Filmava sui campi di battaglia

Filmava sui campi di battaglia ROMAN KARMEN, LA CARRIERA DI UN DOCUMENTARISTA Filmava sui campi di battaglia Fu a Norimberga durante il processo ai criminali nazisti, girò documentari in Spagna, Cina, India, Vietnam - La profonda differenza tra questo cinema e il "reportage,, televisivo Non (ulti i giornali ituliani hanno dato notizia della morte di Roman Karmen. avvenuta il 29 aprile scorso, e pochissimi vi hanno riservalo la dovuta attenzione o ne hanno commentato criticamente, sia pure per sommi capi, l'opera cinematografica. Eppure poteva essere un'occasione non soltanto per ripercorrere la carriera d'un documentarista fra i più noti e apprezzati della sua generazione, ma anche e soprattutto per fare il punto su una teoria e una pratica filmica he sono state in questi ultimi decenni progressivamente emarginate e quasi del tutto annullate dalla diffusione capillare del reportage televisivo, ma che hanno avuto e potrebbero avere tuttora e in futuro una loro funzione non trascurabile. Per dirla con una recente enciclopedia cinematografica francese. Roman Karmen «' uno di quei cineasti che si trovano sempre, con la cinecamera in mano, sui campi di battaglia (militari, morali, economici o sociali) dove sì decide il destino degli uomini o delle nazion/VEd è una definizione questa che si può applicare correttamente a un intero gruppo di cineasti documentaristi, da Dziga Verlov a Joris Ivens a Richard Leacock, i quali, in varia misura e con inlenti e finalità a volle diversi, ma seguendo un progetto contenutistico e formale sostanzialmente omogeneo, hanno messo il cinema al servizio della storia, nel senso che hanno utilizzato le straordinarie possibilità offerte dalla ripresa direna dei falli e dei personaggi della cronaca per un discorso storico articolalo, sorretto da una precisa visione politica della realtà. Se questo fu il loro intento — e nell'opera di Karmen ciò è avvertibile nei film da lui realizzati in Spagna, in Cina, a Norimberga, durante il processo ai criminali nazisti, in Vietnam, in India, a Cuba, in Cile e nell'America Latina, oltreché, naturalmente, in Unione Sovietica, la sua patria —, occorre subito osservare che il loro «documcnlarismo» è qualcosa del tutto differente dall «attualità», proprio perché non si ferma alla pura e semplice registrazione dei l'alti, ma da essi parte per una «ricostruzione» critica dell'intera situazione in cui quei l'alti sono accaduti. Ed é questa ricostruzione, che può avvenire soltanto nella fase del montaggio e della selezione del materiale girato, con le eventuali integrazioni ritenute necessarie, che sposta le immagini e le sequenze dei loro film dal piano della riproduzione fenomenica a quello dell'interpretazione storica. Cerio il cinema militante di Karmen. come quello di Ivens, che per molti aspetti é il regista più vicino, formalmente e politicamente, al documentarista sovietico, si basa essenzialmente sull'immediato intervento sulla realtà, nel vivo degli accadimenti: ed alcuni dei suoi film, come quelli sulla Spagna e sulla Cina, sono nati prima come cinegiornali d'attualità che come opere d'ampio respiro, «ricostruite». Ma questo intervento a caldo, che tra l'altro tornisce la materia prima con la quale è poi possibile costruire il film, da un luto é già esso stesso il frutto d'una particolare disposi/ione critica e ideologica dell'autore, nella scelta delle inquadrature: dall'altro si integra in una più generale visione della situazione, non solo contingente, ma appunto «storica», che garantisce quel distacco critico, che é nelle premesse slesse del documcnlarismo storiografico. Il reportage televisivo, per la sua stessa natura, é invece costruito lutto sull'immediatezza della visione e della registrazione dei l'alti, vive come la cronaca e e e e o a i , a e a e , e o, a e à a si o o soa a e a giornalistica — Véspace d'un inalili, la sua funzione è strettamente connessa al suo consumo immediato. Il valore e il significato delle immagini e delle sequenze, realizzate queste ultime nelle contemporaneità della ripresa, nel flusso continuo degli accadimenti e non come risultato d'un progetto critico-informativo preesistente, sono quelli propri del documento bruto, della notizia. E la manipolazione della realtà, che pure é presente anche nel reportage televisivo, si occulta allo sguardo dello spettatore, contribuendo in tal modo a una sorta di passività recettiva o di indifferenza critica, nel senso che i fatti che la telecamera registra in modi e l'orme apparentemente «oggettivi» sono a loro volta consumati dallo spettatore con quella falsa «oggettività», che ne impedisce o ne attenua fortemente l'interpretazione e la sloricizzazione. Contro questo appiattimento documentaristico, che si è fatto sempre più massiccio nell'era della televisione, ma che già era contenuto in larga misura nei cinegiornali diffusi settimanalmente sugli schermi di lutto il mondo a partire per lo meno dagli Anni 20. il cinema di Karmen e quello dei documentaristi citati e di altri ancora, primo fra i quali l'inglese John Cìrierson e la sua scuola, continua a fornire una serie di indicazioni metodologiche di grande interesse. La realtà non é mai data come tale, la presunta obiettività della cinecamera é un falso tecnico oltreché ideologico, il mezzo di registrazione del reale è anche e soprattutto un mezzo di rivelazione dei nessi più o meno solterranei che legano i fatti fra loro o li determinano storicamente. La scelta delle'inquadrature e più ancora il loro montaggio, secondo un progetto interpretativo che non può non essere ideologico e politico, ma che si dichiara esplicitamente tale, sono gli strumenti cinematografici basilari che possono fornire allo spettatore al tempo stesso la realtà dei fatti e la loro collocazione in un più ampio discorso critico. Ed è questo discorso che costituisce l'asse portante della rappresentazione, con il quale occorre fare i conti, confrontandosi sia con il reale filtrato dall'interpretazione, sia con l'interpretazione profondamente radicata nel reale. Roman Karmen di questo cinema ideologico è stato un rappresentante dei più qualificati, proprio perché, nel buttarsi con coraggio e disponibilità totale nel vivo delle battaglie «dove si decide il destino degli uomini o delle nazioni», riprendendo gli avvenimenti, gli ambienti e i personaggi nell'immediatezza del contatto diretto, si é sempre richiamato tuttavia a una lucida e chiara impostazione storiografica della situazione descritta. L'uso storico che si può l'are del mollo materiale cinematografico da lui girato non può limitarsi — come spesso accade quando lo storico si serve del cinema — alla realtà dei fatti registrati, ma deve tener conio della struttura complessiva dei singoli film, e quindi del taglio ideologico e politico che quei fatti hanno subito nel passaggio non tanlo dalla realtà alla sua riproduzione, quanto piuttosto da quest'ultima a quella nuova dimensione che essi acquistano sullo schermo, che è ormai una dimensione «storica». Di qui la profonda differenza Ira questo cinema e il giornalismo televisivo. Di qui l'interesse che esso può ancora suscitare fra lutti coloro che si preoccupano dell'appiattimento ideologico cui ci costringe il consumo indifferenziato della televisione. Gianni Rondolino Vi » % Roman Karmen in Vietnam, accanto a Ho Ci Minti