Conclave: due linee a confronto su grandi temi del mondo d'oggi

Conclave: due linee a confronto su grandi temi del mondo d'oggi Conclave: due linee a confronto su grandi temi del mondo d'oggi Quella perseguita da Montini e quella d'una restaurazione • Subito sopita una polemica sui quindici cardinali ultraottantenni esclusi per l'età dall'elezione del nuovo Papa - Due richiami alle attese della Chiesa CITTA' DEL VATICANO — Una polemica in apparenza procedurale, accaduta lunedì mattina fra i cardinali presenti alla prima riunione, prima definita «congregazione generale», poi «incontro informale», rivela l'esistenza di qualche tensione nella preparazione del Conclave. L'episodio, subito rientrato, riguardava il modo di invito dei cardinali alle congregazioni generali previste ogni giorno durante la sede vacante, ma in maniera specifica sollevava il problema, mai risolto, del ruolo spettante ai porporati superiori agli ottant'anni. Una legge emanata nel '70 da Paolo VI esclude gli ultraottantenni dal Conclave (su 130 ne sono esclusi quindici, per cui gli elettori del Papa saranno in teoria 115) mentre la legge di riforma del Conclave, nel '75, dà loro la «facoltà» — e non l'obbligo — di prendere parte alle congregazioni generali dell'interregno. Il card. Jean Villot, decaduto da segretario di Stato alla morte di Paolo VI, ma prima autorità della sede vacante come «camerlengo di Santa Romana Chiesa», aveva convocato la riunione invitando i porporati per telefono. C'erano quindici cardinali, ma erano assenti gli ultraottuagenari, tranne il card. Carlo Confalonieri, decano del S. Collegio, seconda autorità nell'interregno e che conta quasi ottantacinque anni. A questo punto, secondo una prima versione, il card. Pericle Pelici avrebbe obiettato che gli inviti dovevano essere trasmessi per iscritto con tanto di ordine del giorno per ciascuna seduta. Diversamente, gli inviti telefonici non avevano alcun valore, tanto più che non sarebbero stati tempestivamente informati neanche i cardinali Paul Philip e Franjo Sepper, che hanno 73 anni. Secondo un'altra fonte, invece, alcuni dei porporati ultraottantenni avrebbero fatto sapere al camerlengo di considerare invalida la convocazione perché non era avvenuta secondo la procedura scritta. Il card. Villot ha accettato la richiesta e ha formulato gli inviti scritti. Ciò accadeva intorno alle 11,30 di lunedi 7 agosto. In precedenza la riunione era stata definita in sala stampa come «prima congregazione generale»; un'ora più tardi, un portavoce vaticano precisava che si era trattato, invece, di «congregazione previa, preparatoria, preliminare, informale». Tanto uso di aggettivi nascondeva, quasi certamente, il piccolo scontro avvenuto in quella seduta. Ma vi è di più: il card. Felici avrebbe anche lamentato che la costituzione di riforma del Conclave non era stata seguita dal previsto regolamento per applicarla. Pare che il documento fosse pronto, ma che Paolo VI non abbia avuto il tempo di firmarlo e, di conseguenza, non è valido. Ora qualcuno si domanda, in punta di cavilli, se mancando il regolamento la riforma del Conclave, sulla quale si regge l'elezione del prossimo Papa, sia applicabile. Si tratta, evidentemente, di quesiti destinati a restare teorici, ma che dimostrano la tendenza di alcuni cardinali di Curia di mettere in discussione aspetti rilevanti del papato appena concluso che, secondo i critici, avrebbe lasciato «motivi di indeterminatezza», fra i quali il ruolo dei cardinali ultraottantenni. Quando si trovarono esclusi dal Conclave, alcuni di loro fecero pubbliche proteste come nel caso del card. Alfredo Ottaviani, tuttora battagliero a novantuno anni, benché quasi privo di vista e di udito. Non è improbabile che la polemica procedurale sia stato un segnale, appena protetto dal segreto del pre-Conclave, di propositi di rivalsa da affidare a quei porporati più tradizionalisti che entreranno nel Conclave. D'altra parte, personalità come Ottaviani o il card. Pietro Parente hanno un peso notevole su molti elettori del Papa, dei quali sono stati maestri universitari o superiori gerarchici quando erano responsabili dell'ex S. Offizio. Ottaviani e Parente sono collegati con i cardinali elettori Pietro Palazzini e Silvio Oddi entrambi vicini all'wOpus Dei», e su posizioni tradizionalistiche. Loro candidato potrebbe essere il