» diverge a seconda degli orientamenti dei singoli cardinali o gruppi. Il nuovo Papa deve collegarsi alla continuità postconciliare, per molti sviluppando con maggior decisione le iniziative di Paolo VI, per altri retrocedendo; dovrà aumentare il potere collegiale dei vescovi attraverso la struttura del Sinodo mondiale che, secondo i più aperti, dovrebbe contare di più nella Curia romana, mediante un proprio organo di co-governo assieme e accanto al Papa; secondo i conservatori dovrebbe invece restare sul piano platonico. E ancora: il dialogo con le diverse culture sia sul piano •religioso sia su quello politi¬ co (in particolare con i marxisti); le questioni morali la questione della crisi delle vocazioni, accentuata nell'Occidente, minore o in via di superamento in Paesi socialisti e, soprattutto, in Africa e in Asia dove i seminari sono pieni; la questione dei giovani; il problema dell'impegno concreto della Chiesa nella promozione sociale dell'uomo, problema rimasto senza soluzione dopo due Sinodi mondiali che l'hanno affrontato; il discorso ecumenico con gli altri cristiani e coi credenti in Dio; infine, l'elaborazione di un programma anche teologico che risponda alle esigenze della Chiesa degli Anni Ottanta, minacciata da scismi della destra lefevriana che, non a caso, ha inviato un «Cahier de doléances» a cardinali e giornalisti per l'esclusione degli ultraottuagenari cardinali, mentre un altro gruppo di destra ha inondato Roma e gli obelischi di via della Conciliazione di manifesti, manifestini e scritte che intimano ai cardinali: «Vogliamo un Papa cattolico; la scelta è o Mindszenty o Kadar». Fra i centoundici elettori, tutti chiedono al nuovo Papa fermezza e decisione, una visione complessiva sulla cultura, sui fermenti socio-politici e religiosi del nostro tempo, un grado accentuato di pastoralità e religiosità, ma anche sensibilità politica e diplomatica. Se l'identikit dei problemi e di chi dovrebbe risolverli, come capo di 710 milioni di cattolici, è abbastanza delineato, molto meno lo è la persona che risponda a queste caratteristiche. Ma ancor più difficile appare una scelta che, a parte lo Spirito Santo, soddisfi le esigenze di gruppi contrapposti come tendenza di fondo, anche se in superficie si nega che si fronteggino tradizionalisti e progressisti, gli uni e gli altri con sfumature più o meno marcate. La Curia romana, attraverso i cardinali Pietro Palazzini, Silvio Oddi (vicini all'Opus Dei) e Antonio Samorè, è stata molto attiva nel cercare di convogliare su propri candidati (prima Pericle Felici, ora Sebastiano Baggio e, soprattutto, Paolo Bertoli) i suffragi di gruppi moderati e, in particolare, di quei molti porporati europei o del Terzo Mondo che non hanno precisi orientamenti. E' proprio questa base indecisa che deciderà il Conclave. Perciò ad essa si rivolgono anche le attenzioni dei « montiniani » e, se dovesse verificarsi un' impasse, degli stessi progressisti. Grosso modo sembra che lo schieramento curiale entri in Conclave con trentacinquequaranta voti assicurati. Una trentina di voti sarebbero a disposizione, invece, dei porporati più aperti che portano come loro candidato numero uno l'italo-argentino Eduardo Pironio, molto sostenuto dalla maggioranza dei latino-americani in opposizione a Baggio. Candidati di riserva sono Sergio Pignedoli, Salvatore Pappalardo, Antonio Poma, poi probabilmente il primate austriaco Franziskus Koenig o l'olandese Giovanni Willebrands. L'ampia rosa di nomi conferma la mancanza di un candidato o due che svettino sugli altri, come accadde invece nel Conclave che elesse Giovanni Battista Montini (il Lamberto Fumo (Continua a pagina 2 in sesta colonna)

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