Nel Nicaragua 70 deputati tenuti in ostaggio da guerriglieri asserragliati dentro l'Assemblea di Mimmo Candito

Nel Nicaragua 70 deputati tenuti in ostaggio da guerriglieri asserragliati dentro l'Assemblea I "sandinisti,, contro il regime di Somoza: liberati 400 impiegati Nel Nicaragua 70 deputati tenuti in ostaggio da guerriglieri asserragliati dentro l'Assemblea MANAGUA — La situazione rimane estremamente tesa in Nicaragua, dopo l'attacco sferrato martedì nella capitale Managua ai guerriglieri del « Fronte sandinista », che hanno fatto irruzione nel Palazzo nazionale, sede del governo, e vi si sono asserragliati con un numero imponente di ostaggi. Secondo le ultime notizie, i ribelli hanno rilasciato le 400 persone, tra impiegati e visitatori, rimaste bloccate nel palazzo dalla loro azione, ma tengono ancora prigionieri la maggior parte dei 70 membri della Camera dei deputati. Il governo del presidente Anastasio Somoza ha proclamato lo stato di emergenza, chiuso l'aeroporto e le frontiere, e inviato reparti della guardia nazionale a pattugliare le strade di Managua e delle principali città di provincia. Testimoni affermano che alla periferia della capitale sono state innalzate barricate e lanciate bombe rudimentali contro i militari. A peggiorare le cose è venuta anche la scossa di terremoto, che ha fatto tremare il palazzo assediato e suscitato il panico nei quartieri intorno. Martedì pomeriggio una ventina di guerriglieri armati hanno preso d'assalto il Palazzo nazionale e sopraffatto le guardie dopo un'ora di battaglia che ha provocato quattro morti e una quindicina di feriti. Secondo il Dipartimento di Stato americano, in base a informazioni raccolte sul posto, l'attacco al Palazzo nazionale di Managua ha provocato 14 morti e 15 feriti. Il primo ultimatum, che scadeva alle 15,30 (ora italiana) di ieri, poneva sette condizioni per risparmiare la vita degli ostaggi: amnistia per i prigionieri politici, libertà per i sandinisti in carcere e salvacondotti per l'espatrio, lettura di un comunicato alla radio e alla televisione, ritiro a trecento metri dal palazzo degli uomini della guardia nazionale, risposta positiva del governo alle rivendicazioni degli ospedalieri in sciopero da un mese, un milione di dollari in contanti più altri dieci da versare in banche estere e un aereo a disposizione dei guerriglieri per raggiungere Panama con alcuni ostaggi. (Ansa) Grande tre volte la Svizzera, con due milioni e mezzo d'abitanti, il Nicaragua è da mezzo secolo proprietà privata della famiglia Somoza. E' diventato una « Repubblica delle banane » negli Anni Trenta, con l'occupazione dei marines, quando venne sconfitto quel generale Augusto Cesar Sandino ai cui ideali — liberali e patriottici — si rifanno in qualche modo i guerriglieri « sandinisti » che hanno attaccato il Parlamento di Managua. Allora, quando i marines se ne tornarono al Nord, lasciarono al potere il sergente Anastasio « Tacho » Somoza, buon amico di Washington e papà del dittatore che oggi governa il Paese. Ma tra Tacho e Taciuto c'è qualche differenza, perché il populismo arcaico e bonapartista del sergente ha trovato nell'erede solo la fredda pratica manageriale di chi intende sfruttare le risorse e l'economia nazionale come un'azienda di famiglia, senza nulla concedere alle attese facili di quello che un tempo si chiamava il popolino. E poiché la sociologia di quasi tutto il subcontinente non ha certo subito evoluzioni molto rapide, Anastasio Somoza Debayle si trova ora completamente isolato, senza altri appoggi che gli ufficiali dell'esercito. Prevedere una rapida fine del suo potere non dovrebbe essere ipotesi molto azzardata, se si analizzano gli sviluppi politici degli ultimi tempi dentro e fuori dei confini del Paese. Da quando Carter ha lanciato la campagna per i diritti civili, le storie delle dittature e dei poteri oligarchici — certo non rare — in America Latina hanno ricevuto veloci ripassate. La dipendenza economica e politica del subcontinente dalla metropoli, e dalle sue potenti società multinazionali, è quasi assoluta, con un'industria arretrata tecnologicamente, o del tutto inesistente, e con una agricoltura primordiale, incapace di resistere alle oscillazioni dei prezzi internazionali. Gli aiuti, economici e militari, di Washington sono spesso essenziali: e dal loro andamento non è difficile interpretare il giudizio che la Casa Bianca dà sul futuro dei regimi militari o civili al potere. E' la storia anche del Nicaragua. Un accenno di dialogo con l'opposizione, sollecitato dagli Usa, è fallito dopo pochi mesi, a gennaio