Il delta monotono di Venere di Luigi Firpo

Il delta monotono di Venere Cattivi pensieri di Luigi Firpo Il delta monotono di Venere A quanto pare, nel 1940, un «collezionista» di gusti particolari offrì ad Henry Miller di scrivere solo per lui dei racconti erotici a un dollaro la pagina. L'autore dei due Tropici per un po' stette al gioco, poi passò l'incarico alla sua amica Ana'is Nìn, che doveva pagare conti di dentisti e bollette del telefono. Certo, a quelle tariffe, non poteva aspirare a ville con piscina o a crociere intorno al mondo. Nacque così questo Delta di Venere, pubblicato da una decina d'anni e che arriva adesso anche in Italia (ed. Bompiani), subito conquistando le prime piazze nella graduatoria delle vendite grazie a una certa spolveratura letteraria, alla presentazione elegante, ai persistenti complessi degli inibiti nostrani, tanto più anacronistici quanto più si fanno permissivi il costume e la società. L'autrice, vicina allora alla quarantina, misto di sangue spagnolo e danese, frequentatrice di esecrate avanguardie letterarie, aveva lisci capelli neri spartiti, brutto naso, brutta bocca, occhi lunghi un poco sporgenti e un'aria di sensibilità sognante da rompiscatole di redazione. Alcune pagine del suo interminabile diario, collocate in apertura a mo' di prefazione, chiariscono meticolosamente il carattere mercenario e artificioso del lavoro, i problemi che suscitavano le pretese del cliente che chiedeva solo sesso e niente «poesia» (cioè approcci, contorni, musiche e profumi), per contro la consapevolezza di dover uscire dalla pura fisiologia o dalla patologia sessuale germanoide per esplorare e addirittura «inventare» il linguaggio dell'erotismo. Il risultato, al di là d'una certa tecnica artigianale del racconto, è sconsolante, e non per colpa della povera Ana'is, che ce la mette tutta e suda e ansima, per guadagnarsi il suo dollaro, più delle sue umide e rantolanti eroine. Pure il libro ha un suo interesse, solo che lo si sezioni impietosamente come per un'autopsia. Si scopre allora che esso è sconsolatamente eguale a tutti gli altri del genere, ripetitivo fino alla fissazione di motivi vecchi come il mondo e ripetitivo, ineluttabilmente, anche di se stesso. Le protagoniste dei racconti cambiano nome, ma incarnano in realtà sempre la medesima astrazione di donna bellissima, disponibile, insaziabile, di uomo nerboruto, felino e indistruttibile. Invano, per tutti questi volumi sempre uguali, si cercherebbe una falla, una pausa, un pensare ad altro, magari solo un pedicello o un'emicrania passeggera. Snodati come acrobati, infaticabili come automi, gli eterni protagonisti ripetono ossessivamente gli stessi gesti, mescolando gemiti e secrezioni con una monotonia che non eccita i sensi, ma gli sbadigli. Colpa della natura, che ha limitato parsimoniosamente il numero degli orifizi pervii e delle protuberanze, consentendo perciò un numero graziosamente assortito ma pur sempre limitato di variazioni. Anche la psicopatologia — malgrado la trattatistica professorale — non ha poi casistiche sterminate: un po' di feticismo, qualche efebo sparso, un voyeur, un raro caso di ermafroditismo, e siamo di nuovo a iasa, alla solita zuppa. Sia ben chiaro, io trovo il sesso una cosa importante e seria e affascinante, ma solo in ciò che esso ha di delicato e di peculiare, di violento e di segreto, di unico e di struggente: nel momento che diventa promiscuo e occasionale, pubblico e postribolare, esso potrà destare in taluni il disgusto, ma in ogni animo non deforme non può fare a meno di suscitare una noia mortale. Il Kamasutra ha esaurito il catalogo, non resta che una ripetizione da cantilena, un déja vu senza fine. Dov'è la freschezza intramontabile (la sifìlide non era ancora stata inventata) della servetta di Apuleio? Dov'è il torrente linguistico prodigioso dell'Aretino? Il settecentesco cinismo di un Cleland, di un Crébillon, di un Diderot? La cupa disperazione di Maupassant, il luetico « toro triste »? Dove le ebeti e cadaveriche prostitute delle maisons care al nano Toulouse Lautrec? Rispetto a questa pornografa a gettone, le famigerate Adolescenti del povero Mariani sono un inaccessibile capolavoro. Dal sesso come gioia o come dramma, a forza di « liberazioni », siamo giunti al sesso come lievemente maleodorante ginecologia. Dopo tutto, il collezionista ha pagato il prezzo giusto. La cosa più bella del libro resta così la vignetta a colori stampata in copertina, il Pornocrates (1896) dell'insuperato, in questo genere, Félicien Rops (che l'editore, chissà perché, fa diventare Ferdinando). Questa allegoria della Prostituzione Trionfante raffigura il lento incedere di una donna non giovane, più massiccia che opulenta, contro un cielo verde stellato solcato da amorini svolazzanti. La donna indossa calze nere ricamate fermate da giarrettiere poco sopra il ginocchio, lunghi guanti neri, una sciarpa nera di velo legata alla cintura, un grande cappello nero piumato. Porta orecchini, collana, una penda sugli occhi, un fiore nei capelli, ma per il resto è nuda, più indifferente che impudica, naticuta e ventruta, piuttosto simile alla Venere steatopigia (Sedergrasso) dei primitivi che alla Venere callipigia (Belsedere) dei Greci. E' casalinga, cellulitica, bonaria: solo che si infilasse un grembiule, sarebbe pronta a impastar tagliatelle, a rimestare ragù. Al guinzaglio regge un bellissimo porco rosato, muscoloso, che promette non già orge dissolute, ma arista succulenta, prosciutti magri e saporiti. Se un produttore di Langhirano o di San Daniele vede questa vignetta, ci faccia un pensierino: sarebbe di un'efficacia pubblicitaria irresistibile. Proprio come tanta paccottiglia da pornoshop nelle persone normali non suscita pensieri di peccato, ma ilarità e uggia, così alla fine l'unico desiderio esasperato che resta nel lettore (vaccinato per un po' contro il mal d'alcova) è quello di « farsi », alla salute del suino, una birra e un panino.

Persone citate: Aretino, Cleland, Diderot, Greci, Henry Miller, Mariani, Maupassant, Rops, Toulouse Lautrec

Luoghi citati: Italia, Langhirano, San Daniele