Il dubbio dell'on. Berlinguer Gli italiani conoscono Lenin?

Il dubbio dell'on. Berlinguer Gli italiani conoscono Lenin? Il dubbio dell'on. Berlinguer Gli italiani conoscono Lenin? L'onorevole Berlinguer dubita che coloro che domandano ai comunisti italiani se sono o no leninisti conoscano «davvero Lenin e il leninismo» e sappiano «davvero di che cosa si tratta quando ne parlano». E' così accertato che almeno su un punto egli è un fedele seguace del padre del bolscevismo: nel ritenere che «gli altri», quasi sempre, siano ignoranti e sciocchi. Lenin, infatti, ebbe una volta occasione di scommettere che su diecimila persone che hanno «letto o sentito parlare dell'estinzione dello Stato, novcmilanovecentonovanta non sanno a che cosa alludesse Engels», e che «sulle dieci che restano, ce ne sono certamente nove» che non afferrano il senso preciso delle sue parole. Non è tuttavia la patente di ignoranza distribuita generosamente con questo dubbio, ciò che interessa; ben più importante è il fatto ch'esso rivela la convinzione che vi sia una «essenza» del leninismo, un insieme di tratti caratteristici che lo individuano e lo rendono inconfondibile. Tale convinzione è ineccepibile e va condivisa: così è, del resto, anche per il «marxismo», tuttora congiunto da un trattino al «leninismo» pure nello Statuto del pei. Se non si condividono certi temi essenziali di Marx e Lenin, il richiamo al marxismo diventa qualcosa di genericamente cultutale, che non basta a contrassegnare un partito politico: è un semplice richiamo alla lezione del passato, e di là da «Cavour, Vico e Machiavelli», si può risalire anche ad Aristotele e Pitagora. Un partito comunista si contraddistingue dunque per l'adesione ai «princìpi e ideali» che ha appreso dai suoi «maestri rivoluzionari». Certo, le formulazioni «entro cui vivono» quei princìpi e quegli ideali vanno aggiornate continuamente; ma l'aggiornamento, se non si gioca con le pa role, deve lasciarli vivere e non può sopprimerli. Si è nell'equivoco quando si immagina il marxismo-leninismo come una teoria scientifica che può essere messa in crisi da un'anomalia: caratteristica inconfondibile di coloro che si ispirano ad esso e vogliono mantenere in vita i suoi princìpi ed i suoi ideali, pur variando le formule, è proprio la certezza che nessuna anomalia può metterne in crisi i temi di fondo. Lenin stesso, nella sua grandissima accortezza di politico, fu un maestro nell'adattare le formule alle mutevoli situazioni; ma tutto ciò era soltanto strumento per facilitare ed accelerare la realizzazione di quello sviluppo necessario della storia ch'egli si configurava fedelmente secondo le tesi marxiane. Gli sviluppi teorici ch'egli diede del marxismo — e che furono guida della sua azione pratica —- conservano inalterato quell'«elemento essenziale e fondamentale» che distingue per lui la dottrina di Marx dalle dottrine dei «più profondi e progressivi pensatori della borghesia». Tale elemento consiste in alcune tesi ch'egli trovò espresse con «impressionante nitidezza» in una lettera di Marx del 1852; cioè, che «l'esistenza delle classi è soltanto legata a determinate fasi di sviluppo storico della produzione»; che «la lotta delle classi necessariamente conduce alla dittatura del proletariato»; che «questa dittatura stessa costituisce soltanto il passaggio alla soppressione di tutte le classi e a una società senza classi», ossia il passaggio dal socialismo al comunismo. Lenin fa dunque propria la concezione palingenetica che è tipica della visione del mondo marxiana e che ispira anche il suo programma politico; la storia cammina inarrestabilmente verso la rigenerazione totale e terrena dell'umanità. Questo è il punto indiscutibile che differenzia il marxismo-leninismo da un programma scientifico di ricerca. In questa prospettiva vanno considerati i contributi di pensiero che agiografia e storiografia ascrivono a Lenin come meriti principali. L'no tra questi è espresso con vigore dal titolo di un suo celebre volume del 1917, L'imperialismo, fase suprema del capitalismo. Le riflessioni su tale tema nascono nel clima della prima guerra mondiale, ma rispondono a problemi posti nell'elemento essenziale e fondamentale del marxismo. 