Le strade a Winsley

Le strade a Winsley NOTE DI DIARIO DI UN VIAGGIO INGLESE Le strade a Winsley WINSLEY, Wiltshire - Il problema, nella vecchia Inghilterra, resta sempre quello: dov'è sono gli inglesi. Sessanta milioni, più o meno, di esseri, in un paese piccolo cóme il nostro. Eppure, di tutti quei milioni, diffìcile catturare un esemplare, per quanto uno ci provi; e soprattutto se insiste a provare. La pianificazione territoriale, dicono gli esperti, le vecchie metropoli e le nuove conurbazioni... che ingoiano metà di quei milioni di esseri. Ma resta l'altra metà; sicché vale, credo, tutt'altra ipotesi in queste isole: quella d'una particolate leggerezza dei corpi o d'una naturale disposizione delle anime a sparire più che ad apparire. Qui a Winsley, tra Bath e Salisbury, in campagna, abito in un vecchio Barn, che era una volta la stalla-granaio del paese. Una struttura, si direbbe oggi, comunitaria; in disuso da qualche secolo, rimessa un po' a posto cinquantanni fa. Qualcosa è rimasto delle funzioni e usi comuni: sotto lo stesso tetto, in cambio di armenti, convivono un padrone e una figlia, due o tre inquilini, un vecchio maggiore «ospite pagante» con una governante unisex che lui chiama attendente, un paio di ragazze alla pari e altre vaganti. Scomodo da abitare, il Barn; ma non più di tante altre case inglesi, vecchie e nuove: muri da fortezza, ma penuria di bagni; corridoi da prigione, ma porte che non chiudono. Scale e finestre ingentilite dal restauro liberty. I cavalli Fa un po' impressione; e per questo, forse, non c'è mai qualcuno sul serio qui dentro. Al momento il padrone è in Canada, la figlia in Australia, come si deduce da un paio di bigliettini abbandonati sul tavolo; il signor maggiore invece è alla stazione, non si capisce quale perché non ce n'è, c'è solo una vedova che abita qui di fronte; le ragazze sono partite coi loro tamburi per un giro col circo Hurl o con l'Esercito della Salvezza. Ma che iesti o no qualcuno qui dentro, non fa gran differenza verso sera qualche soffice passo sfiora i corridoi da prigione, le scale da fortezza. O forse fuori sull'erba. Esco a vedere: Australia o stazione ferroviaria, nessuno. Però sul davanzale, o dimenticato sul l'erba, ecco il solito binocolo da marina: che dev'essere il mezzo di avvistamento in caso di partenza e d'arrivo, o addirittura lo strumento permanente di comunicazione dei padroni e degli ospiti, paganti e no. Un bel rumore di automobili, questa mattina, qui fuori: non la scio perdere, esco. Trovo le macchine, finalmente, accanto al negozietto che da noi si direbbe della cooperativa: coperte di polvere, ferme, sembra, da mesi. In vendita alla cooperativa, tra festoni di carta igienica e di saponi colorati. M giro, e per poco non vengo travolto da un paio di motorini senza rumore come orologi al quarzo. So che anche qui modificano scappamenti e marmitte come da noi; però in senso esattamente opposto: per arrivarti accanto pia no piano, come si racconta di tanti personaggi nelle loro più vecchie leggende, toccarti — magari! sparire. Comunque, chi è più sicuro, ora, di averlo sentito quel vago rumore di motori che mi ha but tato fuori di casa; forse si trattava di cavalli: passano dei ragazzi cavallo, ora, cavalloni immensi sferragliano che è un piacere, alti sulle murate degli orti e dei giardini. Si fermano anche loro da vanti alla cooperativa, li confronto con la minivetrina carica di sa poncini. Vero che sono tutte case da nani, in Gran Bretagna, non si capisce come la gente ci viva; ma cavalli toccano addirittura il tetto col muso, uno tenta di spostare le tegole tra i camini per inseguire chissà, una lucertola. La notte arriva lentamente, questa stagione, a Winsley: prima un tramonto color terra, che non vuol più finire; poi un chiarore supplementare, un certo verde marcio, triste, ti spinge fuori d casa: meno male che dura a lungo perché quando è buio, qui, è buio sul serio. A Winsley, come tanti altri paesi piccoli e grand non c'è illuminazione; solo qua! che vecchia lampadina nel «cen tra» o nell'abitato — non so come chiamarlo perché un centro, al solito, non c'è: non c'è piazza Winsley, come in nessun vero villaggio inglese, né chiesa sulla piazza, campanile, portici, passeggio, monumento ai caduti... Ogni tanto, l'occhio luminoso d'una finestra, che sos'ituiscc l'illuminazione pubblica; ,ni, tra le solite nuvole instancabil. umide