Giovane amazzone italiana è diventata manager dell'ippica in Gran Bretagna di Giorgio Viglino

Giovane amazzone italiana è diventata manager dell'ippica in Gran Bretagna Franca Vittadini dirige una scuderia e un allevamento Giovane amazzone italiana è diventata manager dell'ippica in Gran Bretagna DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE LONDRA —Scorrendo le diverse classifiche in cerca di una familiarizzazione con nomi non troppo conosciuti, ho trovato al secondo posto della graduatoria riservata alle amazzoni il nome di Franca Vittadini, ed è stata uha sorpresa perché nel mio taccuino di appunti preparatori a questa serie di srvizi, al cognome Vittadini avevo affiancato il nome Carlo, nella sua veste di grande proprietario italiano di cavalli vincenti; soltanto una notarella diceva «rappresentato in Inghilterra dalla figlia Franca». Cosi per ammortizzare ulteriori sorprese, sono andato ad Incontrare di persona questa ragazza italiana che batte in popolarità attrici, cantanti, persone pubbliche in generale del nostro Paese e il cui nome ho sentito pronunciare spesso in radio e televisione, seppure con incredibili storpiature. Appuntamento sul tipo «sono vestita in questa maniera,, porto una copia del Times, eccetera», ma identificazione immediata in mezzo al gruppetto di proprietari inglesi o inglesizzanti. Piccolina, capelli biondi a caschetto, occhi chiari, Franca Vittadini è uno strano miscuglio di timidezza e decisione, sempre pronta al sorriso ma con una vena di malinconia sulla quale non mi è sembrato di buon gusto indagare. Si lamenta con un po' di civetteria di parlare male l'italiano, a causa di un inglese troppo perfetto, ma in realtà non ha esitazioni e sa con esattezza non soltanto le parole, ma soprattutto i concetti che vuole esprimere. Ricapitola la storia ippica della famiglia Vittadini con una notevole capacità di sintesi: « Tutto è nato da papà, che quando è finita la guerra non se la sentiva di abbandonare i cavalli. Lui era stato in cavalleria, ufficiale, e adesso che tornava civile trasformava quella che era stata la sua professione in hobby. Forse allora non lo chiamavate cosi, no?». Do una risposta imbarazzata perché non posso avere ricordi del genere e lei riprende ridacchiando: -Insomma l'hobby c'è e lui comincia con i cavalli da ostacoli, poi con quelli da piano, montandoli lui stesso. Va avanti per qualche anno poi fa due rinunce: la prima, e più dura, a cavalcare, la seconda a tenere cavalli da ostacoli, per togliersi invece l'angoscia di aspettare e temere ad ogni gara l'incidente. La storia della scuderia Vittadini direi che inizia a questo punto, nel '56, quando papà comincia a far le cose sul serio. E' la prima volta che viene a Newmarket, trova il suo primo campione in Exar che vince un Gran Premio d'Italia, incontra il primo allenatore britannico, Murless, e impara ad apprezzarne le capacità: finché nel '62 non decide di tenere una parte dei cavalli in Inghilterra e d'iniziare l'attività che abbiamo sviluppato fino ad ora. I nomi dei cavalli suoi li ricorderanno in molti: Palatsch e No Mercy, che hanno corso soltanto quassù, Aceraie e Ortis, campioni anche in Italia. Anzi proprio Ortis ha dato a papà la dimo strazione che passando dall'Italia all'Inghilterra non si può che migliorare. Fu il primo cavallo messo nelle mani di Peter Walwyn, Murless si era ritirato, e da allora Walviyn ha continuato con noi e adesso ha metà dei nostri cavalli nelle sue scuderie di Lambourn vicino a Newbury, mentre quelli che sono a Newmarket li prepara Gordon Pritchard». Prende fiato per un attimo per elencare ancora i nomi più importanti legati alla casacca Vittadini: -Abbiamo avuto Habat, che nel '73 è stato in testa alla classifica dei puledri inqlesi, poi in Italia Ardale che ha vinto il Derby del '76, quindi Orango Bay, un cavallo splendido che è primo a pari merito con Baimerino nella classifica di line stagione '77. Poi logicamente c'è sfato Grundy...». Nel pronunciare il nome di questo campione assoluto, un cavallo destinato a rimanere nella storia ippica mondiale, Franca Vittadini torna per un attimo timida e quasi insicura. Un giudizio su Grundy: -Impossibile! E' un cavallo unico nella vita. In fondo è lui che ha cambiato tutto anche per me, dovrei dirgli grazie ogni giorno». Tra premi vinti e vendita al National Stood, l'allevamento di Stato, Grundy ha fruttato molti quattrini e portarli fuori dall'Inghilterra avrebbe significato sacrificarne la metà in tasse ed imposte. Cosi la scuderia Vittadini ha creato il suo allevamento, con un buon capitale investito nell'acquistare le Beech House Stalls, le scuderie che ora Franca dirige, prima donna manager di un'impresa ippica. E' ora di far domande. Bisogna essere ricchi per diventare proprietari di cavalli? -In Italia credo proprio di si, qui in Inghilterra si può acquistare mezzo cavallo rispondendo a un annuncio sul giornale. Da noi bisogna avere dei capitali da investire e si viaggia sempre sul filo. Papà ha un'industria farmaceutica ed è direttore della Banca Agricola Milanese, i cavalli li ha sempre considerati come una seconda attività, poi c'è stato Grundy...». — Ma una scuderia, un allevamento, stanno in piedi economicamente? -Intanto sono due cose completamente diverse. La scuderia è legata direttamente ai risultati e l'anno di Grundy, chiaramente, chiudi con un largo margine, poi vengono però anche gli anni neri o almeno grigi. Diciamo che noi abbiamo un buon bilancio con nove cavalli in Inghilterra e quattordici in Italia: poi c'è Grundy che continua a produrre quattrini perché nella vendita ci siamo conservati dieci carature su quaranta. L'allevamento è cosa totalmente diversa: lo imposti come un'azienda, cerchi la dimensione ottimale e poi vai avanti sapendo che le aste daranno un gettito abbastanza costante, lo ho sedici fattrici e quindi sono su una dimensione relativamente piccola, ma credo che non ci si debba espandere di più a meno di non avere un grande stallone di proprietà con tutti i rischi che comporta». — Perché una ragazza come lei molla tutto e viene a lavorare con i cavalli in Inghilterra? -Perché amo I cavalli, fanno parte della mia vita. Ho cominciato a razzolare nei box che avevo quattro anni e ci sono ancora adesso, soltanto che allora ero a San Siro e adesso sono qui in questo paradiso. Ma lei li ha mai visti i cavalli a Milano? Sono a centinaia su quell'unica pista, con le case che si stringono sempre più attorno e l'aria che se non ha la diossina contiene tutti gli altri veleni industriali. Qui respirano, e poi corrono in salita e in discesa, sull'erba e sulla terra battuta, si tanno una muscolatura da atleti, vivono con i vantaggi dei cavalli bradi. A parità di qualità, un cavallo allenato in Italia sarà sempre più debole». — Le è costato molto lasciare Milano e l'Italia? «Ho perduto gli amici perché ormai torno una volta all'anno e loro sono lontani, troppo lontani dalla mia mentalità, o io dalla loro. Poi il clima, qui piove, a me piace il sole». —E cosa le ha dato l'Inghilterra? -Nuovi amici, ma diversi da quelli lasciati in Italia. E poi questa vita da dividere sempre, ad ogni minuto, con i cavalli. Loro stanno bene e quindi anch'io». Giorgio Viglino