JIRI PELIKAN: COME HO VISSUTO L'INVASIONE DI PRAGA DIECI ANNI FA

JIRI PELIKAN: COME HO VISSUTO L'INVASIONE DI PRAGA DIECI ANNI FA JIRI PELIKAN: COME HO VISSUTO L'INVASIONE DI PRAGA DIECI ANNI FA L'errore di non aver avuto più coraggio Toccò a Smrkovsky svolgere la relazione principale all'incontro tra i dirigenti del partito e i funzionari degli organi di infomazione, il 17 agosto 1968. Il senso del suo discorso si può riassumere in poche parole: fate attenzione a quello che scrivete o dite perché potranno servirsi di ogni minimo pretesto per impedire lo svolgimento del XIV Congresso. Un altro dirigente del partito, Frantisele Kriegel, fu ancora più esplicito: «Debbo dirvi che sulle nostre teste è sospesa una spada di Damocle e dobbiamo stare molto attenti affinché non ci cada addosso». La brutalità dell'avvertimento ci sorprese perché gli stessi dirigenti del partito ci avevano garantito, dopo gli incontri di Cierna e Bratislava, all'inizio di agosto, che il conflitto con l'Unione Sovietica era ormai evitato e che la via verso il Congresso era aperta e sgombra di ostacoli. Ma ora, dinanzi al monito che ci veniva rivolto, decisi di rivolgere ai dirigenti del partito la domanda che essi avevano sempre cercato di evitare: che cosa intendeva fare il partito nel caso di un intervento militare o, comunque, nel caso che le pressioni dei Paesi del Patto di Varsavia ci avessero impedito di tenere il nostro Congresso? La mia domanda aveva deliberatamente un'intenzione provocatoria. L'unico dirigente del partito, che aveva proposto la stessa domanda e aveva anche tentato di darle una risposta, il generale Vaclav Prchlik, capo del dipartimento difesa e sicurezza del Comitato centrale, era stato sacrificato dallo stesso Dubcek:, in luglio, in seguito alle pressioni di Mosca. Ancora oggi penso che il sacrificio di Prchlik sia stato un errore gravissimo, forse decisivo, perché rivelò ai dirigenti sovietici che la Cecoslovacchia non era abbastanza risoluta a difendersi in caso di intervento militare. Questa prospettiva pesò indubbiamente in favore dei «falchi» del Cremlino, mentre l'impressione contraria avrebbe offerto maggiori argomenti alle «colombe», creando forse la. possibilità di un compromesso, magari non ideale come tutti i compromessi, e però accettabile perché avrebbe consentito di salvare l'essenza delle riforme della «Primavera». Alla mia domanda risposero Zdenek Mlynar, allora segretario del Comitato centrale (dal 1977 vive anch'egli in esilio a Vienna), e Oldrich Cerri ik, il primo ministro. Le divergenze tra noi e gli alleati del Patto di Varsavia devono essere superate con la pazienza del negoziato, dissero Mlynar e Cernik. Noi non abbiamo alcuna intenzione di diventare un'altra Jugoslavia. Per me quella risposta significò che stavamo per metterci nelle mani di Mosca e che rifiutavamo il rischio di un conflitto analogo a quello che Tito aveva sostenuto con Stalin nel 1948. Eppure Tito era rimasto comunista, la Jugoslavia aveva saputo difendere la sua via al socialismo, ancor oggi rispettata da Mosca. Invece i nostri dirigenti consideravano un conflitto, anche temporaneo, con l'Unione Sovietica alla stregua di un tradimento. Restai angosciato dalla risposta che ricevetti e dalle conclusioni che ne tirai: era come riconoscere che non ci restava altro che la capitolazione. Qui arriviamo ad uno dei nodi cruciali della scelta della «Primavera», e di qualsiasi modello di socialismo diverso da quello sovietico. Noi non volevamo esportare il nostro modello, anzi ci battevamo per il diritto di ogni Paese e partito comunista di seguire la propria strada verso il socialismo. Egualmente non volevamo contestare il modello sovietico, né