stelle incerte, o forse segnali. Cammino fra il tramonto e la notte per queste tipiche strade della campagna inglese: che sono in realtà stradine, sentieri asfaltati, larghi sì e no un paio di metri quando sono larghi. Una rete fittissima di queste strade-sentieri, scomode, antiquate e ben tenute, copre il paese come nel Medioevo. Nessuna strada vera, o quasi. Tutte una curva, queste stradine, senza alcun senso apparente: ora girano un po' a sinistra e ora tornano a destra, ancora un po' più a sinistra o leggermente più a de¬ snsfc a n e e o e o a i e e a e o , i , , . a ¬ stra, sghembe, storte, a spirale... E naturalmente anche in su e in giù, seguendo le curve continue della terra, le infinite variazioni di cui è fatta la cosiddetta pianura inglese che è tutta una collina. Mai un minimo di rettifilo, una pendenza :ostantc. Winsley non solo non ha un centro, ma è messo li sparpagliato tra una curva e un'altra, tra una pendenza e la successiva; per niente allineato, ordinato, squarato... E' l'impianto dei paesi anglosassoni, tutto il contrario deimpianto romano: l'esatto rovescio di quei nostri precisi e maiacali «graticolati», con tanto di cardo» e di «ordo» che si intersecano a squadra. Tra curve e :ontrocurve, e le spirali imprevedibili e gli incroci tutti sghembi, e cielo che pare sempre un po' alba invece è sera tardi, facile perdere l'orientamento e più ancora il bandolo della giornata: sostituito dall'antica paura della notte, che però non si decide a venire. Epure, o forse proprio per questo, non riesco a tornare: vago in su e n giù per le spirali e non mi decido. Queste stradine sono accompagnate da piccoli muri a secco, che pesso si internano, per farti maggiore confusione, anche tra i campi. Dietro il muro, nel buio ormai, qualcuno tossisce, nascosto. Esseri umani? Guardo bene: pecore. Peore col raffreddore, immobili nell'umido. Verrebbe da dargli un fazzoletto, povere bestie, col muso umano che hanno. Il cimitero, finalmente, segno he sto tornando «in centro». Più vecchio del mio Barn, molto più vecchio: qui non li cambiano, né li distruggono mai, i cimiteri. Lungo una delle tante stradine storte, né squadrato, né geometrico, né simmetrico, né preceduto dai giusti filari di cipressi: segue con tutte le sue tombe le curve della terra, finisce poco più in là in un campo di cavoli tra serre di pomodori. C'è un bel cancello, mai chiuso a chiave e perfettamente inutile non ci sono quelle mura che da noi separano i vivi dai morti, si può entrare a ogni passo in cimitero attraverso le siepi, per sentie tini ancora più piccoli di quelli che usano i vivi. «Dentro», grovi gli di fiori: a cespi, a mucchi, a blocchi, senza il minimo ordine, come dappertutto qui negli orti e nei giardini. Poche croci e lapidi Qualche scultura, piuttosto: mol ti crani, tra lunghe ossa congiuri te. Lunghe, sottili, mangiate dal tempo: macabre, in complesso, tra i fiori. In qualche modo da noi, col nostro radicato geometrismo, nei paesi come nei cimiteri, si tenta di ordinare il mondo, di vincere la morte; o almeno di esorcizzarla, di tenerla lontano. Qui, tra i cespi e i grovigli, di nuovo qualcuno tos sisce: pecore? No: un paio di ragazzi che fanno l'amore; si usa nelle sere d'estate, in cimitero, tra i fiori. Stranamente, s'accorgono di me: salutano e riprendono. Questa mattina esco per vedere i lavori d'una di queste stradine, Col binocolo abbandonato sul prato l'ho visto bene: c'è un furgone fermo a una curva, carico d: pietre grigie e gialle, e un ometto che sistema sul muro, una per una le pietre. ' Gli arrivo accanto, mi fermo un attimo: niente, neanche mi vede. Ha diverse Lassette sul furgone ognuna con tante piate già pron te, a triangolo, a sbarra, a cuneo Ne prende una e prova. Bisogna provare e riprovare perché sono muretti a secco, senza calce, stan no su per via degli incastri e dei pesi. Proseguo. Ma quando ritorno, ormai abbandonata ogni idea di fermarmi, allora borbotta lui qualcosa: E' il momento — fischia —, il momento. Svelto, apre una cassettina dove invece di pietre appaiono bottiglie di birra. Me ne butta una, al volo, senza una parola. Chiaro che è il momento giusto. Un'osteria q"pcvcsg'aqptdMa perché — provo — non drizzate un po' queste strade, non le allargate? Perché corrono meno — ride —, soprattutto le macchine gros se, sulle strade strette. E non mettete — chiedo — calce tra le pietre? Si fa serio: