Verità, giornalisti e diritti del giudice

Verità, giornalisti e diritti del giudice Il caso Farber e il segreto professionale Verità, giornalisti e diritti del giudice Il numero dei giornalisti chiamati a deporre quali testimoni cresce ogni giorno. In Italia non meno che altrove, come dimostrano, da un lato, gli ormai ben noti casi Massa, Chiodi, Zanetti, Fallaci, tutti processati (i primi previo arresto in aula) per testimonianza reticente e, dall'altro, il caso Farber, il cronista del New York Times recentemente condannato per lo stesso motivo dalla Corte Costituzionale nord-americana. Il fenomeno ha una precisa spiegazione storica: quanto più la stampa si impegna nella ricerca della verità, specie della verità connessa alla scoperta di gravi episodi criminosi, tanto più l'autorità giudiziaria è indotta a utilizzare l'apporto del giornalista che dimostra di conoscere qualcosa di suo, o per avere denunciato egli stesso il fatto o per essere riuscito a raccogliere informazioni di prima mano. Segreto istruttorio Protèsi entrambi alla ricerca della verità, magistrato e giornalista operanti in buona fede sembrerebbero destinati ad agire nella più perfetta sintonia, aiutandosi a vicenda per il bene comune. Invece, non di rado finiscono con il ritrovarsi nemici: un po' perché il magistrato, richiesto di fornire qualche « primizia » sulle indagini, si trincera dietro l'inesorabilità del segreto istruttorio o perché, all'opposto, il giornalista si precipita a diffondere le notizie confidenzialmente apprese in sede giudiziaria, ma assai più perché il giornalista, espressamente interpellato, rifiuta di comunicare tutto quanto sa al giudice che indaga. La diversità, profonda, delle funzioni esercitate e degli interessi perseguiti sui due fronti spiega ampiamente l'emergere di contrasti anche drammatici, non solo quando si tratta di quel tipo di giornalismo disinvolto e scandalistico, che già in partenza fa nascere molti dubbi sulla sua credibilità, ma persino quando si tratta della stampa più qualificata. I contrasti possono avere una duplice origine, a seconda che le ricerche del giornalista abbiano avuto come finalità diretta quella, consueta, di informare i lettori nel modo più ricco e rapido possibile oppure la finalità di vigilare sul funzionamento dei pubblici poteri. Nel primo caso, poiché ovviamente il giornalista si sarà affrettato a pubblicare tutto ciò che ha appreso, i contrasti potranno riguardare solamente la fonte delle notizie raccolte, nel secondo tanto la fonte quanto l'esistenza stessa dell'informazione, sempreché, beninteso, l'inchiesta giornalistica non sia stata ancora conclusa e, quindi, non ancora completamente rivelala. E* evidente che — mentre in relazione alla fonte il bisogno di sapere da parte del giudice si spiega con l'esigenza dì controllare l'esattezza delle notizie pubblicate, riscontrandole alla radice della loro provenienza — in relazione all'esistenza dell' informazione il bisogno di sapere coinvolge la possibilità di individuare o, per lo meno, di precisare i fatti suscettibili di dar vita ad una regolare imputazione. In un'ipotesi di quest'ultimo genere, il contrasto può diventare ancora più acuto se l'inchiesta giornalistica tuttora riservata sia stata mossa dal preciso intento di surrogare l'inazione o l'impotenza o gli errori dell'autorità giudiziaria, con un chiaro sapore di più o meno acre polemica. Qui, il diritto all'informazione, visto sotto il particolare profilo del diritto-dovere di informare i cittadini, che negli altri casi dinanzi ricordati è la molla che tutto spinge e tutto spiega, passa decisamente in seconda linea per cedere il posto a un diverso tipo di funzione rivendicata dalla stampa democratica: una funzione sostanzialmente riconducibile al diritto di critica, in quanto rivolta a pungolare i poteri istituzionali dello Stato, a rimarcarne i vuoti, a segnalarne le deviazioni. Compiti del genere sono talmente ardui e delicati, specie se espletati con scrupolo ed onestà, che il dover rivelare, non volendolo, la fonte della notizia o l'informativa in corso di acquisizione può tradursi per il giornalista in grave pregiudizio, così per l'immediato («tradimento» dell'informatore che aveva chiesto riservatezza; vanificazione totale o parziale dell'indagine non completata) come per il futuro (perdita di quello e di altri eventuali informatori; impossibilità di ulteriori accertamenti). Un pregiudizio destinato ad assumere dimensioni più vaste con l'aumentare dei pericoli cui va incontro chi fa rivelazioni sui fatti di maggiore portata delinquenziale, se è vero che solo un'assoluta riservatezza potrebbe favorirle. Libertà di stampa D'altro canto, ci sono gli interessi primari dell'amministrazione giudiziaria, l'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale, il diritto di difesa a reclamare la più completa utilizzazione di tutto il materiale probatorio disponibile. Coordinare tante e tanto contrapposte esigenze non è davvero impresa agevole. Anzi, i tempi minacciano di renderla sempre più difficile Solo un regime totalitario, aperto sconoscitore della libertà di stampa, può disinvoltamente e duramente sbarazzarsi del problema. Bastano a « cautelare » la giustizia i reati di diffamazione, di calunnia, di favoreggiamento e di frode processuale o si deve continuare a far leva anche sulla norma che punisce come falsa testimonianza, con tanto di arresto seduta stante, il silenzio parziale o totale del giornalista su quanto è a sua conoscenza per ragioni professionali? Dal 24 marzo 1976 la Corte Costituzionale è investita della questione. Anche il Parlamento ha all'esame specifici disegni di legge. Lo stesso progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale contiene una sua proposta. Eppure, l'attesa continua tra imbarazzi mal dissimulati e crescenti incertezze. Non affrontare i nodi cruciali significa non solo non risolverli, ma aggravarli ulteriormente. Nemmeno dagli Stati Uniti giungono esempi incoraggianti. Le amare vicende del giornalista Farber mostrano una Corte Costituzionale poco ben disposta verso la stampa. Ma forse la chiave per capire e isolare il caso di specie c'è: le notizie pubblicate da Farber contenevano precise accuse d'omicidio contro un medico ospedaliero. Rifiutarsi di indicare il nome degli informatori equivale a creare ostacoli sia all'accusa sia alla difesa. Quasi un prendersi beffa della giustizia. Giovanni Como

Persone citate: Chiodi, Fallaci, Farber, Giovanni Como, Zanetti

Luoghi citati: Italia, Massa, Stati Uniti