La storia del costume francese in un frizzante museo di Parigi

La storia del costume francese in un frizzante museo di Parigi Testimonianze secolari di raffinata eleganza La storia del costume francese in un frizzante museo di Parigi Neanche in Francia, dove già nel 1300 Parigi era riconosciuta come incontrastata capitale della moda, il Museo della Moda e del Costume ha avuto una vita facile. Creato e aperto al pubblico nel novembre del 1956, sulla scia d'una ammirata mostra di abiti del Settecento nei saloni del Museo Carnavalet, ha peregrinato quasi vent'anni, ospite del museo d'Arte Moderna, in Avenue du President Wilson, prima di fare un balzo, appena al di là del corso, nel bel giardino e nel Palazzo Galliera. Qui finalmente hanno trovato una sede degna e sicura, i quasi venticinquemila pezzi, e ben quattromila sono abiti completi, dal 1735 ai giorni nostri, che ne formano l'invidiabile collezione. In vent'anni d'attesa, infatti, il conservatore del Museo, Madeleine Delpierre, con la sua équipe tutta femminile, pronta alla scoperta come all'ago, al lavaggio, alla cura del restauro, è riuscita a triplicare il primo, importante nucleo, dono della Società del Costume e del suo fondatore, il pittore Maurice Leloir; a mano a mano che le esposizioni organizzate dal Museo presentavano in rotazione i vari tesori, tracciando l'evoluzione della moda, dal Romanticismo ai tempi di Proust, dagli Anni folli alle meraviglie del pizzo e del ricamo, millecinquecento persone, che avevano saputo conservare come ricordo di famiglia, splendidi abiti di anni o di secoli lontani, li hanno donati al Madame Madeleine. Interi guardaroba di signore francesi tra la fine del '700 e il nostro secolo sono visibili al Museo Galliera a beneficio dello storico del costume e dell'arte, dello sceneggiatore di teatro o dello stilista, come degli studenti e del curioso. Se un abito alla francese (1750), in grossa seta di Tours, damascata in blu e bianco, è di stupefacente bellezza nel disegno a melograni scoppiati, non meno intriganti apaiono l'abito da pomeriggio, in scuro velluto blu. intaglialo in verde vivo. portato verso la fine Ottocento dalla Contessa di Greffulhe, l'ispiratrice di Proust o il colletto nero in piume di struzzo che riscaldò le spalle esili e le gonfie maniche a palloncino della famosa Cléo de Merode Purtroppo, come lamenta la direttrice del Museo, le sue collezioni sono più ricche di abiti da parata che di quelli semplici per tutti i giorni: le donne che pur avranno indossato con grazia naturale un bell'abito per la passeggiata domenicale, uno molto più pratico per la vita di casa, li portavano fino alla completa usura. Solai e guerre, abbandono o deperimento del tessuto, hanno fatto il resto. Che rimane da noi, a Torino, del tempo delle celebri Sorelle Patriarca, degli anni in cui la capitale subalpina voleva dire moda in Italia e fuori? Al Museo Galliera, ricchezze estremamente fragili, da non esporre troppo alla luce o soltanto in mostre a rotazione, sono conservati fazzoletti di lino bianco a punto ago e pizzo Chantilly, ventagli ottocenteschi e cuffie di seta, borse di seta incollata su legno, epoca Restaurazione e gilè da uomo in taffetas, con i busti di Rousseau e di Voltaire ricamati in seta, insieme all'acconciatura d'automobile, in tulle ricamato e mica, che portava la principessa Murat per difendersi dalla polvere. Fino ad ottobre è aperta ora al Museo una mostra di eleganze francesi, riassuntiva dell'immensa collezione, in duecentocinquantasette pezzi. Una carrellata di jupon, di panici', di abiti impero e crinoline, ma anche di grandi giacche da uomo, aperte sul gilè bianco in satin, entrambi con ricami di tale furiosa bravura da non sembrar opera di eccelse mani del Settecento, ma del pennello. Ogni gruppo di manichini è raccolto in brevi stands tappezzati e arredati con il gusto dell'epoca; gli abiti sono incredibilmente freschi, gli accessori numerosi come i gioielli, nulla che sappia di polvere o di museo, tutto molto vivo fino agli abiti di Poiret, di madame Vionnet, di Dior. Così si guardano con più partecipe interesse le fatture dei mercanti di stoffe, di sete, della modista Léontine, in Place Venderne. Farsi un abito, fino a metà Ottocento, era tutt'altro che semplice, occorreva ricorrere al lavoro di un gran numero di persone, dal sarto al ricamatore, dal mereiaio per le guarnizioni, al tessitore di pizzi. L'Alta Moda, in germe al tempo di Maria Antonietta con gli atelier di Rose Bertin e di Hippolyte Leroy, nasce con Charles Frédéric Worth. Sempre in contatto, per i disegni di ricami e di stoffe, con i pittori: fino a ieri, come si vede nel mantello del 1925, ricamato su tela in lana beige e marron, sui disegni Art Déco di Sonia Delaunay. Lucia Sollazzo

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