Una tormenta di Mimmo Candito
Una tormenta CONQUISTE E PROBLEMI DELLA NASCENTE DEMOCRAZIA Il ritratto di Franco in cantina DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MADRID — Le foto incorniciate di Franco sono rimaste solo in qualche vecchio ufficio postale della provincia, accanto al crocefisso e all'ultimo bando d'arruolamento nella Guardia Civll. Nei ministeri di Madrid le hanno già spedite in cantina. La nuova Spagna si sbarazza silenziosamente del suo ultimo passato, col realismo d'una transizione che ha saputo consumare sema traumi i legati d'una difficile eredità politica. Il Generalissimo è finito nell'oblio ben più presto di quanto fosse stato immaginato, per sanare gl'imbarazzi di qualcuno o facilitare il consenso di altri. Ingombrante da morto anche più che da vivo, perché troppi avevano qualcosa da far dimenticare, è sparito ormai dai muri, dai giornali, dalla vita quotidiana degli spagnoli. Per ritrovarlo, bisogna andare al Pardo o al Valle de los Caidos. La visita al Pardo costa 60 pesetas. E' roba solo da spagnoli, un museo ombroso e quieto che non dà nessuna delle risposte che s'attende chi arriva fin là. Le piccole comitive di 15 o 20 persone, che le guide formano e pilotano lungo i corridoi del vecchio palazzo, sono un aggregato provvisorio della Spagna provinciale e piccoloborghese che si coltivò i favori e la forza del franchismo. Matriarcali e riverenti, i nuclei familiari in visita devota scivolano tra gli arazzi, i tappeti, gli stucchi e la qualche decina di libri scurì dove passava le sue giornate il Caudillo. Le guide, ex militi della Guardia di Franco, recitano toni elegiaci, sermoncini religiosi, edificanti aneddoti prefabbricati. Tutto passa sottovoce, come in chiesa o al cimitero. Poi le proteste annoiate dei ragazzotti, o la battuta improvvisa d'un visitante deluso, frantumano il rito. Peggio ancora nella basilica di Santa Cruz del Valle de los Caidos, dove il mausoleo tradisce senza pietà il kitsch militaresco e pompeiano che dovrebbe eternare la virtù, e la religione, della «vittoria anticomunista». Sepolto sotto una pietra da una tonnellata, appena dietro l'altare, il Generalissimo si riceve i fiori e il saluto romano dei più nostalgici, tra i segni di croce e le lacrìmucce di qualche matrona in vena mistica. L'ultimo ritorno in pubblico di Franco è stato un paio di mesi fa, al cinema «Madrid», dietro Puerta del Sol. Questo locale, non di primissima categorìa, offre solitamente sull'entrata le sagome di cartapesta delle dive dello spogliarello; in occasione del debutto di Caudillo, film di Basilio Martin Patino, invece delle biondone formose e coloratissime ha esposto un Franco di cartone alto quattro metri, con divisa kaki, fez legionario e pancetta. La pellicola, troppo lunga, carica dì passione e di furore, retorica e noiosa a suo modo, ricostruiva con sequenze documentarie la nascita della dittatura. Protagonista dichiarato dell'opera era il Generalissimo. Ma la faziosità del regista, e la forza dirompente di immagini mai utilizzate per quarant'anni. finivano per ricomporre una realtà — drammatica, tesissima — che presto sovrastava il ruolo del dittatore, precipitandolo nella comicità involontaria dei balbettii, delle pratiche di regime, delle finzioni ideologiche. La bellezza selvaggia di Durruti, l'irruenza della giovane Pasionarìa, i brandelli frantumati di Guernica, acquistavano una dimensione storica straordinaria, e la loro forza rivelatrice isolava la tragedia della Spagna dal teatro d'operetta in cui pareva muoversi Franco. La reazione del pubblico è stata sempre vivace, ma soprattutto veniva da destra: il braccio levato nel saluto romano e i cori in piedi di Cara al sol hanno cercato di dimostrare la sopravvivenza d'una fedeltà al Caudillo, però finivano per apparire come un dazio pagato d'ufficio. E più che Franco salutavano il franchismo. La nuova Spagna ha ufficialmente dimenticato il dittatore, ma deve ancora fare i conti col franchismo. In realtà, il risultato del 15 giugno gli assegnerebbe appena lo 0,47per cento dei voti; ma quarant'anni di dittatura non si possono bruciare in poche migliaia di schede, anche se certamente scontano la mancata eredità d'una forza politica legittimata, e organizzata, a rappresentare l'ideologia e gl'interessi del regime. Forza di questo tipo avrebbe potuto essere, senza dubbio, il Movimiento. con la sua struttura presente in ogni puebUto di Spagna a legare privilegi, corporazioni e servizi istituzionali. Ma l'accorta gestione che Suàrez e Juan Carlos hanno saputo fare della transizione, sfruttando le debolezze e le divisioni del fronte antifranchista, ha costretto anche l'apparato organico del Movimiento a