E' un continuo giuoco — spiega —, tra fare e d sfare: il vento disfa, la pioggia d sfa... e io rimetto a posto: ora qua — fa un salto — e ora là. Io sol — fa un gesto con le braccia, come per volare — in tutto il Wiltshire. Lo guardo bene: piccolo di sta tura, capelli scuri, occhi celesti questo l'avrei catturato; ma chissà se è un vero inglese. Forse è uno quei britanni primitivi, un gallese un celta, the da queste parti resi stettero a lungo — si dice — agi angli invasori; e resistevano questo modo: apparivano a spari vano, mai fermi, ora qua e ora là dicono le vecchie leggende. Finita la birra, mi viene da chiedergli dove si può andare mangiare da queste parti. Lu questa sera, che è venerdì, va al George Inn. Addio, chiude le cas sette e parte. Vado anch'io al George Inn devo dirlo subito: noi abbiamo palazzi e chiese del Medioevo o del Rinascimento in Italia, ma un steria di quei tempi, grande e so nne, in piena campagna, non ibbiamo. Il fabbricato è di mattoni scuri, quasi grigi dal tempo, con bianche "ncstre a riquadri. Un'enorme, porta di pietra, per l'entrata dei cavalli. Dentro, il cortile a piccoli iottoli verdi; tutt'attorno le stalAl piano superiore il giro dei illatoi e le stanze. Ina parte delle stalle sono diventate birreria; o meglio sono la irrcria come prima erano stalle. Intro: muraglie nere e umide, jualche luce qua e là, il fuoco acceso col girarrosto; lunghe ombre sempre in moto sui muri da galeLa gente beve; qualcuno mangia, lo cerco il mio stonc-man, 'uomo delle pietre; ma forse è ancora presto. Intanto attacco questa loro birra un po' untuosa, oleiastra, pesante; e anche calda per i miei gusti. L'uomo non c'è, torno in corle; con calma: bisogna soprattutto attendere, non cercare. Un'ombra, un salto dal ballatoio del primo piano, ed cccomelo davanti senza spiegazioni. Qualche altra birra, e partiamo: nello stesso autocarro di questa mattina, senza più una pietra. Ha lavorato fin tardi — spiega — a sistemare le ultime pietre: tutto a posto, ora, nel Wiltshire. Io sempre zitto, è il solo modo per continuare. Quando non ci saranno più muri — fa improvvisamente — o più pietre da queste parti, lui va dritto in Canada — fa un segno in avanti — o in Australia. Anche lui, mi dico; le strade di Winsley, è chiaro, continuano senza sforzo in altri continenti. E' un po' tardi — conclude — , col buio dovrebbe essere a casa. Ma quando è buio? — ride —, quando, qui nel Wiltshire. Bene, eccoci a Winsley. Duepassi, propongo, per sgranchirci. Lui accosta al muretto, fa marcia indietro e accidenti tocca il muretto, scassa qualcosa. Scendiamo, il furgone è niente, ma il muro ha perso qualche pietra. Resta molto male il mio uomo, anche perché — brontola — non ha una pietra in macchina. Rimedia in qualche modo, aggiusta, cambia, e finalmente ci muoviamo. Siamo vicini al cimitero, viene spontaneo avviarci da quella parte. Un senticrino ben curvo, come al solito; ma lui si ferma quasi subito', alla prima curva: è la birra, penso, che costringe a fermarsi.. Sento tossire un po' più avanti, e ora anche dietro, di fianco... Sei tu stone-man?, dico. Non mi sente; nessuno. Saranno pecore, o forse amanti tra i fiorì. Un rumore di mototi, improvviso: è lui di sicuro, addio; se n'è andato a cercare le pietre per il muro scassato, o forse era ora, è arrivato anche a Winsley il buio. Provo a chiamarlo, ma non ne so neanche il nome: sparito. E adesso che fare, avanti o indietro... Ma ecco che da sotto i piedi, tra il sentiero e una vecchia tomba in disordine, mi si allunga davanti una strana fiammella, e ricade: un altro paio di fiammelle saltano un po' più in là, sfrigolano pian piano a destra, a sinistra, mai ferme. Di nuovo una lingua improvvisa, più vicina, quasi una fiammata sull'erba... ricade. Basta, spento o quasi spento; qualcosa continua sotto, tra i fiori. Forse sono i fuochi fatui, i fuochi salterelli, come li chiamavano un tempo i ragazzi, e magari li chiamano ancora, in campagna da noi. Li ho visti una volta, da piccolo, in campagna, quanti anni fa: una volta che era morto un cavallo e l'avevano sotterrato nei campi del nonno. Non so, vado troppo indietro nel tempo, bisogna stare attenti, forse si inventa. Arde ancora un poco, pian piano, e si spcignc- Paolo Barbaro

Persone citate: Bath, Epure, Paolo Barbaro, Salisbury, Svelto

Luoghi citati: Australia, Canada, Gran Bretagna, Inghilterra, Italia, Winsley