di quest'anno, quando è stato assassinato Pedro Joaquin Chamorro, direttore de La Prensa e leader d'una forte corrente liberale. Si parlò subito di omicidio di Stato, e i funerali di Chamorro sono stati l'occasione per i primi durissimi scontri tra l'esercito (che è anche polizia) e decine di migliaia di dimostranti. Ma Chamorro era anche, a suo modo, l'interprete del distacco che ormai s'era creato tra il dittatore-manager e la ristretta borghesia bianca delle città: il blocco degli aiuti economici americani e la ripresa delle azioni di guerriglia da parte dei « sandinisti » avevano accentuato l'insicurezza dell'oligarchia che prosperava all'ombra del regime, innescando la prima grave crisi di sfiducia sul suo futuro. Antonio « Tachito » Somoza è rimasto veramente solo. L'impasse che la « guerra del calcio » tra Honduras e San Salvador ha imposto al Mercato comun? centroamericano ha inceppato le ridotte prospettive di desarrollo dell'economia_ nicaraguefia; il terremoto di cinque anni fa aveva poi aggiunto, con le gravissime distruzioni e le migliaia di morti, un'ulteriore riduzione dell'attività produttiva, il cui tasso di sviluppo è appena superiore al 2 per cento. Questo sfascio ha significato, a livello di alleanze sociali, una marginalizzazione del¬ le classi bianche urbane, fino a qualche anno fa complici e sostegno del potere di Somoza. Da parte sua, invece, il dittatore prosperava negli affari: una gestione scandalosa dei fortissimi aiuti internazionali arrivati dopo il sismo gli aveva consentito di dar fiato e capitali alle sue attività industriali, che sono quasi l'intera struttura economica del Paese — un centinaio di banche, alberghi, società di assicurazioni, imprese di export di caffè, cotone e zucchero, miniere d'oro, d'argento e zinco, la compagnia aerea di bandiera, la rappresentanza di numerose multinazionali nordamericane. Un esteso impero di profitti, che s'aggiunge alla proprietà di 15 mila chilometri quadrati di terra. Un piano di ricostruzione varato quattro anni fa, all'epoca della « rielezione » di Tachito alla presidenza della Repubblica, prevede un investimento globale di 6 mila milioni di dollari; ma lo storno e l'accaparramento dei fondi a fini « personali » da parte di Somoza ha prosciugato il piano e vanificato le speranze della piccola borghesia meticcia e degli stessi uomini del regime. La rottura dell'alleanza di potere era stata la prima conseguenza, e su di essa hanno lavorato negli ultimi tempi gli strateghi della guerriglia « sandinista », d'origine ideologica castrista; dice Plutarco Elias Hernandez, 33 anni, il loro leader: « Quando ci siamo resi conto che al socialismo non si può arrivare da un giorno all'altro, attraverso la scorciatoia della rivoluzione armata, e che il sistema democratico è una tappa obbligata, abbiamo allora ricercalo l'alleanza di tutte le forze che si oppongono alla dittatura ». Il primo risultato di questo rovesciamento di alleanze s'è visto nei giorni dei funerali di Chamorro: allo sciopero proclamato dalle organizzazioni semiclandestine dei lavoratori s'è subito accompagnato quello solidale della Camera di commercio, che organizza imprenditori e commercianti. Per due settimane, il Nicaragua è stato completamente paralizzato, mentre i « sandinisti » compivano varie azioni di guerriglia nelle province del Paese, tenendo in scacco l'esercito. La credibilità di Somoza ha perso ogni residua forza, mentre gli Usa bloccavano anche gli aiuti militari: se il dittatore non è ancora caduto, la ragione sta nei legami tuttora stretti che egli mantiene con la Guardia Nazionale, l'unica vera fonte di potere, ormai, a Managua. L'attacco al Parlamento ripete, nella tecnica e nelle modalità, un'azione che i « sandinisti » lanciarono nel dicembre del '74, quando penetrarono nella residenza dell'ex ministro dell'Agricoltura e presero in ostaggio 17 « signori » del regime, tra cui 5 ministri. Come oggi, allora l'opera di mediazione fu messa in atto dal vescovo di Managua, mons. Miguel Obando y Bravo, e i guerriglieri ebbero ciò che chiedevano: la libertà d'una decina di prigionieri politici e un aereo per Cuba. Ci sono molte similitudini con quanto sta accadendo in queste ore a Managua, compresa la dura critica che la Chiesa cattolica muove ormai da anni contro la dittatura di Tachito, di cui denuncia « l'atroce clima di terrore »; ma c'è anche una differenza, che pare decisiva: Carter mostra d'aver fatto altre scelte, e pare probabile che per Somoza sia abbastanza difficile arrivare alla scadenza del suo mandato presidenziale, nel 1981. Mimmo Candito