Un peschereccio affonda nella tempesta C'erano sei uomini, solo due superstiti

Un peschereccio affonda nella tempesta C'erano sei uomini, solo due superstiti Al largo dell'Isola del Tino, nel Golfo di La Spezia Un peschereccio affonda nella tempesta C'erano sei uomini, solo due superstiti DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GENOVA — Un peschereccio della società armatrice «Aipa» di Genova, il «Jonatha» di 146 tonnellate, colto all'improvviso dalla mareggiata mentre manovrava al largo dell'isola del Tino, nel golfo di La Spezia, è affondato e quattro dei componenti dell'equipaggio sono scomparsi, due sono stati trovati cadaveri. Il comandante Ciro Giadrini, 49 anni, di Lussimpiccolo (Dalmazia), cittadino italiano, e il direttore di macchina, Angelo Arrighi, di 44 anni, di Marina di Carrara, sono riusciti a salvarsi dopo aver trascorso quasi due giorni in balia dei marosi aggrappati a due bombole di gas; ieri mattina sono stati avvistati al largo del promontorio di Portofino da una vedetta della Guardia di Finanza e portati a terra. Sono entrambi ricoverati all'ospedale genovese di San Martino, in stato di choc e di semiassideramento. Le loro condizioni, sostanzialmente, non sono cattive e nel giro d'una decina di giorni dovrebbero essere dimessi. Nella tarda mattinata sono stati ripescati i cadaveri di Tommaso Romani, 61 anni, e Fernando Ricci, di 51, di San Benedetto del Tronto. Si ignora la sorte di altri due marittimi: Michele Romani, 56 anni, di Viareggio, e Domenico Pignati, 24 anni, anche lui di San Benedetto del Tronto. Il salvataggio dei due sopravvissuti alla violenza del mare è stato casuale: una motovedetta della Guardia di Finanza, la «G-41 Bianca », stava svolgendo un controllo ordinario al largo della punta di Portofino, quando sono stati avvistati dei relitti. Il natante s'è avvicinato per ac- certare se non si trattava di rifiuti, oppure di reti a stra- scico portate via dai fondali. Invece erano due bombole di gas alle quali si dibattevano aggrappati, ormai allo stremo delle forze e senza voce, due uomini. Con il salvataggio del comandante Giadrini e del direttore di macchina Arrighi è stato così «scoperto» il naufragio del peschereccio, avvenuto nella serata tarda di lunedì 7, senza che nessuna capitaneria avesse captato gli SOS lanciati prima dell'affondamento. Il comandante Giadrini ha raccontato, mentre gli venivano praticate le prime cure, che il peschereccio era salpato da Genova alle 14,30 di lunedì con destinazione Cagliari. Verso la mezzanotte, però, quando il «Jonatha» si trovava al largo dell'isola del Tino, è piombata sul golfo, come accade nel Mar Ligure, la mareggiata con tutta la sua violenza. Il libeccio ha investito il peschereccio di lato sballottandolo. «Ero in plancia — ha raccontato a fatica Giadrini, un vero lupo di mare istriano, che nella vicenda ha dato prova di notevole sangue freddo — quando il Jonatha s'è trovato in pieno fortunale. Ho fatto lanciare due SOS, poi non è stato possibile adoperare più la radio. Un'ondata più forte ha sfondato parte della chiglia e l'acqua s'è mescolata alla nafta delle macchine, bloccando di colpo i motori. Nel giro di un paio di minuti, lo scafo s'è riempito completamente ed era semisommerso». Giadrini, Arrighi ed il marinaio Ricci si sono legati tutte e tre insieme con una corda e hanno cercato, mentre il «Jonatha» si inclinava, di calare in mare il canottino di prua, ma un colpo di mare ha portato lontano la piccola imbarcazione e gli altri tre membri dell'equipaggio. Ricci, Giadrini e Arrighi si sono gettati in acqua, aggrappati alle bombole e a un salvagente munito di lampada. I tre naufraghi, dopo essersi avvolti le gambe e il corpo in teli di plastica, per ripararsi dal freddo, hanno nuotato per tutta la notte senza meta, immersi nell'oscurità, rischiarati soltanto dalla lampada del salvagente, che all'alba però s'è scaricata. «A questo punto — continua il racconto del comandante — .Ricci è stato colto come da una crisi; ha detto che non voleva trascorrere ancora un giorno e soprattutto ancora una notte in mare. Abbiamo cercato di trattenerlo, ma è stato impossibile». Il marinaio ha lasciato il salvagente e ha cercato di raggiungere a nuoto la co¬ sta che credeva d'intravede re nella foschia dell'alba. Non è stato più visto. BI comandante Giadrini, cercando di mantenere intatta la propria lucidità, ha calcolato, sulla base della propria esperienza, che le correnti e il vento avrebbero dovuto trascinare lui e il compagno verso l'imboccatura del porto di Genova. Sono state trentasei ore disperate: ogni tanto Giadrini e Arrighi lasciavano i loro appigli per compiere brevi nuotate in modo da non intorpidire i muscoli per il freddo e cercavano di sospingere le bombole verso riva. «A volte credevamo di avercela fatta, a volte eravamo risospinti al largo, ma comunque ci muovevamo verso il porto di Genova. Si trattava di tenere duro». La salvezza è arrivata dopo un'altra notte di tregenda e di disperazione al largo di Portofino. E' in corso un'inchiesta. La società armatrice ha fatto sapere che il «Jonatha» era in eccellenti condizioni e che avrebbe dovuto nei prossimi mesi essere inviato in Brasile, per una battuta di pesca. Paolo Lìngua Angelo Arrighi