IL MONDO CATTOLICO CHE ATTENDE IL NUOVO PAPA di Alfredo Venturi

IL MONDO CATTOLICO CHE ATTENDE IL NUOVO PAPA IL MONDO CATTOLICO CHE ATTENDE IL NUOVO PAPA La Chiesa nella cultura africana ROMA —Al sinodo dei vescovi dal Continente nero arrivò la richiesta di potersi dare una 'teologia africana*. Una espressione dagli effetti dirompenti, anche se si richiamava allo spirito del Concilio, ad una soluzione liberale del problema di una Chiesa •unita e diversa», del rappor-, to fra Roma e le Chiese locali. Di fronte alla pressione africana, Paolo VI riconobbe la necessità di trovare «una miglior espressione della fede che corrisponda alle realtà razziali, social, e culturali», ma aggiun.se subito che «sarebbe pericoloso parlare di teologie diverse a seconda dei continenti e delle culture». Cosi gli africani corsero ai ripari. Il vescovo tanzaniano James Sangu definì la teologia africana, niente più che «un ripensamento del cristianesimo in termini africani»; lo scopo, precisò, non è di cambiare la religione, ma di «renderla comprensibile alla nostra gente, al suo modo di pensare, alla sua filosofia di vita». Con tutto il rispetto per le dottrine aristotelico-tomistiche, disse Sengu, si tratta di modelli scaturiti da «controversie religiose del passato che ci sono completamente estranee». La richiesta al sinodo del 74, dunque, non era che la richiesta di «poter lavorare per l'incarnazione del cristianesimo nella cultura africana, per costruire un'autentica Chiesa africana non più modellata sulle Chiese da cui sono venuti i nostri missionari». Non ha forse detto il Papa, nel suo viaggio in Uganda del '67, che gli africani devono farsi •missionari di se stessi» ? Si va avanti, dunque, e nel dicembre '77 l'associazione dei teologi del Terzo Mondo tiene ad Accra, Ghana, un convegno su quel tema specifico. Vi si parla di •teologia contestuale», intendendo così una dottrina che prenda atto delle situazioni concrete. In pratica, s'invoca una ben precisa militanza politica: «Vediamo il movimento di Dio nella nostra speranza per una società giusta e libera in Africa». Si denuncia l'oppressione, che non è soltanto coloniale o neocoloniale, ma anche «dei neri sui neri»; eco evidente dei tempestosi rapporti fra Stato e Chiesa in alcuni Paesi militanti, come la Guinea o l'Angola. Dal convegno di Accra emergono tre tendenze: una teologia di adattamento, per avviare l'integrazione del da- to tradizionale dell'Occidente con la cultura africana:' una teologia critica, che si propone revisioni basate sulla Bibbia; infine una teologia della liberazione, di chiara provenienza latino-americana. E' la decolonizzazione religiosa, il ruolo della Chiesa individuato nella lotta contro le ingiustizie sociali, economiche e politiche, è il cattolicesimo militante che fu proposto al mondo, nel '68, dalla conferenza generale dei vescovi d'America Latina a Medellin, Colombia. Non è la sola novità, questa, del ripensamento teologico, a rimbalzare dalla Chiesa africana. Una Chiesa giovane, così come è relativamente giovane, sulla sessantina, l'età media dei dodici cardinali che la rappresenteranno nell'imminente Conclave. Una Chiesa nata dalle missioni, quindi coinvolta nel crollo di quel colonialismo di cui le missioni sono state parti integranti, e ansiosa di recuperare quel tempo perduto, quel prestigio appannato. Su quattrocento milioni di africani, quarantotto e mezzo erano al 31 dicembre 1975, secondo le statistiche vaticane, i cattolici battezzati. Un po ' più del 12 per cen to, con estremi contrapposti di densità in Somalia (appena lo 0,1 per cento di cattolici) e nel Capo Verde (95,5 per cento). Di fronte a questi dati, l'impressionante vastità del fenomeno islamico. Nel quinto secolo, si ricorda negli ambienti vaticani, nel Nord Africa c'erano un migliaio di vescovi cristiani. Poi arrivarono le ondate del mare arabo, e sola sopravvisse la piccola isola copta d'Egitto. Proprio il rapporto fra Cristianesimo e Islam viene considerato «la più urgente que¬ stione religiosa dell'Africa moderna», secondo l'espressione di Sean Kealy, un frate irlandese che insegna nel collegio universitario Kenyatta di Nairobi, Kenya. Kealy parte dalla constatazione che all'ecumenismo conciliare cattolico fa riscontro, da parte islamica, il fatto che «l'imbarazzante concetto di Jihad, la guerra santa raccomandata dal Corano contro i pagani, gli ebrei e i cristiani, viene oggi tacitamente ignorato». Altro fatto incoraggiante: in alcuni Paesi africani viene abbandonato il vecchio integralismo islamico, la religione musulmana tende a darsi strutture di Chiese nazionali. Dal Jihad e dalle Crociate di tempo n'è passato: e in molti Paesi d'Africa si formano commissioni islamico-cristiane per lo studio delle questioni comuni alle due grandi religioni. Altre novità dalle Chiese africane: stimoli al rinnovamento liturgico, rilancio della dama sacra, un lavoro in comune con i protestanti nelle scuole (è il caso della Tanzania), una particolare attenzione al problema del celibato ecclesiastico. Vengono anche, dall'Africa, sollecitazioni e suggerimenti sulla grande questione del rapporto con il comunismo. Si parte da un dato di fondo: le trasparenti analogie fra il solidarismo cristiano e le forme di comunismo tribale della tradizione africana. Si cita il presidente tanzaniano Nyerere: «Quando cominciammo a criticare il feudalesimo e il capitalismo, non ottenemmo l'appoggio della Chiesa. Non è spaventoso lasciare che siano solo gli atei ad identificarsi con i poveri e ad essere i loro portavoce?». Gruppi protestanti, rilevalo studioso Walbert Buehlmann, e anche gruppi musulmani sono entrati nel meccanismo dell'ujamaa, che è il movimento comunitario del socialismo tanzaniano. Di occasioni ne ha perdute, in Africa, la Chiesa cattolica. Nel '71 un vescovo angolano parlava, a Lisbona, di «vocazione divina» del Portogallo, di conquiste territoriali animate dalla «intenzione specificamente cristiana di propagare la fede». Un vescovo mozambicano, a Roma, sosteneva che non già il colonialismo, ma la «sovversione» bisognava condannare. Il clero di quelle province portoghesi d'oltremare non era certo compatto, dietro simili affermazioni: ma le voci di protesta non sempre trovavano eco, a Roma. Si preferiva concentrare la denuncia anticolonialista contro la protestante Pretoria, lasciando in pace la cattolicissima Lisbona. Sono errori che si pagano, che avvelenano le relazioni con i nuovi Stati indipendenti, nonostante lo sforzo autocritico di una Chiesa locale impegnata, come s'è visto, a decolonizzare se stessa. L'ultimo grido d'allarme viene dal clero angolano: «Abbiamo l'impressione che si cerchi di paralizzare la Chiesa...». Fino a quando la Chiesa sarà sentita estranea, europea, latina, non potrà superare queste difficoltà. Buehlmann dice che essa deve «deporre la sua corazza occidentale», per «sincronizzarsi con gli eventi del mondo». Alfredo Venturi Roma. Il cardinale Laurian Rugambwa durante una conferenza (foto La Stampa)

Persone citate: Buehlmann, James Sangu, Kenyatta, Medellin, Mondo Cattolico, Nyerere, Paolo Vi, Sean Kealy