C'è qualcuno che pensa a noi

C'è qualcuno che pensa a noi Abbiamo portato l'aiuto dei lettori ai sinistrati della Valle d'Ossola C'è qualcuno che pensa a noi Il commosso grazie di tre donne rimaste senza nulla - Una parola di conforto e un aiuto agli abitanti più colpiti della Val Vigezzo dove la furia delle acque ha compiuto feroci devastazioni - Ora si lavora con tenacia DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE DOMODOSSOLA — A Malescio i curiosi che si affollano alle transenne poste in cima alle altissime sponde che il Melezzo si è scavato in regione Zornasco, scorgono ogni giorno, sullo sterminato greto di macigni e tronchi, una donnetta in ciabatte che fruga tra i sassi o segue il corso del torrente ridiventato un insignificante nastro di acqua. E' Erminia Cattani, la « postina » (o meglio l'impiegata postale) del Comune. Cerca qualcosa, un pezzo di mobile, un quadro, un ninnolo della bella, accogliente casetta di pietre e cemento che si era costruita nella piana di Zornasco e nella quale viveva con la sorella Carla e la madre. Quella « casetta da bambola» (cosi la chiamavano in paese) messa assieme risparmiando mese per mese sullo stipendio, non esiste più: l'acqua, « un mare in burrasca », in pochi minuti l'ha sradicata assieme ad altre sette ville, a un condominio con 14 appartamenti, una fabbrichetta di confezioni, una cappella del Seicento e la segheria di Luciano Gamba. Alla sirena della piccola fabbrica devono la salvezza gli abitanti della frazione: raggiunta dall'acqua si è messa a suonare gettando l'allarme e permettendo la fuga prima della catastrofe. La madre della Cattani, una donna anziana e invalida, prima di mettersi in salvo («Perché scappare? Qui siamo al sicuro, il fiume è tanto lontano!»), ha chiuso la porta a chiave. Ora, l'anziana signora si sente « un ramo secco strappato dall'albero ». Alle tre donne, rimaste con le vestaglie che indossavano al momento della piena, e che ora vivono ospiti della generosità di un compaesano, Remo Mafflni, abbiamo portato l'aiuto dei lettori de «La Stampa». Piangevano e si scusavano di accoglierci cosi male in arnese: «Non immaginavamo — ci hanno detto — che ci fosse qualcuno che da lontano pensasse proprio a noi». Chi non ha visto i sinistrati a cui tre ore di nubifragio hanno portato via tutto quel¬ lo che possedevano non può capire quanto in questa gente sia profonda la speranza di voltare pagina e ricominciare. Ma come ricominciare se c'è polemica persino sulla necessità di una legge speciale? La paura di tutti è che, allontanandosi l'immagine viva del « terremoto » idrogeologico, anche la collaborazione dello Stato e della Regione venga meno e l'Ossola ricada nel silenzio. Un oblio che sarebbe come una condanna a morte, specie per la Valle Vigezzo, legata al turismo e oggi pressoché isolata. Saliti ieri in Valle Vigezzo con il trenino azzurro che è ormai l'unica possibilità di collegamento diretto, ci siamo rivolti alla Comunità montana per avere gli elenchi dei danneggiati. Non li aveva ancora compilati: nessuno chiede nulla, non c'è tempo per fare l'inventario dei danni, lavorano tutti nel fango con badili e carriole a svuotare le case dai detriti, puntellarle, ad allineare i mobili all'aria aperta perché si asciughino, a rimuovere le enormi pietre trascinate davanti all'uscio, che spesso non c'è più, strappato via dalla furia improvvisa del « piccolo rio » che ha devastato orti, pollai, giardini. Del suo giardino Giuseppe Caretti, 52 anni, muratore, aveva tanta cura da essersi persino meritato il primo premio in un concorso bandito dal Comune di Druogno. Ora, seduto su un tronco scortecciato dal torrente che si è avventato sulla casa, osserva sconsolato l'unico alberello rimasto, stranamente addobbato di oggetti irriconoscibili. Non avrà mai più un giardino, i soffitti della casa crollano, qualcuno ha già ceduto, forse dovrà andarsene. Ma quando riceve l'assegno che siamo venuti a portargli, vuole che lo accompagniamo sotto l'albero e ci spiega che tra le aiuole c'erano anche tre nanetti portafortuna finiti chissà dove e che è deciso a ritrovare. Pietro Caretti, 87 anni, è il decano di Druogno. Abita in solitudine in una stanza buia lungo la via principale. Quando ha sentito quel « terribile colpo alla porta » che non potrà mai dimenticare, e si è ritrovato « con l'acqua sino al collo », ha chiuso gli occhi e ha pensato di essere giunto alla fine. Ora non sa come esprimere il suo stupore di ritrovarsi attorniato da una folla di persone che s'interessano a lui. Paolo Cheula, 74 anni, portato via all'ultimo con la moglie Luigia, i due figli e le due nipotine dalla casa invasa dalle acque, piange come un bambino quando gli consegniamo il contributo. Da tempo è costretto a camminare con le grucce e ora, lui, messo comunale che curava i boschi, « si sente inutile, quasi colpevole, per non poter essere con gli altri che faticano a recuperare il recuperabile ». Domani saremo nuovamente nei luoghi colpiti a portare la solidarietà dei lettori a questa gente che ha perduto tutto Vittoria Sincero Volontari del Genio civile lavorano per ricostruire una casa danneggiata a Toceno (Foto Piero De Marchis)

Persone citate: Cattani, Erminia Cattani, Foto Piero De Marchis, Giuseppe Caretti, Luciano Gamba, Paolo Cheula, Pietro Caretti, Vittoria Sincero

Luoghi citati: Comune Di Druogno, Domodossola, Druogno, Malescio, Ossola, Toceno