Ad Adrianopoli nell'agosto 378

Ad Adrianopoli nell'agosto 378 FINE O TRASFORMAZIONE? Ad Adrianopoli nell'agosto 378 Milleseicento anni fa, il 9 agosto del 378, la popolazione germanica dei Goti inflisse all'esercito romano presso Adrianopoli (antica Tracia, odierna Turchia europea) una tremenda sconfìtta che segnò, secondo alcuni storici antichi e moderni, la vera fine dell'impero romano d'Occidente. Per l'imperatore Valente, sconfìtto e ucciso in quella battaglia, non ci fu né comprensione né pietà. I particolari stessi della sua morte sono avvolti d'incertezze e contraddizioni, segno non ambiguo di rancori che si trascinano fin oltre la tomba. Di lui si disse che era caduto combattendo tra i suoi soldati e non era più stato ritrovato nell'ammasso di corpi che i Goti, a vittoria ottenuta, si eran dati a spogliare al calar della notte. Ma secondo un'altra versione, l'imperatore, colpito da una freccia, era stato trasportato da alcuni soldati della guardia in una villa di campagna, munita di fortificazioni, e qui assediato da un gruppo di inseguitori che, insofferenti della resistenza'incontrata, vi appiccarono il fuoco, bruciando vivi lui e i suoi uomini. Ammiano Marcellino, il grande storico pagano a cui dobbiamo la narrazione più circostanziata di quel tormentato periodo, riporta entrambe le versioni senza pronunziarsi. Ma i cristiani di fede cattolica, che Valente, seguace dell'eresia ariana, aveva duramente perseguitato durante i suoi quattordici anni di regno, non ebbero esitazioni a scegliere la seconda versione, quella del rogo. Meno gloriosa e più atroce, meglio forse essa si prestava a suggerire l'idea di un castigo dall'alto contro il persecutore della Chiesa. Per Orosiò, 10 storico cristiano che scrive una quarantina d'anni dopo quei fatti, non soltanto la morte dell'imperatore nell'incendio della villa è sicura, ma egli ne dà anche una spiegazione teologica così arzigogolata da fare impallidire le più astruse disquisizioni di un teologo dell'età barocca. Valente infatti, secondo Orosio, non aveva soltanto perseguitato la Chiesa, cacciando molti vescovi cattolici dalle loro sedi, confiscando i beni ecclesiastici e obbligando i piissimi monaci degli eremi egiziani ad arruolarsi nell'esercito. Aveva fatto di peggio. Ai Goti, quelli stessi di Adrianopoli, aveva concesso pochi anni prima, senza condizioni né precauzioni di sorta, di stanziarsi al di qua del Danubio che segnava 11 confine dell'impero, sottraendosi all'invasione degli Unni, e quando avevano manifestato la loro intenzione di convertirsi al cristianesimo aveva inviato loro missionari di confessione ariana, ride eretica. Così facendo, li aveva malvagiamente destinati al fuoco eterno ed essi, per una disposizione divina analoga a quella che Dante osserverà nel contrappasso, si vendicano in qualche modo di lui bruciandolo vivo. Si può ben sorridere di questi bizantinismi teologici ma non fino al punto di ignorare che sotto il velo di essi si cela un certo tipo di risposta a una questione politica, allora di bruciante attualità: il rapporto dell'impero romano con i Barbari. A questo problema continuava a dare una risposta intransigente e bellicista il nazionalismo romano, chiuso nel vagheggiamento di un passato, ormai irripetibile, che aveva visto le armi romane vittoriosamente all'offensiva sui monti della Britannia come nelle foreste della Germania e lungo la valle del Danubio. Al tempo degli avvenimenti di cui parliamo, dopo la metà del quarto secolo, questo sogno di distruggere o, alla peggio, sottomettere i Barbari era tipico della aristocrazia pagana, di grandi burocrati e proprietari terrieri, i quali vedevano i loro possedimenti delle province periferiche perdere di valore o andare in rovina per le continue guerre e invasioni che inducevano i coloni a fuggire e anche, talora, a far causa comune con gli