Sulla pelle rovinata di Parigi

Sulla pelle rovinata di Parigi UN PROGETTO EDILIZIO DIVIDE GISCARD D'ESTAING E L'INDOCILE CHIRAC Sulla pelle rovinata di Parigi DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI —C'è di nuovo aria di battaglia attorno al «ventre aperto» di Parigi, al gran «buco» spalancato nel cuore del vecchio Marais oggi parzialmente ricoperto di cemento dal quale affiorano le pesanti strutture metalliche del costruendo forum. Qui sorgevano le HaUes, il caratteristico mercato della capitale voluto da Napoleone III come una leggera ragnatela, «un ombrello» sotto il quale scorressero animata e colorata la vita, il commercio, gli odori della sua capitale. Tutto è stato raso al suolo in ossequio alla grandeur edilizia dell'epoca gollista per accogliere un avveniristico centro commerciale, che lungo il filo degli anni e il progredire dei lavori ha tralasciato certi eccessi edilizi arricchendosi di spazi destinati alla cultura, al verde. L'offensiva degli ecologi non è la sola a rimettere in discussione una volta di più l'avvenire delle HaUes, ma s'innesta sul «bisticcio» fra lo Stato e il Municipio di Parigi (in realtà fra Giscard d'Estaing e l'indocile Chirac). Appena eletto presidente, Giscard aveva bloccato con atto d'imperio l'originario babilonico progetto commerciale e aveva sognato di far fiorire in pieno centro della capitale un grande parco, «un jardin à la francaise» come si usava ai tempi dell'Ancten regime, quando Parigi viveva a un ritmo diverso da quello imposto, alle soglie del 2000, dal pulsare affannoso di questa «megalopoli». Ma Chirac ha trasferito sulle HaUes la rivalità con Giscard d'Estaing, e come sindaco della capitale s'oppone al progetto del giardino presidenziale studiato, come ha detto qualche giorno fa, «per l'esclusivo piacere degli ospiti stranieri che si trasportano in elicottero» e non per i parigini che ne devono usufruire. L'astiosa querelle per l'avvenire delle HaUes (e il destino dell'alloggio di 350 camere, del suo forum sotterraneo, dell'auditorium, del giardino sovrastante, degli svincoli del mètro extra-urbano, dei padiglioni sotterranei destinati al commercio) rappresenta soltanto l'ultimo degli episodi legati a quello che è stato definito a ragione come «il sacco di Parigi». Per quasi vent'anni il massacro edilizio della capitale è stato portato avanti sotto l'impulso deUe autorità poUtiche, soggiogate dal «mito» assurdo di cambiar pelle a Parigi, di trasformarla in una città avveniristica con i grattacieli d'affari, le orrende «torri» d'abitazione che la costellano, per farla rivaleggiare con Manhattan, con Detroit, con le metropoli americane. E' stato così che per anni l'ambizione politica golliana di fare della Francia la terza potenza equidistante dai due grandi si è tradotta in campo urbanistico, per una interpretazione distorta e affaristica, in una radicale trasformazione della città, che si è ripercossa sullo spirito della capitale. Parigi ha perso la sua dimensione «orizzontale» mantenutasi inalterata per secoli attraverso i rivolgimenti della sua storia, arricchitasi di stili diversi, facendo coesistere, senza stridore, bellezze e bruttezze. Nemmeno la precedente «rivoluzione» urbanistica, quella decretata da Napoleone III e attuata da Haussmann, era riuscita a trasformarla così radicalmente. «E' cambiata più profondamente e più rapidamente di qualsiasi altra città al mondo. anche di Los Angeles, dove il frenetico cambiamento è considerato addirittura un modo di vita» afferma un osservatore americano, Stephen S. Cohen, sul Monde. Il «nuovo modello dì sviluppo» ha imposto a Parigi una «dimensione verticale», sono cresciuti come fungaie i grattacieli devastando Montparnasse, rizzandosi attorno alla Porte d'Italie, dando una nuova prospettiva alla dolce Neuilly, dilagando caotici sul Lungosenna oltre l'Alma. Certo Parigi aveva bisogno di rinnovarsi (dagli Anni 30 fino al '55 in pratica non si era più costruito in città e la metà degli alloggi ha oggi meno di 20 anni), d'ingrandirsi (per accogUere due, tre milioni di abitanti supplementari), ma lo sviluppo è stato per lungo tempo caotico, dissennato, la necessaria modernizzazione sta rischiando, dicono i più critici, di «succhiare la vita dalla capitale». Riportiamo delle impressioni visive: interi quartieri sono stati trasformati in centri d'uffici morti da metà pomeriggio, la popolazione è stata gradualmente spinta ad allontanarsi per i prezzi insostenibili degU affitti e del costo della vita, si è trasferita nella banlieue, nella corona delle villes nouvelles. Parigi, rivela ancora un rapporto della Camera di commercio, sta perdendo posti di lavoro nel settore industriale, i giovani sono in diminuzione, il dinamismo di sviluppo degli anni passati rischia di incepparsi in un prossimo futuro. Oggi, i quattro quinti dei suoi 10 milioni d'abitanti vivono in banlieue, un milione di persone arriva ogni giorno in centro dalla periferia per lavorare. Parigi assume di giorno l'aspetto d'una città-pareheggio, d'una città d'uffici, di sera si trasforma per qualche ora in città-divertimento (artefatto, mistificato, con rare «isole» di cultura e arte originali) per vuotarsi di notte. Ai guasti del recente passato, Giscard d'Estaing cerca adesso di porre rimedio «riu- manizzando» la città con una visione un po' aristocratica, pensando agli spazi pedonali, ai giardini «alla francese», provando a liberarla dal giogo rappresentato dal binomio auto-ufficio. Non si costruiscono più grattacieli, ma le vecchie case del centro vengono sapientemente «ristrutturate», i vecchi inquilini sono cacciati con le buone o le cattive, il Marais attorno al «Beaubourg» è un cantiere in piena attività, il quartiere divenuto alla moda è riservato ai ricchi. Fra vecchi eccessi edilizi e nuove speculazioni urbanistiche, Parigi cerca di arrestare la degradazione ambientale e di ritrovare il suo spirito originale, quello che si scopre ancora quasi per caso in qualche piazzetta appartata di StGermain, in qualche scorcio di Montmartre o di Montparnasse. E grazie a questi spunti isolati, Parigi merita ancora di essere considerata come la più piacevole delle città-giganti. Paolo Fatruno