Firmato a Pechino il trattato d'amicizia fra Cina e Giappone

Firmato a Pechino il trattato d'amicizia fra Cina e Giappone A 41 anni dalla guerra: dura condanna di Mosca Firmato a Pechino il trattato d'amicizia fra Cina e Giappone PECHINO — La Cina e II Giappone hanno firmato il trattato di pace e di amicizia che mette formalmente fine a uno stato di ostili*'» durato mezzo secolo, ma che soprattutto sancisce la volontà comune di sviluppare i legami instaurati sei anni fa con la normalizzazione dell: relazioni, « nella speranza », come dice il preambolo del trattato, di « contribuì e alla pace e alla stabilità nell'Asia e nel mondo ». Il trattato è stato firmato dai ministri degli Esteri dei due Paesi, Huang Hua e Sonoda alle 19 di ieri (ora locale) con una solenne cerimonia nella grande « Sala del popolo », alla presenza del presidente Hua Kuofeng, che precedentemente aveva avuto un incontro di un'ora con Sonoda. (Ansa) Il trattato sino-giapponese apre un nuovo capitolo nella storia dei rapporti fra i due Paesi, ma soprattutto costituisce l'atto più clamoroso dei nuovi allineamenti cinesi in politica estera. La dibattuta clausola « antiegemonica », che costituisce il nucleo del documento, è infatti interpretata come la finale rottura fra Cina e Urss, in un momento nel quale Pechino vede con un certo allarme il nuovo espansionismo sovietico in Asia come in Africa. « Le parti contraenti — afferma l'articolo due del trattato — dichiarano che nessuna di esse deve perseguire l'egemonia nella regione dell'Asia e del Pacifico o in qualsiasi altra regione, e che ciascuna si oppone agli sforzi di un qualsiasi altro Paese o gruppo di Paesi intesi a stabilire tale egemonia». Il riferimento all'Urss è fin troppo chiaro; anche per questo, forse, la clausola « antiegemonica » è quella a cui il governo di Tokyo ha opposto la massima resistenza nei lunghi colloqui che hanno portato alla definitiva « normalizzazione » fra i due Paesi. Inizialmente, infatti, Pechino aveva insistito per un'espressione chiaramente e direttamente riferita a Mosca, ma Tokyo, pur senza sottovalutare l'importanza di questo avvicinamento alla Cina, aveva indicato di non essere disposta a una presa di posizione cosi netta. S'è raggiunta una sorta di compromesso, di cui fanno fede le interpolazioni apportate al documento finale. C'è, per esempio, il riferimento ai tentativi di egemonismo, oltre che nella regione dell'Asia e del Pacifico, anche « in qualsiasi altra regione »: vi traspare l'intenzione giapponese di dare alla clausola un significato più lato, che esuli dallo specifico settore di un più intenso coinvolgimento sovietico. Allo stesso modo il Giappone ha insistito sull'esatta formulazione dell'articolo quattro, che assume il sapore di una precisa non-interferenza cinese nei rapporti fra il Giappone e l'Urss o, peggio, di una parvenza di « intesa » di Pechino e Tokyo contro terzi: « Il presente trattato — si legge — non avrà incidenze sulla posizione di ciascuna delle parti contraenti nelle sue relazioni coi Paesi terzi ». Seppure ammorbidita con i sofismi della diplomazia, la clausola anti-egemonica rappresenta una sfida aperta a Mosca e ai suoi disegni strategici. Già venerdì, alla vigilia della firma del trattato, il Cremlino aveva diffuso attraverso l'agenzia Tass un duro comunicato, nel quale si ribadiva l'ostilità di sempre all'intesa sino-giapponese. E ieri, poche ore dopo la firma del trattato, la stessa Tass ha dato notizia della « capitolazione » di Tokyo di fronte al «diktat» di Pechino. La clausola antiegemonica, afferma l'agenzia moscovita, « ha carattere antisovietico » ed è « in contrasto con gli interessi della pace e della distensione »; rappresenta inoltre per il Giappone « il pericolo di essere coinvolto nella politica egemonica della Cina ». Sta di fatto, a quanto