America nella spirale dell'inflazione

America nella spirale dell'inflazione INQUIETUDINI PER L'ECONOMIA USA DOPO IL «BOOM» PIÙ' LUNGO DEL DOPOGUERRA America nella spirale dell'inflazione I motivi della tempesta valutaria, i rischi di crisi, i possibili rimedi: parlano il ministro del Tesoro, Blumenthal, e l'economista Samuelson DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE WASHINGTON — Per l'economia americana, questa è l'estate più inquieta dal '74. Dopo tre anni e mezzo di sviluppo continuato — il boom più lungo dell'intero dopoguerra —essa teme la stagflation, la spirale dell'inflazione e del ristagno. L'hanno messa in guardia le statistiche del primo semestre '78 e i contrasti tra le parti sociali. 'Qualcuno si chiede se non stia finendo un ciclo, dice il premio Nobel Paul Samuelson, e non ne inizi un altro. Nascono paure irragionevoli sul futuro del Paese». Più che le statistiche in sé, è la tendenza che esse sottolineano a inquietare numerosi operatori. Tra gennaio e luglio, la bilancia commerciale ha accusato un deficit di 16 miliardi di dollari contro i 12 dello scorso anno. Anziché dell'atteso 5 per cento, la produzione è in aumento solo del 3,5 per cento e continua a rallentare. Rispetto al '77, il tasso inflazionistico è raddoppiato, toccando livelli europei. «Se il governo non interverrà a tempo e bene, nel 79 saremo in piena crisi», dichiara il presidente della General Electric Reginald Jones, uno dei pessimisti. Il contagio I contrasti tra le parti sociali non paiono insanabili, ma minacciano la conduzione dell'economia. Dalla California, la rivolta dei contribuenti s'è estesa allo Stato di New York, •il contagio, mi precisa Samuelson con ironia, è fatale». Il più autorevole sindacalista americano, Douglas Praser, dell'industria automobilistica, ha lasciato il «Labor management Group» un organo consultivo di Carter, per protesta contro la lotta di classe condotta a suo avviso dalla Confindustria. Il Parlamento si mostra poco collaborativo col Presidente e la guardia georgiana della Casa Bianca nei varare le riforme; perfino Kennedy ha detto no al progetto legge sanitario. La causa principale delle inquietudini, tuttavia, è esterna. E' la fuga del dollaro verso le monete forti, yen giapponese in testa, e verso l'oro. ^L'America non s'aspettava un'ennesima tempesta valutaria», mi spiega Samuelson. «In cinque anni il prezzo dell'oro si è triplicato: era di 70 dollari l'oncia di fino nel '73, di 140 solo la scorsa estate, adesso sta salendo a 210. E lo yen? S'è apprezzato del 40 per cento in un biennio. Di questo passo, i turisti americani non potranno più visitare il Giappone». Ai pessimisti, la sfiducia dei mercati internazionali suona come una condanna. Essi temono che i Paesi produttori di petrolio abbandonino il dollaro quale unità di conto in favore di un «paniere» di valute solide; e considerano il disegno franco-tedesco di un fondo monetario europeo «un pugno al basso ventre». Sottolinea Samuelson: 'L'indecisione del governo nell'imporre una politica energetica e di export, le uniche misure che ci riconquisterebbero la fiducia di Tokyo e della Cee, sono alla base del loro sconforto. Ma io non credo che abbiamo perso il treno». La tranquillità del premio Nobel dell'economia è condivisa dall'entourage del presidente Carter. Esso respinge l'accusa, già rivolta da un giornale a Nixon nel '73-74, di negligenza benevola nei confronti dell'industria. Giudica l'attuale congiuntura ancora superabile con una strategia a breve termine di deflazione e di rilancio controllati insie me. «Le situazioni sono assai diverse, osserva il ministro del Tesoro Michael Blumenthal che appartiene agli ottimisti. Nel '73-74 l'America ha tocca to il fondo. Adesso possiamo dire di star bene. Sbaglia chi parla di crisi di strutture. Dal '74 a oggi le abbiamo modificate: sono quelle necessarie al nostro Stato». Il bilancio dell'entourage di Carter lascia poco spazio alle paure. Nel '76 e nel '77, il prodotto nazionale lordo è salito del 5 per cento in termini reali e la disoccupazione è scesa dall'8 a meno del 6 per cento. Nel primo semestre di quest'anno hanno segnato un record i profitti delle grandi corporations, dalla General Motors alla famigerata Lockheed (per l'Italia), e le esportazioni di cereali di cui l'America mantiene i 2/5 dei depositi del mondo. La Borsa è in continua ascesa. "Va meglio" Molti torbidi dell'età di Nixon sono poco piii che ricordi. Grazie al programma di occupazione giovanile, è finita la rivolta nelle università e nelle scuole. I negri vengono integrandosi anche ai vertici aziendali, mentre incomincia la bonifica dei ghetti. La parziale ripresa del progetto della grande società del presidente Nixon e l'approvazione del salario minimo consentono ai diseredati di respirare. Si è esaurita l'azione disgregatrice della guerra del Vietnam, e si sono sopite le polemiche sul Watergate e la corruzione dei partiti. Nelle metropoli, a cominciare da New York, è diminuito il crimine. Da questa piattaforma, con un equilibrio che non è scosso neppure dagli attacchi a Carter, la cui popolarità è al punto più basso, il governo intende muoversi innanzitutto contro l'inflazione, che si aggira sul 10 