seguire le direttive del cambio politico. Il risultato globale delle elezioni, e il tipo di accordo politico che ne è venuto, hanno orientato il nuovo parlamento ad adottare soluzioni unanìmistiche, dalle quali è rimasto costantemente escluso il solo gruppo di Alianza Popular. Il professore Javier Garda Fernàndez, che insegna dottrine politiche all'università di Madrid, dice: «Questa esclusio¬ ne conferma che le frazioni egemoniche deUa destra preferiscono assecondare la sinistra e le classi borghesi medie, anche a costo di isolare la borghesia di origine nettamente franchista com'è Alianza Popular». In controluce, questo significa che «la destra egemonica» ha bisogno ancora d'una vera e propria legittimazione democratica, e solo la sinistra possiede il diritto di questa legittimazione. Lo spettro politico che ne risulta schiaccia il confronto tra i partiti a un equilibrio necessitato tra la coalizione di governo («la destra egemonica») e i due partiti che rappresentano la sinistra. La destra autentica, il franchismo, si trova cosi chiuso in un ghetto dal quale ha difficoltà a muoversi, se non ottiene un ampliamento della sua base sociale. La recente riunione de/Z'euroderecha nella plaza de toros di Madrid va interpretata come un'iniziativa diretta a questo «allargamento dei consensi». Blas Pinar, Tixier-Vignancourt e Giorgio Almirante hanno tentato di riempire le tribune di Las Ventas dietro gli slogan consueti della civiltà occidentale da salvare, convogliando un'attenzione che il motto della gran farsa — «Franco resuscita. Espana te necesita» — sintetizza piuttosto poveramente. La mobilitazione sui «valori eterni», infatti, era piuttosto la riproduzione d'una presenza politica che «un voto sfortunato» ha drasticamente rischiato di cancellare, ma che agglutina nella realtà interessi e poteri «di fatto» assai superiori d quello 0,47 per cento. Lo slogan richiama a vita terrena Franco, però dietro di esso si muovono forze e settori sociali che il corso della transizione va sempre più deludendo. Non è un rischio da poco, per una democrazia ancora incerta. La nuovissima sede di Fuerza Nueva (il franchismo più violento e picchiatore) nel centro di Madrid, col suo costo valutato intorno ai due miliardi di lire, conferma che il bunker s'avvia a uscire allo scoperto, e l'ipotesi su cui esso lavora sembra essere quello di un'aggregazione tra la destra politica estremista, alla ricerca d'una base sociale, e la destra sociale delusa, alla ricerca d'un partito politico. Questo progetto neofranchista mostra evidenti analogie con l'involuzione politica argentina, fino alla dittatura militare. I problemi non risolti della Spagna, con una' crisi economica sempre più grave (siamo ormai a un mi-' lione e 200 mila disoccupati) e con una tensione politica che s'accende pericolosamente nel Paese Basco, offrono ancora per alcuni mesi uno spazio notevole di manovra a questa strategia della destabilizzazione. E teoricamente potrebbero anche portare a soluzioni simili al dopoPerón. Tutto si gioca sulle forze armate, al cui riguardo ci sono incertezze e timori, ma anche segni inequivocabili d'un corso positivo. Il fatto die, in uno degli ultimi discorsi, il re abbia sollecitato l'esercito a dare «comprensione, serenità e fiducia», conferma certamente che non tutto va bene tra i militari, e che dissensi continuano ad esserci. Ma la fermezza con cui il generale Gutierrez Mellado è sempre intervenuto nei casi più «pubblici» d'indisciplina dovrebbe testimoniare che il controllo delle forze armate resta comunque legato alla politica di Juan Carlos. I generali spagnoli hanno una lunga tradizione d'intervento nella vita politica del Paese, e l'esercito ha avuto finora un ruolo chiave nella copertura alla reforma poUtica. Ma poiché il patto della Moncloa, che ha stabilizzato notevolmente il confronto tra le forze sociali, ora è superato dal corso della crisi, si rischia di riaprire un processo dove l'acutizzarsi delle tensioni potrebbe ridar spazio al nervosismo di alcuni generali (e che una certa mentalità «interventista» sopravviva ancora è confermato dal tribunale militare imposto agli attori di Els Jolgars). Basta, tutto questo, al lavoro del neofranchismo? Probabilmente no, ma certo ne era una condizione indispensabile. E il bunker ha seguito con molto interesse la riunione urgente che Suàrez ha dovuto tenere con tutti i capi di stato maggiore, dopo l'uccisione dei due alti ufficiali per mano dell'Età, una settimana fa. Mimmo Candito
Persone citate: Basilio Martin Patino, Blas Pinar, Cruz, Durruti, Giorgio Almirante, Gutierrez Mellado, Javier Garda Fernàndez, Juan Carlos, Puerta
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