card. Pericle Felici, che godrebbe del sostegno di quei gruppi ultramoderati del S. Collegio che raggiungerebbero fra quaranta e cinquanta voti (cifra ipotetica), ma che sono sicuramente l'ala più omogenea del composito Conclave. Varie fonti insistono nell'affermare che le «grandi manovre» si sono già iniziate, in particolare fra i fautori della soluzione Felici, che prefigurerebbe un papato in chiave di prudente restaurazione Bisogna sempre tenere presente che l'imminente Conclave è il primo dopo il Concilio e ha per protagonisti senza precedenti dodici cardinali africani, diciannove latinoamericani, quindici asiaticoaustraliani, ossia trentasei porporati del «Terzo Mondo», ai quali si aggiungono almeno una quarantina di cardinali europei o americani su posizioni che vanno dal riformismo montiniano al progressismo. In questa geopolitica del Conclave sembra possibile prevedere che il successore di Paolo VI dovrebbe uscire da un accordo fra questi gruppi sostanzialmente moderati, che puntano su uno sviluppo più deciso del postConcilio con tante difficoltà coordinato da Papa Montini negli alvei di un graduale riformismo. Citiamo due dichiarazioni illuminanti. Una è del primate pakistano, card. Joseph Cordeiro: «In questo Conclave il Terzo Mondo avrà un peso notevole, se pur non decisivo. Mi auguro che il prossimo Papa si adoperi in modo particolare per le popolazioni che maggiormente patiscono la povertà». E il card. Francois Marty, arcivescovo di Parigi: «La scelta dovrà cadere su colui che è il più adatto a essere il Papa di domani, a rispondere a tutti gli interrogativi che si pone il mondo moderno». Sono due richiami alle attese non solo della Chiesa, ma della società civile che sarà in ogni caso condizionata dalla scelta del successore di Paolo VI per gli infiniti legami nella vita individuale e collettiva fra la ragione religiosa e la ragione sociale in senso ampio. La Chiesa deve risolvere problemi cristologici, dottrinali, ecclesiali e la soluzione sarà diversa secondo il Papa che verrà scelto. Così, ad esempio, un Papa formato al tradizionalismo giudicherà deviazioni dalla stretta ortodossia molte aperture ad esigenze morali, teologiche, culturali del mondo moderno, mentre un Papa come Pignedoli, Baggio, Pappalardo, Poma, Potetti, Bertoli, Pironi© o l'olandese Willebrands, quasi certamente seguirebbero la relativa moderazione di cui ha dato prova Paolo VI. Vi sono le questioni ecumeniche, legate agli sviluppi della teologia e della liturgia; vi sono le grandi questioni morali sulla contraccezione, sulla fecondazione artificiale e ora anche in provetta, sulla pastorale per i divorziati e per i «diversi», sulle risposte da dare alle giovani generazioni afflitte dalla droga, dalla disoccupazione, ma anche dalla ricerca di ideali, sociali e religiosi, nel nome di un generico solidarismo. E poi il dialogo con il mondo moderno, che fu il cardine delle innovazioni del Concilio e che non può prescindere, nella fermezza dei principi, dal confronto con le culture non cristiane, sia sul piano religioso, sia su quello ideologico, come è il caso del marxismo. Si possono aggiungere molte altre questioni: per esempio, la prosecuzione o meno della «Ostpolitik» della S. Sede nei confronti dei Paesi socialisti, dove vive quasi metà dell'umanità e buona parte dei cattolici. Una risposta su questo ultimo punto, che potrebbe determinare riflessi anche sul rapporto fra de e pei in Italia, si avrà dopo la elezione dei nuovo Papa. Infatti Paolo VI prevedeva di tenere Concistoro in novembre per conferire la porpora ad arcivescovi di sedi cardinalizie che ne sono tuttora privi (mons. Anastasio Ballestrero a Torino, mons. Tomas O'Flaich, di Armagli, primate d'Irlanda), per sostituire lo scomparso card. Paul Yoshingoro Taguchi arcivescovo di Nagasaki, in Giappone, e probabilmente per fare cardinale mons. Agostino Casaroli, suo «ministro degli Esteri», protagonista della «Ostpolitik» della S. Sede. L'elevazione di Casarol alla porpora potrebbe avere due significati: la fine della «Ostpolitik» se, contemporaneamente, Casaroli fosse destinato ad altro incarico; lo sviluppo di questa politica e, più in generale, delle aperture della S. Sede alle società civili, se Casaroli fosse nominato Segretario di Stato. Lamberto Fumo

Luoghi citati: Giappone, Irlanda, Italia, Nagasaki, Parigi, Torino