per cento. Esso ha già ridotto da 60 a 43 miliardi di dollari il disavanzo del bilancio preventivo del prossimo anno finanziario, ed elevato dal 7 al 7,25 per cento il tasso d'interesse generale per prestiti alle banche. Come primi provvedimenti di un «pacchetto» interminabile, sta ora discutendo un piano selettivo di agevolazioni delle esportazioni e uno parallelo di controllo elastico dei prezzi. Presto mobiliterà la Confindustria e i sindacati per un autoregolamento dei salari. Michael Blumenthal, che è fra gli interlocutori più attenti della stampa americana, identifica nell'inflazione il nemico pubblico numero uno dell'America, «più pericoloso dell'eccesso di consumo di energia». Sostiene però che essa sta per entrare nella parabola discendente, e che dunque occorre non deflazionare troppo. «A luglio sono calati i prezzi degli alimentari; il deficit commerciale di giugno è stato minore del marzo del '77; e sono due mesi consecutivi che riduciamo le importazioni di petrolio». Invece di temere che l'inflazione sia ormai ingovernabile, la Casa Bianca teme di generare, 'Sparando ad alzo zero», un ristagno prolungato. Il suo compito è difficile perché comporta un complesso dosaggio di investimenti e crediti, e perché i dicasteri responsabili non operano all'unisono (il consigliere del Presidente, Schultze, il governatore della riserva federale, Miller, ad esempio, sono ai poli opposti). Ma non è impossibile, e lo ha già dimostrato Ford che nel '75, con un abile gioco di misure, dando tempo al tempo, è riuscito a risanare l'economia e ad avviare l'espansione. Con uguale fiducia nei propri mezzi, Ventourage di Carter si accinge a limitare il consumo di energia. Negli ultimi sei anni, le importazioni americane di petrolio sono raddoppiate, e il loro costo si è decuplicato. Dopo aver promosso una profonda riconversione industriale, per sfruttare fonti alternative quali il sole e il carbone, Carter ha stilato un disegno di legge che rispetta gli accordi presi a Bonn, al vertice dei sette. Esso prevede per il 1985 una riduzione di 2,5 milioni di barili al giorno, l'equivalente dell'attuale fabbisogno dell'Italia. «Se raggiungeremo l'obiettivo, dice Blumenthal, rafforzeremo il dollaro, deprezzeremo l'oro, e taciteremo tutti». Per una valutazione «dal di dentro» dell'economia statunitense in un momento assai delicato per l'Europa, mi rivolgo al presidente della Confindustria, Heath Larry. Già dirigente della United States Steel Corporation, Heath Larry fa oggi parte del serbatoio «manageriale» di cervelli a cui ricorre spesso la Casa Bianca. Come Samuelson, è cautamente ottimista. «Non condivido né le paure di certi nostri operatori né la sfiducia nel dollaro dei mercati internazionali», mi risponde. E l'oro? 'Dicono che il concetto della locomotiva sia superato, ma a mio parere la realtà è sempre quella: l'economia americana è la più forte e quando cammina ne traina molte altre. Credo che stiamo per superare la fase acuta della congiuntura». Si interrompe un attimo e aggiunge: 'Naturalmente, bisogna che il governo prenda atto delle proprie responsabilità: questa volta l'inflazione è stata causata dall'eccesso della spesa pubblica, il surriscaldamento del mercato è arrivato dopo. E'accaduto insomma un po'come in Italia». La ricetta della Confindustria. mi spiega il presidente, è elementare: .Innanzitutto, drastici tagli nel bilancio dello Stato. Il disavanzo va azzerato entro pochi anni, ed è ora di finirla con le assunzioni improduttive, che accentuano soltanto l'elefantiasi della burocrazia. In secondo luogo, contenimento dei salari. Non pensiamo a un blocco, ma commisuriamone almeno gli aumenti a quelli della produttività, altrimenti non saremo più competitivi. Al terzo posto, il risparmio dell'energia. In proporzione, usiamo il doppio di nazioni progredite come la Svezia e la Germania: è inaccettabile. In ultimo, riduzione degli investimenti nell'ecologia, per la sicurezza e in talune altre tutele sociali, senza dubbio utili ma irrealizzabili tutte subito». Heath Larry confida che l'azione del governo non si limiterà alla lotta all'inflazione. 'Ritengo fondati i dubbi a lungo termine perché negli Usa non stanziamo più abbastanza in attività che producono ricchezza e posti di lavoro. Ciò che sta succedendo in queste settimane deve servirci di lezione; deve farci tornare fino alla libera economia di mercato e allontanarci dalle tentazioni dello statalismo. Il nostro futuro sta negli investimenti puri, nelle alte tecnologie, la ricerca; ed essi non sono possibili sema sacrifici da parte della società». In qualche modo, il presidente della Confindustria attribuisce la maggior colpa delle difficoltà economiche degli Usa 'alla mentalità della guerra del Vietnam»: 'Sono gli ultimi residui dell'autoinganno perpetrato per un decennio, della speranza che non ci fosse bisogno di pagare direttamente per il conflitto, tasse ad esempio. Adesso sappiamo tutti quanto sia importante il pareggio del bilancio dello Stato». Gli chiedo che cosa pensi dell'asserzione del New York Times, secondo cui «/'oro si ridurrà a un'area di parcheggio degli speculatori». 'E'prematura, mi risponde; auguriamoci che non sia azzardata». Ennio Caretta