Duemila milioni di sterline per le scommesse di Giorgio Viglino

Duemila milioni di sterline per le scommesse L'ippica in Gran Bretagna: 10 mila cavalli si alternano in novecentocinquanta riunioni Duemila milioni di sterline per le scommesse DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE LONDRA — Il passaggio dall'ippica italiana a quella inglese è un poco come il salto dalla fiera di Abbiategrasso a quella di Milano, laddove il fatto che entrambe si chiamino fiere, non giustifica lo stupore per l'esiguità dell'una e l'iperdimensione dell'altra. E' questione di dimensioni, certamente, di tradizioni, per quel che valgono e finché non contrastano con esigenze di bilancio, ma soprattutto di mentalità. Il cavallo è ancora un animale comune in tutta la Gran Bretagna e i ragazzi che debbono disegnarne uno, copiano dal vero, non da un disegno come può accadere nella maggior parte del nostro Paese. In secondo luogo nessun avvenimento come le corse dei cavalli offre la possibilità di scommettere con tanta facilità, e la scommessa è il vizio capitale delle isole del Regno Unito. In Inghilterra, Galles e Scozia (l'Irlanda del Nord ha chiuso ormai da quasi un decennio i suoi impianti) sono in funzione sessanta ippodromi con un totale di 950 riunioni. I cavalli in allenamento sono 11.500 e quindi circa diecimila si alternano nelle diverse corse, considerando anche il discreto interscambio con la Francia. Queste cifre riguardano solo ed esclusivamente i purosangue impegnati nelle corse al galoppo, in piano e ad ostacoli, e non comprendono impianti ed attività della vicina Irlanda, dove il fenomeno ippico è ancor maggiore. Su un territorio ben più ridotto sono in funzione una trentina di ippodromi ufficiali, dove corrono oltre quattromila cavalli, per non parlare delle piste private, di quelle comunali, di quelle di club, dove corrono altri cavalli senza albero genealogico, ma che reggono altrettanto bene fior di scommesse. Il motore di tutta questa complessa macchina è infatti negli ippodromi al totalizzatore e presso i quattrini difficilmente valutabile per la particolare articolazione delle scommesse. Una stima effettuata dal Levy Board, l'Associazione degli allibratori, calcola in duemila milioni di sterline (la parola miliardo non la si ritrova nemmeno nel bilancio dello Stato britannico) il totale delle puntate effettuate nell'arco di un anno, il'76, ma è cifra sicuramente approssimata per difetto. Sulle corse dei cavalli si scommette infatti negli ippodromi al totalizzatore e spesso i book-makers, ma si gioca fuori, nei Bettlng-shop, presenti in ogni piccolo paesino e a decine nelle grandi città, e soprattutto, infine, pure per telefono presso il proprio agente di fiducia. Quattro grandi compagnie gestiscono il gioco in tutta la Gran Bretagna: la Ladbroke, la Hills, la Mecca e la Coral, ciascuna diventata con gli anni capogruppo di una finanziaria che dispone di una liquidità senza pari. Una grossa polemica Le horses racing restano la base, ma si può scommettere su tutto e la Ladbroke è in questi giorni al centro di una grossa polemica, avendo aperto le scommesse sulla nomina del nuovo Papa. Ron Pollarci manager della compagnia, ha ribattuto alle critiche di un deputato laburista con malcelato fastidio, sottolineando come si facciano preferenze fra le religioni: per la nomina dell'ultimo arcivescovo di Canterbury si era registrato infatti un movimento di circa un milione di sterline con buona soddisfazione dei vincitori che hanno ottenuto mediamente una quota di uno contro 7, sette sterline vinte per una giocata. In questo momento del resto la scommessa più in auge è quella relativa alla raining season, la stagione piovosa: un altro libro è stato aperto (la dizione ufficiale è questa, deliziosamente antica ora che tutte le compagnie lavorano con i computers) e vincerà chi indovinerà l'ora e il giorno d'inizio del primo periodo di 48 ore senz'acqua. Torniamo alle corse e al loro lato tecnico. Punto ai forza dell'intera organizzazione sono gli allevamenti che consentono un gran numero di cavalli soprattutto