in Urss, né negli altri Paesi del Patto di Varsavia. Ma, costruendo un socialismo diverso in Cecoslovacchia, di fatto sollevavamo il problema della validità universale del modello sovietico e, solo per questo, il conflitto con i dirigenti dell'Urss era inevitabile. Nel '68, tutto ciò non ci appariva cosi chiaro come oggi. Ha ragione Luciano Gruppi quando, nella sua relazione al convegno dell'Istituto Gramsci sulla Cecoslovacchia, osserva che questa è l'oggettiva contraddizione del «nuovo corso»: proprio perché poneva in discussione «un modo d'essere del socialismo», l'esperimento cecoslovacco aveva in prospettiva una formidabile carica dirompente nei confronti degli altri Paesi socialisti. La mattina del 20 agosto informai cosi i miei collaboratori sul contenuto di quell'incontro con i dirigenti del par¬ tito. E, subito dopo, passammo ad esaminare tutti i programmi previsti fino al 9 settembre, data fissata per il XIV Congresso, rivedendo attentamente le trasmissioni che potevano suscitare polemiche ed eliminando ogni riferimento ai Paesi socialisti per non creare nuovi problemi alla direzione di Dubcek. Tutti i giornalisti, anche quelli che si erano distinti nel passato più recente per la polemicità dei loro commenti, s'impegnarono a rispettare le direttive di prudenza e di massima serietà politica. Oggi si dice spesso che furono proprio gli intellettuali, con la loro fretta di riforme e la loro mancanza di senso di misura, a provocare l'intervento sovietico. E' vero che, dopo l'abolizione della censura, vi furono esagerazioni, eccessi di soggettività nei giudizi, una certa disinvoltura giornalistica; ma questi errori e difetti non possono essere generalizzati al punto da farne i tratti distintivi del giornalismo del «nuovo corso». I giornalisti non hanno certo mancato di senso di responsabilità e di lealtà verso Dubcek. Semmai erano proprio i> gusto della verità* e la libertà di espressione che risultavano intollerabili, per paura del contagio, ai burocrati di Mosca, Berlino e Varsavia. Dopo la riunione con i miei collaboratori alla televisione, mi recai al Comitato centrale del partito per discutere in che modo avrebbero dovuto essere trasmessi i lavori del XIV Congresso. C'erano opinioni discordi in proposito all'interno dello stesso Comitato centrale. Secondo i dogmatici, il Congresso andava considerato un affare interno del partito, che doveva essere sottratto ad ogni pressione dell'opinione pubblica: perciò essi si opponevano al nostro progetto di trasmettere i dibattiti del Congresso in diretta alla radio e alla televisione, ammettendovi pure i rappresentanti della stampa straniera. Noi replicavamo che, portando il partito la responsabilità maggiore nella guida del Paese, esso non poteva chiudersi in se stesso proprio nel momento delle scelte politiche e della nomina dei suoi dirigenti. I dirigenti del dipartimento della stampa e propaganda del Comitato centrale, con i quali dovevo mettere a punto il piano delle trasmissioni per il Congresso, mi pregarono di attendere i risultati della riunione del Presidium del partito, che doveva svolgersi nella stessa giornata e nella quale si attendeva uno scontro tra i sostenitori di Dubcek e i loro avversari. C'era grande tensione soprattutto nel comitato del partito di Praga, dove circolava la voce che Dubcek, nella riunione di quel giorno, avrebbe potuto essere messo in minoranza dai conservatori guidati da Bilak e da Indra: avrebbe potuto essere un primo passo verso un -golpe» al vertice del partito. I miei amici al comitato di Praga mi avvertirono che, in tal caso, avrebbero indetto una grande manifestazione operaia e cittadina nel centro della capitale per sostenere Dubcek e mi