Telefona un ufficiale ungherese

Telefona un ufficiale ungherese JIRI PELIKAN: COME HO VISSUTO L'INVASIONE DI PRAGA DIECI ANNI FA Telefona un ufficiale ungherese Il Presidium del partito si riunì alle due del pomeriggio di martedì 20 agosto. Dubcek aveva proposto che il primo argomento all'ordine del giorno fosse il suo progetto di rapporto per il XIV Congresso. Ma Alois Indra e Drahomir Kolder, due segretari del Comitato centrale, suggerirono Invece che si discutesse per primo il rapporto che essi avevano preparato insieme con Karel Hofman nel tre giorni precedenti. Evidentemente avevano deciso di manifestare apertamente le loro critiche alla direzione di Dubcek. Nel loro rapporto, difatti, si affermava che il partito non controllava la situazione nel Paese, che l'unità della Cecoslovacchia era basata sul nazionalismo anti-sovietico, che i cittadini identificavano il partito con la sola persona di Dubcek, che il XIV Congresso rischiava di svolgersi sotto l'indebita pressione dell'opinione pubblica e della stampa. La loro conclusione era che il Congresso andava aggiornato, che stampa, radio e televisione dovevano essere poste sotto un più severo controllo e che certi dirigenti del partito andavano cambiati prima del Congresso stesso. La controffensiva dei conservatori filosovietici era ormai in corso. Rispose per tutti Kriegel, un vecchio comunista, che aveva fatto esperienze in Spagna, in Cina e a Cuba. Accusò Indra e Kolder di aver usato gli stessi argomenti della «lettera dei Cinque» di Varsavia. Al voto, la fazione di Indra risultò minoritaria e fu deciso che per primo sarebbe stato discusso il progetto di rapporto di Dubcek e successivamente quello di Indra e Kolder. Ma Dubcek e i suoi amici non sapevano che la manovra di Indra e Kolder era stata concordata con l'ambasciata sovietica allo scopo di guadagnare tempo, tenendo impegnata la direzione del partito fino allo scoccare dell'* ora X », fissata da Mosca per l'intervento armato. Le opzioni del piano sovietico erano due. Se la direzione approvava il rapporto di Indra e Kolder, questo sarebbe poi stato usato come giustificazione per l'intervento armato. In caso contrario, la discussione del rapporto sarebbe sei-vita comunque a paralizzare la direzione in una prolungata discussione, in modo da rendere più debole l'eventuale reazione all'intervento delle truppe del Patto di Varsavia. A questo punto, vale la pena di domandarsi se esisteva veramente un gruppo di dirigenti del partito cecoslovacco decisi a chiedere l'«aiuto» dei sovietici, come affermò poi la propaganda di Mosca, senza tuttavia fare mai i nomi di questi dirigenti. Ancora oggi, a dieci anni di distanza dalla tragedia di Praga, nessuno ha mai pubblicato i nomi dei presunti autori della lettera, pubblicata il 21 agosto dalla «Pravda- di Mosca per giustificare l'intervento armato. Perché? Nel luglio e nell'agosto del 1968, molti funzionari del partito cecoslovacco erano stati invitati a passare gratuitamente, con le famiglie, le vacanze in Unione Sovietica. Tutti erano stati avvicinati da funzionari del partito sovietico e del Kgb (la polizia politica deTl'Vrss: ndr) e coinvolti in discussioni sulla situazione in Cecoslovacchia. Quando qualcuno dei cecoslovacchi si mostrava favorevole alla tesi di Mosca, gli veniva immediatamente chiesto se era disposto a firmare, in caso di necessità, una «lettera d'invito, per le truppe sovietiche. Ma anche coloro che avevano dato la loro adesione di massima si sono poi tirati indietro, il 21 agosto, sbigottiti e spaventati davanti alla reazione spontanea della popolazione, la condanna dell'intervento da parte della direzione del partito, l'immediata convocazione del XIV Congresso. Nessuno, insomma, ha avuto il coraggio di passare pubblicamente per traditore del proprio popolo; tutti hanno . n e o i e e . o l o preferito, piuttosto, essere considerati da Mosca dei deboli opportunisti, incapaci di mantenere il loro «impegno internazionalistico». Ma c'è anche un'altra spiegazione. Husak non potrebbe essere incluso nell'elenco di coloro che hanno chiesto l'« aiuto dei sovietici» perché, anche dopo il 20 agosto, ha sempre dichiarato che le forze sovietiche sono entrate in Cecoslovacchia all'insaputa del partito, del governo e del Parlamento, e senza la loro approvazione. Husak ha sempre detto, subito dopo l'invasione, che egli -stava con Dubcek», che sarebbe «caduto» con