L'angoscia di partire di Giorgio Manganelli

L'angoscia di partire L'angoscia di partire Ho un amico che, tolte le tendenze maniaco depressive, i tic nervosi facciali, le ansie, gli stati confusionali, le nevrosi persecutorie c una mite paranoia, può considerarci sostanzialmente normale. Egli non si considera tale, il che dimostra un acuto senso della realtà, e pertanto conferma la diagnosi severa di "normale". Il mio amico soffre tuttavia di un disturbo che rende in qualche modo disarmonica la sua personalità, che è certamente viziata e disarmonica, ma, non fosse per quest'ultimo difetto, lo sarebbe in modo armonioso. Infatti, costui ha un rapporto peculiare con i viaggi, che movimenta la vita sua e dei suoi amici in modo sommamente sgradevole. Per molti anni egli non ha viaggiato, al punto che la nozione dell'Italia come immagine peninsulare era per lui del tutto favolosa. Crebbe sedentario, scarsamente persuaso dell'esistenza del mondo, che egli considerava essenzialmente come materia per fare atlanti coloriti. Amava il Paraguay rosa e il Messico giallo. Tutto faceva credere che sarebbe vissuto in condizione di pace, specializzato in un unico letto, poche sedie, vitto semplice e ripetitivo. Ma un giorno il destino lo fece viaggiate. Scoperse che l'atlante non era un trucco, che il mondo esisteva, che era pieno di uomini in modo scandaloso. Da quel momento il blando demente si trasformò in un essere irrequieto, frastornato, tremulo e affannato. Per lunghi periodi non ama i viaggi: li paventa, e se capita l'occasione di andare oltre la periferia della città in cui vive, si dà vittima di malori, affanni, palpitazioni; la folla lo sgomenta, il giorno lo abbaglia, la notte è minacciosa, sarà meglio stare in casa. Un giorno si desta con l'impressione che se non fa un viaggio, subito, la sua vita si sbriciolerà come un vecchio biscotto tenuto in tasca da un ragazzetto. Detesta la sua casa, diventa ironico verso i cibi, e fa capolino agli angoli delle case, per cogliere, alla sprovvista, una gigantesca moschea. Talora capita che, in questi momenti, gli si offra la possibilità di fare un viaggio. Apparentemente, una situazione perfetta. Quale errore. A questo punto, le variate e policrome nevrosi di cui egli gode tutti i vantaggi, si mettono a danzare simultaneamente. Poniamo che gli si dia la possibilità di recarsi in Turchia. La Turchia è l'oriente, ed egli ama l'oriente. Inizialmente è felice. Potrà vedere un mondo che ha sempre amato, ma non ha mai frequenrato. Pacatamente, parla con gli amici della dolce esperienza che gli offre il destino. A questo punto, la fata buona e cattiva che l'accompagna da sempre, la Madama Megalomania, si matctializza davanti ai suoi occhi. La Turchia non confina forse con l'Irak? Non sono in Irak le rovine e i documenti dei Sumeri, il Tigri e l'Eufrate? Non confina la Turchia con l'ftan di Isfahan, e l'Iran di Isfahan non confina con il Pakistan di Lahore, e non c'è forse tra Pakistan e Afghanistan il passo di Kyber, per il quale passò Alessandro Magno? A questo punto, dopo un crescendo di entusiasmo, quando ogni senso della realtà è sul punto di abbandonarlo, egli viene preso dal panico. Ha ormai dimenticato la Turchia, che gli appare come una minuscola Svizzera, o un sobborgo di Otranto, e la sua mente minaccia di naufragare nei marosi dell'Asia. Egli ha dimenticato il fritto di scampi, e ha tentato di mangiare la balena. Il terrore lo travolge, si chiude in casa, bacia il suo morbido e amico letto, giura di non uscire mai dalle mura cittadine, il nome «Turchia» gli provoca la tachicardia, in cambio di un viaggio medita di studiare il tuteo, cosa che si può fare in una sedia, respirando quell'aria viziata che gli è così congeniale. Poi si calma. Dimentica il Pakistan, l'Iran, e lentamente la Turchia cresce, diventa un grande, nobile paese, che ha sempre desiderato vedere, greco, bizantino, ottomano. Non vuol vedere altro, e teme solo che le due o tre settimane siano troppo poca cosa alla sua passione. Lentamente, comincia a provare una sorta di ira per la Turchia, che è così grande e importante. Chi crede di essere? Val proprio la pena di affrontare disagi e pericoli? Alla fine, per un meccanismo psicologico misterioso, egli si ricorda che l'alternativa al viaggio è il nonviaggio, e che egli deve viaggiare, perché la sua vita non si sbticioli. Bruscamente, la Turchia risplende ai suoi occhi, non più come un luogo, ma come il viaggio. Viene preso dall'ansia, dall'angoscia, corre in cerca di tranquillanti, e alla fine torna a casa con una valigia nuova, che egli guarda con occhi pieni di lacrime e di orgogli°-. Giorgio Manganelli

Persone citate: Alessandro Magno