invasori. Ma anche tra i cristiani non erano né pochi né poco influenti quelli che, sul problema dei Barbari, la pensavano in manièra non molto diversa dal nazionalismo romano tradizionale. Le vittorie di Teodosio e di Stilicone sui Barbari non suscitarono, in campo cristiano, minori entusiasmi che in quello pagano. Non mancavano però tra i cristiani anche quelli che sembravano del tutto indifferenti, quando non ostili, all'impero e al suo futuro, ed esclusivamente preoccu pati di diffondere e salvaguardare la dottrina e la morale evangeliche. Per costoro i Barbari erano semplicemente uomini a cui il messaggio evangelico doveva es sere annunziato, secondo la missione affidata da Cristo alla Chiesa. Un passo più in là di questo, e si giungerà alle posizioni di chi, come Salviano di Marsiglia, esalta le qualità morali dei popoli invasori al di sopra di quelle dei Romani. La demarcazione tra queste due posizioni non è però così netta. Anzi, si può dire che esse emergono raramente allo stato puro, soltanto in occasione di certi eventi eccezionali, favorevoli o disastrosi, soprattutto questi ultimi. Nella prassi ordinaria le due posizioni sembrano fondersi e confondersi in una posizione, per così dire, di compromesso^ che crede possibile un'integrazione dei Barbari .nella Chiesa e, quindi, nell'impero per via parifica e senza traumi. Anche gli imperatori cristiani, soprattutto dopo il fallimento della politica revanscista di Giuliano, sembrano adottare una linea di questo tipo. Ciò è abbastanza evidente negli imperatori d'Occidente che subiscono l'influsso del vescovo di Milano Ambrogio. Anche il comportamento di Valente verso le tribù gotiche, prima dei fatti di Adrianopoli, è su questa linea: il permesso loro accordato di stabilirsi nella provincia romana della Tracia e l'invio di missionari per convertirli si ispirano chiaramente ai criteri di una politica d'integrazione. Rimane, a questo, punto, il fatto della preferenza da lui accordata all'eresia ariana che egli provvede con cura a diffondere anche tra i Germani, come Orosio aspramente gli contesta. Puro zelo missionario derivante dalla sua personale scelta religiosa oppure, anche, calcolo politico che teneva conto della rivalità esistente tra la sua parte orientale e la parte occidentale dell'impero, dove la confessione cattolica aveva il sopravvento? Nella sua decisione non ci sarà stata anche la speranza di legare, per quella via, le tribù germani¬ che, ancor più che all'impero e alla romanità, alla sua parte e alla sua causa? Ammiano ce Io descrive come un uomo chiuso e di rftdente. E frutto di diffidenza e «li ostilità verso l'Occidente fu anche l'ultima sua mossa, quella eh*- y,li costò il trono e la vita, quando con «funesta testardaggine» attaccò i Goti senza attendere l'arrivo del collega occidentale, il giovane e valoroso suo nipote Graziano. Ma, quali fossero le ragioni e i sentimenti che indussero Valente a diffondere l'arianesimo tra le popolazioni germaniche, il fatto ebbe per l'Occidente gravi conseguenze, allorché cominciarono le migrazioni in massa di quei popoli dentro i confini dell'impero. Spesso l'impatto con le popolazioni preesistenti, già drammatico per una quantità di ragioni evidenti, si fece più aspro per i conflitti di natura religiosa. Gli ultimi anni del regno italico di Teodorico ne sono una testimonianza eloquente. Il cammino che i popoli d'Europa dovevano compiere, nei lunghi tempi bui che seguono la fine dell'impero, alla ricerca di una nuova unità civile e culturale, era destinato a prove ben dolorose, se anche la prima, la più elementare unità, quella della fede, era stabilito che non si realizzasse senza rovine e lutti! Eugenio Corsini

Persone citate: Ammiano, Ammiano Marcellino, Eugenio Corsini, Goti, Milano Ambrogio

Luoghi citati: Adrianopoli, Europa, Germania, Marsiglia, Tracia, Turchia