Usa, ritorno conservatore di Ennio Caretto

Usa, ritorno conservatore Sintomi di nuove tendenze dopo due anni con Carter * Usa, ritorno conservatore L'etica del successo individuale prende il sopravvento sui principi del "welfare state": concorrenza e liberismo prevalgono sull'assistenza sociale • Rimpianto per una "leadership" forte DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE NEW YORK — A nemmeno due anni dall'elezione del presidente Carter, un riflusso di conservazione sembra percorrere l'America. Dopo aver mandato un democratico alla Casa Bianca con il margine di voti più ristretto della storia, essa si sposta gradualmente a destra. Mentre il governo stenta a trovare un accordo con il Congresso, l'etica calvinista del successo individuale prende il sopravvento sui principi del welfare state di Kennedy e Johnson. Tornano in auge la concorrenza e il liberismo, cadono l'assistenza sociale e la centralizzazione. « La maggioranza silenziosa — scrivono due attenti osservatori, Evans e Novak — pare divorata dalla febbre dell'autonomia ». I segni più clamorosi del new conservatorism come il fenomeno è chiamato, si sono avuti la settimana scorsa, con la sconfitta alla Camera della riforma fiscale del presidente Carter, e la sua caduta di popolarità nei sondaggi d'opinione. Ma altri li hanno preceduti: il crescente rimpianto della leadership « forte » di un uomo come Nixon, pur bloccato dallo scandalo del Watergate; la vittoriosa rivolta dei contribuenti in California contro l'aumento delle imposte stabilito per le nuove realizzazioni sociali; il ripristino dei valori tradizionali dei pioneri, ivi incluso un rigurgito di puritanesimo. Il parziale spostamento a destra dell'America si manifesta innanzitutto con l'insofferenza delle moderne istituzioni. Sono sotto accusa lo statalismo e i sindacati, la stampa e la magistratura. Al tempo stesso, senza scorgervi una contraddizione in termini, l'America chiede maggiore legalità e ordine, eguaglianza ed efficienza. Essa denuncia la politicizzazione di molti problemi, l'elefantiasi della burocrazia pubblica da un lato, ma protesta se la polizia è impotente o non si raggiunge il pieno impiego dall'altro La guerra allo Stato è gui- data dall'industria, piccola e !grande, e mobilita le masse in nome della libera iniziativa e del profitto. Essa porta allo sgràvio fiscale per i redditi medio-alti anziché bassi; alla riduzione della spesa pubblica, considerata fonte di inflazione; al rinvio dei provvedimenti per l'esercizio e la sicurezza sul lavoro. « Un esercito di lobbysti — osserva la rivista Time —, cioè di rappresentanti di gruppi di pressione, condiziona il governo e il Congresso ». Nella sola Washington ne vivono e operano 15 mila, al sicuro da ogni controllo o inchiesta. Le medesime forze accusano i sindacati di corporativismo e i pubblici servizi di spreco, rivolgendosi alle agenzie private di collocamento per le assunzioni e ricorrendo il più possibile agli appalti. Essi attaccano i giornali e i giudici per « l'ideologia delle percentuali » — il rispetto delle minoranze — e un presunto orientamento socialista. Colto di sorpresa, il leader dei metalmeccanici Douglas Fraser reagisce prospettando una nuova lotta di classe e torbidi nei ghetti. Esaltando il mito delle opportunità per tutti, la borghesia agiata polarizza contro i partiti stessi il generico scontento per il carovita e la diminuzione del prestigio americano all'estero. Essa si auspica un ricorso frequente ai referendum per neutralizzarne l'irreggimentazione e propugna il ricambio dei politici con i tecnici per motivi di obiettività e rendimento. Oltre che sulla politica e sull'economia il new conservatorism si ripercuote anche sull'istruzione e sul costume. Superati i traumi della protesta studentesca del '64-68 e del conflitto del Vietnam, l'America educa nuovamente i giovani alla disciplina e alla meritocrazia. Sotto l'incalzare di una generazione dedita in prevalenza alla carriera, si ritirano i «figli dei fiori» e le femministe, i radicali e i fautori dei diritti civili. I giovani, oggi, si rifanno all'età di Eisenhower, con il suo vecchio conformismo. Cambia così la tipologia dell'eroe. Il nome dei Kennedy conferma un certo fascino, ma volgono al tramonto i cavalieri come Nader, l'avvocato dei consumatori, o i poeti come Eugene McCarthy. il cuore della sinistra democratica. Adesso i candidati al comando si ispirano a monagers come James Longly, il ! governatore del Maine, che in tre anni e mezzo ha trasformato un deficit di 100 milioni di dollari in un attivo di 40, restituendone 20 ai contribuenti. Longly riassume il suo credo in questo modo: «Il nostro è uno Stato parasocialista che annulla l'orgoglio e la dignità dell'individuo. Esso moltiplica Z'plo i regolamenti e i costi». Politologi, sociòlogi ed economisti spiegano questo processo involutivo con i corsi e con i ricorsi storici. Provata dalla delusione e dai sussulti del decennio caldo '65-75, l'America vorrebbe semplicemente tornare alla stabilità e chiarezza del primo dopoguerra, sfruttando il boom economico dell'ultimo triennio. Essi negano che una completa svolta a destra sia ormai inevitabile. Vedono piuttosto il Paese alla ricerca di se stesso. «Siamo disorientati — dice Arthur Schlesinger — perché neppure gli alleati hanno più fiducia in noi». Comunque lo si giudichi, Tumore dell'America è pericoloso. Se esasperato, potrebbe favorire quei pochi che meditano una sorta di democrazia guidata e auspicano il ritorno al protezionismo e all'isolazionismo. Il passo sarebbe lungo, ma relativamente facile. Lo dimostrano il rifiuto ad uno spietato esame di coscienza, la studiata indifferenza alle vicissitudini del dollaro. Non a caso i tentativi di riforma della Casa Bianca hanno avuto un successo limitato e il programma elettorale del presidente sembra ora irrealizzabile. La misura del confronto in corso fra il new conservatorism e le forze più tolleranti sarà data dalle elezioni alla Camera e al Senato tra due mesi. In ogni presidenza, queste elezic-i cosiddette del mid term, cioè a metà mandato, rappresentano un giro di boa, e l'occasione di un primo consuntivo. Nonostante tutto, la Casa Bianca è cautamente ottimista. Essa confida nelle qualità di Carter e del suo governo, e nel tessuto democratico di fondo del paese. Osserva con fiducia che mai, finora, l'America è mancata al richiamo delle sue responsabilità interne ed intemazionali. Ennio Caretto

Persone citate: Arthur Schlesinger, Douglas Fraser, Eisenhower, Eugene Mccarthy, James Longly, Johnson, Kennedy, Nixon, Novak