nello Yorkshire, poi nel Sussex, nel Kent e in numerose altre contee Rispetto alla Francia, il costo di mantenimento e allenamento del cavallo è note¬ volmente inferiore e l'ambiente più favorevole, e per questa ragione si è verificato un progressivo spostamento degli allevatori stranieri, e anche di qualche francese, verso l'Inghilterra. L'allevamento di cavalli da corsa si è trasformato ormai da tempo da' costoso hobby in attività professionale remunerativa, e obbedisce pertanto a precise esigenze di economicità, che il monte premi, assai elevato, delle gare inglesi combinato con le sedi limitate, garantisce ampiamente. Fra i tanti piovuti dal mondo intero, la colonia degli allevatori italiani è ora abbastanza numerosa; accanto a Vittadini e D'Alessio, che hanno avuto un ruolo di primo piano negli anni passati ed hanno tuttora cavalli eccellenti e potenziali cracks in allevamento, sono comparsi sulle piste britanniche nomi come Boffa, Perrone, Guetta, Chiarenza, Bizzarro, Castello, Labrecciosa, titolari di scuderie piccole o grandi, ma stabilmente impegnati in questi ippodromi. Luca Cumani. l'allenatore salito alla celebrità con i successi delle ultime due stagioni, ha la propria scuderia a Newmarket ed è ormai più inglese dei suoi colleghi britannici. Il marchese Incisa, nome celebre legato alla casacca più amata d'Italia, quella delia Dormello-Olgiata, ha acquistato recentemente nello Yorkshire le «Middleham stables», un complesso di scuderie lasciate libere da Erik Coilingwood, trasferitosi con quattrini e cavalli a dirigere il Jockey Club di Hong Kong: quanto prima dovrà occuparle con i cavalli, visto che un investimento di circa 300 milioni non può certo rimanere inattivo. Tutto sembra funzionare alla perfezione, ma non è poi proprio vero, piuttosto è il fenomeno generale che ha una tale forza di trazione da mascherare i punti deboli e da permettere l'esistenza di un certo numero di poste negative. Il Racing Bureau cita con orgoglio i suoi sessanta impianti, ma in realta l'attività è polverizzata su troppi ippodromi, con una frequenza media di 17 riunioni a stagione, che comprende ovviamente le punte di 27 di Newmarket e i minimi di 6 o 7 di Market Rasen o di Wincaton. La gestione degli ippodromi è diventata difficile e le singole società tendono ora a raggrupparsi per dividere i costi e coordinare l'attività in modo da poter contare sulla stessa base di pubblico e usufruire del medesimo staff tecnico. Riuniti in consorzio sono, tutti gli impianti scozzesi, oppure tre piccoli ippodromi del Sud, come Folkestone, Fontwell e Plumpton, mentre altri come Newcastle hanno i capitali di una delle grandi compagnie di scommesse, la Coral nel caso specifico. Problemi non ha certamente Ascot, che è di proprietà della Regina, cui tocca provvedere per sanare le cifre in rosso comparse nel proprio lauto appannaggio, mentre largamente in attivo è Newmarket, gestito in proprio dal Jockey Club, che conta sulla portati va delle grandi aste. Problemi difficili Poi ci sono altri problemi non meno difficili da risolvere, quali quelli del doping sui cavalli, della distribuzione dei premi e delle corse, dell'organizzazione generale che fa capo ad un Jockey Club ormai troppo sclerotizzato e inefficiente, dell'impostazione delle scommesse sul totalizzatore che hanno una minima consistenza pur essendo quelle che convogliano più quattrini da investire nell'allevamento. La commissione nazionale per il gioco, presieduta da lord Rotschild, ha dedicato una cinquantina di pagine della sua relazione finale, su due tomi per un totale di quasi 600, alle corse dei cavalli, suggerendo tutta una serie di mutamenti che verranno presto adottati. E' infatti più facile mettere in pratica questa parte ben identificata che non l'altra, quella di 500 e più pagine, che affronta l'arco completo di interesse al gioco da parte degli inglesi, quel vizio capitale che pure ha anche i suoi lati positivi: il sandwich chi l'ha inventato, se non il conte omonimo che tra una scommessa e l'altra non aveva tempo da perdere per sedersi a tavola? Giorgio Viglino