La "milizia da sbarco,, e il buon vecchio teatro
La "milizia da sbarco,, e il buon vecchio teatro Passato, presente e futuro delle scene italiane La "milizia da sbarco,, e il buon vecchio teatro TORINO — Una combattiva rivista teatrale, «Scena», ha dedicato il numero estivo ad un consuntivo degli spettacoli dell'ultimo decennio Un editore milanese, il Formichiere, si sbilancia e chiede a studiosi ed operatori di prevedere come comunicherà il teatro domani. Tracciare un bilancio del passato, può riuscire divertente; scrutare il futuro della nostra scena di prosa, è audace, ma non impossibile E' il presente che è difficile, semmai, decifrare. Tento egualmente di ricostruire la fisionomia della stagione appena conclusa Mi sembra si possa definirla una stagione di transizione quasi, un periodo di convalescenza. Scontati gli effimeri fasti del ■ l'iniziativa pubblica (a prezzo, talvolta, di cocenti delusioni, a livello finanziario), esaurita la grande fiammata dell'avanguardia, smorzato il frettoloso entusiasmo di cooperative e collettivi, nate dalle ceneri delle vecchie compagnie di giro, il teatro era entrato, a metà degli Anni Settanta, in crisi. Ora, sostengono i competenti, è uscito di malattia, sta recuperando energie ma va tenuto d occhio, come ogni soggetto dall'equilibrio psicofisico instabile Metafore a parte, la stagione teatrale si è svolta in una atmosfera guardinga, a tratti circospetta. Quasi tutti i teatri stabili hanno praticamente vissuto di rendita hanno cioè recuperato spettacoli di sicuro prestigio e successo dall'annata precedente il Re Lear e VA rlecchino del Piccolo di Milano, VAnitra selvatica del Teatro di Genova II solo a gettarsi allo scoperto è stato lo Stabile di Torino due novità, Zio Vania e Verso Damasco, due successi che hanno riscattato un paio d'annate assai discutibili II Teatro di Roma, guidato da Squarzina. era partito bene, col Volpone e Circo equestre Sgueglia di Viviani poi difficoltà «politiche» ne hanno impastoiato l'attività, e dovremo aspettare l'autunno per assistere al brechtiano Terrore e miseria del Terso Reich. Del resto, quella di rinviare un allestimento annunciato è divenuta ormai una pia consuetudine, non fa in ogni caso scandalo Si rinvia lo spettacolo o lo si monta in extremis, cosi che una piccola frangia appena di spettatori lo può . delibare E' il caso della Tempesta di Strehler che sarà, in sostanza, spettacolo dell anno prossimo, anche se ha esordito a fine giugno Da questo punto di vista, gli Stabili cosiddetti «di confine» come Tneste o Bolzano, danno il buon esempio agli altri per puntualità di programmazione Horvath e Kleist (Trieste). Buchner (Bolzano). " Ma di compagnie pubbliche e stabili se ne vorrebbe vedere all'opera molte di più Quando si ha il coraggio di istituirle e la caparbietà di resistere, diventano poi indispensabili (penso al caso di una cittadina come L'Aquila, che in questo senso è esemplare). Nel '79. se la notizia è fondata. Brescia avrà il suo Stabile, risultato del lavoro costante di un centro teatrale locale, la compagnia della Loggetta. Ma le tante città, grandi e piccole, da Roma in giù9 E le due grandi isole. Sicilia e Sardegna ? Lasciamo queste domande, complesse e gravi, purtroppo senza risposta e torniamo al nostro abbozzo di consuntivo. .Cautele eccessive, paura di •fare qualche passo falso, scarsa fiducia nel pubblico giovane hanno ispirato la pallida attività delle^compagnie private Hanno retto quelle che si affidano ad una proficua tradizione di lavoro (la compagnia dell'Eliseo, con De Lullo-Valli), o che si riconoscono nel prestigio di un grande attore (Gassman) o nell'intesa di una coppia collaudata (Albertazzi-Proclemer) Le poche che hanno avuto il coraggio di scegliere testi nuovi hanno avuto vita contrastata, le altre, e sono la maggior parte, si sono affidate a copioni di mero intrattenimento, navigando, pur di non rischiare, nelle smorte acque della routine. Qualche critico, in un eccesso di cinismo, ha scritto che le compagnie private non hanno piti ragione di sopravvivere. Si può essere zelatori, fin che si vuole, dell'iniziativa pubblica: ma ritenere che il libero professionismo sia destinato ad estinguersi equivale a ipotizzare l'agonia della nostra vita teatrale. Che la libera iniziativa ci abbia dato poco, è un fatto ma non si può, nemmeno per assurdo, vagheggiarne la soppressione E la grande parrocchia dell'avanguardia? Anche da questo campanile provengono sobrii rintocchi. I maestri della sperimentazione hanno, quest'anno, offerto spettacoli che stavano a mezza strada tra il breviario di estetica (la propria, s'intende) e l'apologia. Penso, tanto per fare un esempio, al sontuoso Riccardo III di Carmelo Bene: affascinante, ma di neoclassica compostezza, quasi un piccolo Pantheon di vent'anni di lavoro. Il caso di Bene non è isolato, anzi è sintomatico, proprio per la consapevolezza e l'intelligenza di questo «capo carismatico», dell'atteggiamento di tutta la sua generazione. Gli iconoclasti degli Anni 60. più che in avanscoperta, sono, a loro volta, in fase di riepilogo: stanno tirando le somme, tracciando conclusioni provvisorie. Li incalza, da vicino, una nuova «milizia da sbarco», più giovane e sfrontata. Sono i gruppi della cosiddetta postneoavanguardia (cosa non si può fare con le parole composte!). Il '78 è stato l'anno del loro pronunciamento. In due successive rassegne, tra aprile e giugno, a Milano e Bologna, si sono presentati numerosi e compatti. Panno della sperimentazione severa, tirano a vivisezionare le componenti dello spettacolo — la parola, il gesto, il corpo —per restituircele disossate, come il bianco scheletro della seppia. Non vogliono stupire e tantomeno divertire. Intendono persuaderci, semmai, con le loro impietose radiografie, a celebrare, senza lacrime, la morte del vecchio, caro teatro. Guido Davico Bonino (1 - Continuai
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