domandarono se la televisione sarebbe stata disposta a trasmettere in tutto il Paese le immagini della manifestazione per far cosi naufragare il progetto degli oppositori di Dubcek. Io risposi positivamente anche se, sul momento, tutto ciò mi pareva un'eccessiva drammatizzazione. Ma, tornando alla televisione, mi vennero alla mente alcuni episodi strani, accaduti nei giorni precedenti, e che assumevano un diverso ed inquietante significato ora, alla luce di quanto mi era stato detto. Una settimana prima, mi aveva chiamato un amico bulgaro, che aveva lavorato con me quando ero presidente dell'Unione internazionale degli studenti ed era poi diventato rappresentante del suo Paese alle Nazioni Unite. Era di passaggio a Praga e insisteva per vedermi. Avevo deciso di riceverlo a casa, nonostante avessi molti impegni di lavoro. Mi aveva fatto molte domande sulla situazione in Cecoslovacchia e io gli avevo risposto con la massima sincerità, come si conviene tra buoni amici. Quando mi aveva lasciato, avevo pensato che fosse ripartito per il suo posto di lavoro. Invece, l'amico bulgaro mi richiamò sette giorni dopo (il 19 agosto: n.d.r.) chiedendomi un incontro urgente. Non avevo un minuto di tempo libero durante la giornata, cosi stabilimmo di vederci all'una di notte. Gli manifestai subito la mia sorpresa di vederlo ancora a Praga ed egli mi rispose che, in realtà, non era venuto a Praga per caso, bensì invia¬ to dal suo partito, insieme con altri bulgari che avevano amici cecoslovacchi, in missione speciale per raccogliere materiale sulla «controrivoluzione» in atto in Cecoslovacchia. Prima di partire, mi disse l'amico, aveva deciso di avvertirmi che, a suo avviso, non c'era traccia di «controrivoluzione» in Cecoslovacchia, bensì di vero socialismo. Ma, aggiunse, gli altri non erano dello stesso parere ed egli era molto preoccupato per il rapporto che il capo del gruppo avrebbe inviato al partito bulgaro e a quello sovietico: perché il mio amico non aveva dubbi sul fatto che la missione era stata ordinata dai sovietici. Disse ancora che la nostra situazione era molto drammatica e che dovevamo fare molta attenzione. Pensai che esagerasse, ma decisi comunque di informare Aleksandr Dubcek di quell'episodio. Un altro fatto inquietante mi era stato riferito dal mio vicedirettore responsabile dei servizi tecnici. Il 17 agosto, egli era stato convocato dal ministro delle Comunicazioni, Karel Hofman, ex direttore della radio, che si era schierato con i conservatori. Nell'ufficio di Hofman il mio vicedirettore aveva trovato almeno venti funzionari dell'apparato del Comitato centrale e della polizia segreta, tutti noti per la loro simpatia per l'Urss e la loro ostilità a Dubcek. C'erano, tra gli altri, l'ex direttore della radio Marko, il direttore della Ctk (l'agenzia di stampa ufficiale) Sulek, il segretario della rivista dei partiti comunisti «Problemi della pace e del socialismo- Auersperg. Hofman aveva chiesto al mio collaboratore se esistevano piani di emergenza per la televisione e lo aveva comunque ammonito che la tv, come tutte le stazioni trasmittenti, era sotto la sua competenza. Riferii il racconto del mio vicedirettore al capo dell'ufficio stampa del Comitato centrale, ma egli mi rispose che Hofman, insieme con Indra e Kolder (entrambi segretari del Comitato centrale), era incaricato dal Presidium di preparare un progetto di rapporto per il Congresso e che quindi quella che a me appariva una «strana riunione» doveva essere in realtà un incontro di lavoro per la redazione del rapporto. Jiri Pelikan (2-continua) Praga, agosto '68. Un corteo di giovani per le strade della città grida slogan* a favore di Alexander Dubcek (Grazia Neri)