riferiscono fonti giapponesi, che il governo di Tokyo ha dato il segnale verde alla firma del trattato in considerazione dell'ormai irreversibile orientamento di Pechino non solo a non rinnovare il trattato di amicizia con Mosca, ma addirittura ad abrogarlo nell'aprile prossimo, con un anno di anticipo sulla data di scadenza. Quel trattato era stato sottoscritto da Cina e Urss nel 1950, quando i rapporti tra le due potenze comuniste erano al culmine della cordialità. Il trattato con il Giappone conclude sei anni di preparativi, e coincide quasi esattamente con il 41° anniversario della guerra sino-giapponese del '37: dopo la normalizzazione delle relazioni diplomatiche nel '72, con un documento firmato in occasi ne della visita del premier nipponico Tanaka a Ciu En-lai, fu raggiunto nel '74 il primo accordo commerciale e, poco dopo, un accordo sul traffico aereo. Il negoziato per il definitivo trattato di pace ed amicizia fu avviato nel novembre del '74, ma interrotto un anno dopo. E' ripreso soltanto il 21 luglio scorso, dopo un lungo periodo di tensione caratterizzato da accuse di ingerenza mosse dal Giappone alla Cina e dopo un incidente diplomatico, nel maggio scorso, per la presenza di pescherecci cinesi armati presso l'isola di Tiaoyu. E' stata la Cina, si osserva, a premere per la riapertura del negoziato; una decisione che rientra chiaramente nel quadro del nuovo intenso dialogo avviato da Pechino con tutti i Paesi in grado di appoggiarla nelle sue nuove aspirazioni diplomatiche e commerciali. Non a caso il trattato col Giappone è stato firmato a due giorni dalla partenza del presidente Hua Kuo-feng per le visite in Romania, Jugoslavia e Iran: entrambe le iniziative fanno parte di un riordinamento politico ed economico con la sfera comunista e coi vicini geografici. Nel trattato firmato ieri a Pechino (consta di un preambolo e di cinque articoli) il Giappone e la Cina si impegnano a sviluppare « durevoli relazioni di pace e d'amicizia »: nei rapporti bilaterali « regoleranno tutte le controversie con mezzi pacifici, senza ricorrere all'uso o alla minaccia della forza », inoltre « in spirito di buon vicinato e di amicizia opereranno per sviluppare ulteriormente le relazioni economiche e culturali » e per «promuovere gli scambi tra i popoli dei due Paesi ». Dietro la retorica si insinua — e questo è il maggiore timore di Mosca — la minaccia del « fronte giallo ». I rapporti fra Tokyo e il Cremlino, sebbene g!à nel '56 si sia concluso lo « stato di guerra », non consentono a tutt'oggi la firma d'un completo trattato di pace; anche la collaborazione economica fra i due Paesi stagna, e l'atteso accordo sulla pesca è stato aggiornato sine die dai giapponesi. L'unico progetto comune riguarJa lo sfruttamento, insieme con gli Stati Uniti, delle riserve di gas naturale di Yakuts, nella Siberia orientale. Restano invece aperte le rivendicazioni territoriali, con !a richiesta giapponese di ,'estituzione delle isole Kurili occupate durante la guerra. Dei due più prossimi partners « geografici », Tokyo ha ora scelto la Cina. Pechino le darà un nuovo sfogo per le proprie esportazioni. Nel 1977 gli scambi economici fra i due Paesi hanno raggiunto 3,7 miliardi di dollari (quelli russo-nipponici sono analoghi: 3,6 miliardi di dollari). Grazie a questo accordo, e a un'intesa commerciale del febbraio scorso, dovrebbero aumentare di altri 20 miliardi di dollari nell'arco dei prossimi otto anni. La Cina fornirà soprattutto carbone e petrolio, in cambio di stabilimenti e tecnologia avanzata. Per Pechino, che con l'attuale disputa col Vietnam provava una sensazione di « accerchiamento », il patto con Tokyo, è un'importante apertura verso Oriente. Fabio Galvano Huang Hua Sunao Sonoda

Persone citate: Ciu En-lai, Fabio Galvano Huang, Hua Kuo-feng, Huang Hua, Tanaka