Cecoslovacchia oggi di Paolo Garimberti

Cecoslovacchia oggi Cecoslovacchia oggi Jiri Pelikan ha ricordato per i lettori di questo giornale i giorni che precedettero e seguirono l'intervento deisovietici e dei loro cinque alleati in Cecoslovacchia, il 21 agosto 19S8, per stroncare quella che ancora oggi la Pravda di Mosca definisce «la controrivoluzione* di Àleksandr Dubcek. La rievocasione di Pelikan si conclude, nella puntata che pubblichiamo, oggi, su una nota di moderato ottimismo: in Cecoslovacchia come nel mondo, e soprattutto in quel microcosmo sempre più frastagliato che è il movimento comunista internazionale, l'esperimento del «socialismo dal volto umano» ha lasciato tracce profonde. In un articolo scritto per Le Monde, Zdenek Mlynar, un altro protagonista della ^Primavera» ora esule in Austria, ha giustamente osservato che l'accertamento di quanto è sopravvissuto del «dubeekismo* (un termine che ormai gli ideologi sovietici equiparano a «trockysmo») è un processo che trascende il caso cecoslovacco e può servire a rispondere a due in terroga tivi fondamentali a più lungo termine. La dittatura di tipo sovietico, come-è il regime imposto a Praga dai carri armati del Patto di Varsavia, può distruggere, in un Paese di tradizioni democratiche, i frutti di tali tradizioni? Una società gestita da una simile dittatura è destinata a diventare una massa di persone dalla mentalità di schiavi, oppure resta una società di cittadini intimamente liberi? Usando sempre il para¬ digma cecoslovacco, la risposta a questi interrogativi può essere trovata su due piani, tra loro interdipendenti Il primo è quello interno. Chiunque abbia visitato la Cecoslovacchia negli ultimi tre o quattro anni, ■ senza fermarsi alla prima impressione di un diffuso torpore, ha potuto rendersi conto che la «normalizzazione» dei proconsoli sovietici non è stata recepita dalla popolazione. Nel suo libro «Praga '68», da poco pubblicato in Occidente, Jiri Hayek, ministro degli Esteri ai tempi di Dubcek e, dieci anni dopo, portavoce del movimento dissidente «Carta 77», ha scritto che oggi in Cecoslovacchia si assiste a una sorta di «ballo in maschera», un grottesco patto sociale: «Permettendo al cittadino di avere un livello di vita relativamente elevato, la direzione (del partito) e il suo apparato gli chiedono soltanto di astenersi dal manifestare opinioni politiche non conformi alla linea ufficiale e di prendere parte ad alcuni atti obbligatori, d'altronde relativamente poco numerosi, del rituale dell'imitò incrollabile del partito e del popolo». Ma questa pace sociale è precaria almeno quanto è fittizia /'unità del partito e del popolo. L'economia cecoslovacca è a pezzi In un Paese tra i più industrializzati dell'Europa orientale, ma totalmente privo di materie prime, l'emarginazione dell'intelligencija tecnica, «compromessa» con il periodo dubeekiano, è stata un'operazione disastrosa per il funzionamento dell 'e- conomia. Oggi la Cecoslovacchia vive in un polmone d'acciaio, alimentato dagli aiuti sovietici Ma se questi aiuti si riducono, la crisi economica è inevitabile e potrebbe fare esplodere le tensioni politiche; che non si sono mai spente dal '68. La «Carta 77», il movimento d'opposizione nato all'inizio dell'anno scorso attorno ad alcuni protagonisti della «Primavera* (Mlynar, Hajek, Kriegel, Huebr, Havel, Vaculik, Kohout, Lederer), è il sintomo di un'inquietudine socioeconomica strisciante. Nel più poliziesco fra i Paesi polizieschi dell'Europa orientale, un movimento di opposizione semiclandesti, no non sarebbe riuscito a raggiungere il migliaio di adesioni ufficiali se non fosse la punta di un iceberg di malcontento, di sfiducia nella direzione politica del Paese, e, infine, di rimpianto per il tempo della «Primavera*. L'isterica reazione del regime alla nascita del movimento (al punto che il ministro degli Interni sovietico Scelokov fu chiamato a Praga per consultazioni) è una confessione di paura. Questo diffuso senso di disagio e d'insofferenza, coagulatosi in una certa misura nel movimento di «Carta 77», dimostra che le tracce dell'esperimento dubeekiano sono ancora vive nel Paese. Ma riuscirà a far rivivere lo spirito del '68, a riportare un soffio della «Primavera» nel partito cecoslovacco? A breve termine non si intravede in Cecoslovacchia alcuno spiraglio di liberalizzazione. A più lungo termine, tutto dipenderà da come si evol¬ verà la lotta di fazioni all'interno del partito, ma anche da come si risolverà, a Mosca, il problema della successione di Breznev. Ma molto dipenderà anche da quanto la lezione della «Primavera* resterà vitale al di fuori della Cecoslovacchia. Ha detto, pochi giorni fa, Ladislav Hejdanek, uno dei tre-portavoce attuali di «Carta 77»: «La "Primavera" di Praga none morta 10 anni fa, quando i soldati sovietici spararono sui nostri ragazzi. Vivrà finché noi non ci sentiremo abbandonati dai nostri amici e da tutti gli uomini liberi del mondo intero». E qui veniamo alla seconda parte della risposta, cui abbiamo accennato all'inizio. La «Primavera* di Praga non è stata, e non è, soltanto un fatto interno cecoslovacco. Essa ha scosso le coscienze del mondo intero e — ciò che è più importante — più all'Est che all'Ovest, più tra i comunisti che tra i liberal-democratici Per il movimento comunista, soprattutto, l'intervento del 21 agosto 1968 è stato uno spartiacque: per la prima volta la dissociazione da Mosca dei maggiori partiti occidentali, ma anche dei partiti jugoslavo e romeno, è stata un fatto ufficiale e collettivo. Ora, le possibilità di resurrezione dello spirito del '68 in Cecoslovacchia, per quanto remote, dipendono anche dalla solidarietà dei comunisti occidentali e dalla loro capacità di spingere questa riflessione e ricerca critica fino alle conseguenze estreme. Paolo Garimberti