Due ruote spinte da un potente motore La morte che si compera "a chilometri " di Giorgio Viglino

Due ruote spinte da un potente motore La morte che si compera "a chilometri " L'esperienza della bicicletta non basta per fare un buon motociclista Due ruote spinte da un potente motore La morte che si compera "a chilometri " Le statistiche parlano in favore dei guidatori di motociclette rispetto agli automobilisti, ma mai come in questo caso il dato matematico appare lontano dalla realtà. In Italia si accumulano gli incidenti che hanno per vittime per lo più ragazzi inesperti, e anche se sui grandi numeri mondiali il dato non è influente, resta per noi importante in chiave di fenomeno negativo nazionale. Il motociclismo è praticato da milioni di persone in tutto il mondo, milioni che affrontano la guida del mezzo a due ruote e con una preparazione molto più completa che i guidatori italiani d'auto. In quasi tutti i Paesi europei esiste una speciale patente per i motociclisti e sono funzionanti scuole guida equipaggiate con mezzi di diversa potenza. In Inghilterra, chi ha preso la patente da meno di 18 mesi deve esporre sulla motocicletta la grande « L », simbolo usato anche sulle auto per indicare un allievo (« learning ») o un principiante; per di più chi espone la « L » non può usare motocicli superiori a 250 ce. di cilindrata finché non ha maturato i 18 mesi di anzianità. In Germania, la restrizione riguardo alla ci¬ lindrata dei motocicli è sull'età del guidatore, mentre in Svezia sono sommate le limitazioni per il novizio e per il giovane al di sotto dei 21 anni. Quando poi si è a cavallo di una motocicletta, contano assai le protezioni che il motociclista indossa, visto che per sua natura il mezzo non dà riparo. Anzi, uno dei punti positivi, visto nell'ottica assicurativa, è la via di fuga che il guidatore a due ruote ha nei confronti di quello a quattro, ma perché rimanga il vantaggio è indispensabile avere il corpo ricoperto con una tenace tuta e soprattutto la testa riparata da un casco. Italia e Grecia sono gli unici due Paesi dell'Europa Occidentale e Orientale a non avere mai introdotto l'uso obbligatorio del casco. Non è facile individuare le ragioni che hanno spinto i greci a rinunciare alla precauzione minima, ma per quel che riguarda il nostro Paese, è certo che un grosso molo lo hanno giocato le pressioni dei fabbricanti di motocicli (appoggiati dalla troppo compiacente federazione sportiva nazionale) timorosi di perdere una fetta di mercato con l'aggiunta di un nuovo costo. D'altro canto, proprio in Italia fioriscono le industrie di fabbricanti di caschi (la produzione nostrana copre il 25 per cento di quella mondiale) e non tutte lavorano seriamente, cosicché bisognerebbe immediatamente prima di rendere obbligatorio l'uso del casco, stabilire anche i criteri di omologazione per i caschi stessi Meschini interessi commerciali, mancanza di conoscenze tecniche a livello legislativo, sono concause importanti, ma in molti casi si aggiungono anche preoccupanti carenze nei mezzi meccanici che troppo facilmente ottengono l'omologazione per l'uscita in strada, oppure prestazioni sproporzionate che servono sì ad allargare la clientela, ma tolgono ogni margine di sicurezza. In più, secondo la mentalità italiana, la guida di una motocicletta si può ottimizzare met! tendo insieme una modesta esperienza da ciclista e una normale pratica da automobilista. Questo modo di pensare è assolutamente sbagliato e incide in modo determinante anche nella dinamica di molti incidenti che con un minimo di abilità da parte del conduttore del mezzo più maneggevole avrebbero potuto essere evitati. Un altro elemento di sicurezza del¬ la motocicletta è proprio la | facilità di trovare un varco libero per passare, di scartare all'ultimo secondo, di non presentare che un minimo ingombro, ma sono necessari riflessi pronti e una dimestichezza assoluta col mezzo, non l'illusione che i freni possano essere determinanti come su un veicolo a quattro ruote. L'incapacità media del motociclista italiano la si verifica soprattutto sui mezzi da fuoristrada, sui quali i guidatori non hanno da temere i pericoli del traffico. Il numero di incidenti (moto ribaltate addosso al guidatore, scontri con alberi, salti da grosse pietre, ecc.) è incredibilmente elevato e soltanto in parte imputabile alle carenze dei mezzi (telai deboli, cerchioni che si deformano, parti meccaniche che saltano sotto sforzo) cui si accennava poco sopra. Sulla strada, il discorso vaI ria. L'assoluta mancanza di disciplina che regola la circolazione automobilistica finisce per rendere veramente pericoloso il cammino del motociclista che è indifeso di fronte ad improvvisi cambi di direzione, a tamponamenti e urti laterali, a difetti strutturali come la mancanza di luci di posizione, a scorrettezze come la partenza ad un semaforo ancora in fase di cambiamento di colori. Bisogna rifarsi quindi all'insufficiente applicazione delle forze dell'ordine, che non circolano in mezzo al traffico rilevando le infrazioni più gravi, ma aspettano ad un punto fisso per esercitarsi su altre assai meno pericolose. Inoltre anche qui c'è una carenza legislativa che non ha mai studiato il mezzo a due ruote per prescrivere la migliore dotazione di luci, lampeggiatori direzionali, catarifrangenti che 10 rendano almeno più visibile nelle ore notturne. Come ultimo, appunto, la mania di velocità, assecondata dalle Case poiché più 11 mezzo è veloce, più alto è il suo prezzo di vendita. L'Italia è il secondo Paese in Europa dopo la Francia nella produzione dei ciclomotori, ma nella circolazione dei motocicli superiori a 500 ce. che sono prodotti tutti o quasi in Giappone, è a sua volta al secondo posto alle spalle della Germania. La velocità è pericolo, e su questo assioma non si può discutere. Tutt'al più inaspriamo i limiti e soprattutto facciamoli rispettare fin dall'origine, cioè dal costruttore. Giorgio Viglino