Dubcek. Un minimo di coerenza gli impedì e gl'impedisde iùttorà di far apparire il suo nome in quell'elenco. Ancor oggi, perciò, pubblicare un elenco incompleto, senza Husak e senza alcuni membri dell'attuale direzione del partito, potrebbe avere un effetto dirompente sull'unità già cosi fragile del gruppo dirigente ceco; per non parlare dell'odio che la popolazione riverserebbe su coloro i cui nomi comparissero tra i richiedenti l'aiuto dell'Urss. * ★ Quel pomeriggio del 20 agosto io restai nel mio ufficio al la televisione per seguire la discussione al Presidium del partito e per tenermi in contatto con il comitato di partito di Praga, nel caso fosse stata decisa la manifestazione di sostegno a Dubcek della quale ho parlato nel precedente ar-> ticolo. .Verso le quindici e trenta, fui informato dal ministero degli Esteri (a quel tempo ero anche presidente della commissione affari esteri del Parlamento) che la nostra ambasciata a Budapest aveva ricevuto una telefonata di uno sconosciuto, che si era pre sentato come ufficiale dell'e sercito ungherese. Costui aveva detto che chiamava da una cabina pubblica e aveva informato la nostra ambasciata che la sua unità aveva ricevuto l'ordine di varcare la frontiera cecoslovacca poco prima della mezzanotte del 20 agosto. Poi aveva agganciato. L'ambasciata a Budapest aveva inviato subito un dispaccio al ministero degli Esteri a Praga, che a sua volta aveva immediatamente informato l'ufficio di Dubcek. Non si sa se il segretario del partito venne messo al corrente dell'informazione. Ma il suo segretario, un certo Sovak, rivelatosi poi come un agente sovietico, definì la notizia «una provocazione, al solo scopo di rendere più tesi i già difficili rapporti con gli alleati dell'Urss e del Patto di Varsavia». Ma anche se Dubcek fosse stato avvertito, probabilmente nulla • sarebbe cambiato. Egli era un comunista idealista, molto legato sentimentalmente all'Unione Sovietica, dove aveva trascorso gran parte della giovinezza. Era convinto che, dopo il XX Congresso del pcus, l'Unione Sovietica poteva, se non incoraggiare, almeno tollerare l'esperimento cecoslovacco, perchè esso non implicava alcun distacco dal Patto di Varsavia, né alcun ritorno al capitalismo. Perciò Dubcek non aveva mai voluto dare ascolto ad un comunista più pragmatico come il presidente romeno Ceausescu, che lo aveva ammonito ad evitare ogni discussione nel quadro del Patto di Varsavia sulla politica interna cecoslovacca e gli aveva suggerito di boicottare le riunioni del Patto, seguendo lo stesso esempio romeno. Dubcek, invece, voleva convincere Breznev,- ed anche Gomulka e Ulbricht, delle sue buone intenzioni di aiutare il socialismo, propagandandone la causa anche in Occidente. Non si rendeva conto che Breznev. Ulbricht, Gomulka non erano più tanto preoccupati del socialismo quanto, piuttosto, degli interessi della grande potenza sovietica e dei privilegi acquisiti dalle classi egemoni nei loro Paesi, che venivano minacciate dal «nuovo corso» cecoslovacco con i suoi consigli operai, la libertà di sciopero e di stampa, il controllo del potere da parte dei cittadini. Forse l'errore principale di Dubcek e dei suoi più stretti collaboratori è stato di non analizzare correttamente gli sviluppi della situazione sovietica dopo la caduta di Kruscev e l'avvento al potere del gruppo brezneviano. Essi, perciò, non soltanto non avevano gli strumenti concettuali per resistere alle pressioni sovietiche, ma non erano neppure in grado di calcolare il rischio di un conflitto, anche soltanto temporaneo, con il gruppo dirigente sovietico, come avevano fatto invece Tito, Mao e lo stesso Ceausescu. L'esperienza di costoro dimostra che soltanto un'accurata preparazione alla resistenza, la ricerca di alleati all'estero, la mobilitazione della popolazione e delle forze armate possono evitare il pericolo di un intervento sovietico. Invece, come capii durante rincontro tra i dingenti del partito e i responsabili degli organi di informazione dalla risposta data alla mia domanda su che cosa si intendeva fare in caso di intervento militare, il gruppo dubeekiano non voleva seguire l'esem pio di Tito, di Mao e di Ceau sescu. In un certo senso esso ha messo il proprio destino nelle mani- dei sovietici, cullandosi in un'ingiustificata illusione. Jiri Pelikan (3. - Continua) Alexander Dubcek ripreso martedì per le vie di Bratislava (Telefoto Ap)