11 fallimento della predizione di Marx circa il crollo del capitalismo e l'avvento della dittatura del proletariato richiedeva infatti ipotesi aggiuntive per salvare ciò che non si voleva mettere in discussione. La conquista dei mercati esteri, il colonialismo e le rivalità che sfociano nella guerra sono le vie con cui il capitalismo ha prolungato la sua esistenza. Ma Lenin era convinto che il conflitto mondiale fosse ormai il preludio del crollo. Che questo non sia avvenuto nemmeno dopo un altro spaventoso conflitto dovrebbe far meditare. Ed ulteriori argomenti di ri-' flessione potrebbero venire dal fatto che lo Stato nato dall'azione rivoluzionaria di Lenin ha mostrato tendenze assai simili a quelle del vituperato imperialismo capitalistico, e che i conflitti nascono anche tra Paesi in cui, si dice, s'è avverata la dittatura del proletariato. Ma sono riflessioni scomodi- e costringerebbero, di là dalla rivcrniciatuta delle formule, a interrogarsi sulla vitalità dei princìpi. E' più agevole, invece, non parlando dei dogmi, senza i quali il marxismo-leninismo cambia natura, aggiornare la polemica antimperialistica che di quei dogmi è la logica conseguenza. Qualcosa di analogo si ritrova anche a proposito dell'altro grande tema leniniano, già presente in Che fare? (1902), il testo di fondazione del bolscevismo. E' il tema della funzione guida del partito come «otganizzazionc di rivoluzionari di professione», che «educhi il proletariato a una lotta ferma e tenace». E' ovvio che il partito comunista, per il solo fatto che esiste, apprezzi Lenin come l'autore di una vera teoria rivoluzionaria, che smaschera il positivismo meccanicistico volgare e l'attesa passiva della rivoluzione. Per i dirigenti comunisti ciò è rassicurante. Ma la concezione che Lenin ha del partito è inscindibilmente connessa con la sua incrollabile sicurezza che i rivoluzionari di professione posseggono il segreto del cammino ineluttabile della storia.. Come rinunciare, senza snaturarsi, al fanatismo della palingenesi? Lenin ha tratto le conseguenze più coerenti della sua accettazione del nucleo distintivo del marxi- ! smo nell'opera che studia il rapporto tra Stalo e rivoluzione. Poiché lo Stato è «l'organo del dominio di classe», l'organo di oppressione di una classe da parte di un'altra, «la liberazione della classe oppressa è impossibile non soltanto senza una rivoluzione violenta, ma anche senza la distrazione dell'apparato del potere statale che è stato creato dalla classe dominante». Ciò comporta che l'avvento della società senza classi si ottenga attraverso la fase necessaria della «organizzazione speciale della violenza contro la borghesia», contro quella macchina dello Stato, quale ne sia la forma, che «la borghesia ha creato per sé». Anche la democrazia non si sottrae a questo destino, poiché essa non è «un limite insuperabile; è semplicemente una tappa sulla strada che va dal feudalesimo al capitalismo e dal capitalismo al comunismo». Negare ciò vuol dire mettere in forse l'elemento essenziale e fondamentale del marxismo-leninismo. Sorprende quindi sentire dichiarare dai teorici dell'eurocomunismo che la «democrazia (comprese le libertà cosiddette "formali" che furono, inizialmente, conquista delia borghesia) è un valore che l'esperienza storica dimostra essere universale e permanente». Attribuire valore assoluto a qualcosa che non sia l'esito finale della società senza classi significa rifiutare lo specifico storicismo marxista. Per i non comunisti questa potrebbe anche essere una sorpresa piacevole. Tuttavia, per i fedeli si apre un dilemma. Da un lato l'ombra di Lenin ammonisce con | la sua polemica contro gli oppor- | ranisti, che snaturano il laro rivo- j luzionario della dottrina e metto- ! no in primo piano «ciò che è o ; pare accettabile alla borghesia», i Ma dall'altro li angoscia il pensiero di quanto comporterebbe la l verità di ciò che dichiarano quei i teorici: si sentirebbero spinti a chiedere: «Perché non sciogliete ! il partito e ve ne tornate a casa?». Francesco Barone I Pulizia ai manifesto di Lenin per l'anniversario della rivoluzione

Luoghi citati: Aristotele