La lunga battaglia di Nobile di Giuseppe Mayda

La lunga battaglia di Nobile Il generale che guidò P«Italia» al Polo Nord La lunga battaglia di Nobile Novantatreenne, s'è spento domenica a Roma - Per mezzo secolo si era battuto perché fosse definitivamente chiarita la vicenda della famosa spedizione del dirigibile Quel grande vecchio parlava, lucidissimo nelle memorie e pronto nelle risposte, e in ogni sua parola ritornava costantemente l'eco del dramma che aveva vissuto mezzo secolo prima e che, ancora in quel momento, lo accompagnava: la mattina del 25 maggio 1928, il dirigibile « Italia » che si abbatteva sui ghiacci della banchisa e poi riprendeva quota, col muso al- l'insù come una gigantesca aqui-la ferita, sparendo nella foschia assieme al suo carico di sei vile umane; il « pack » nella deso- lozione bianca dell'estremo nord, la « tenda rossa » che sarebbe diventata celebre in tutto il mon-do, i disperati appelli della ra- dio di Biagi, il ritorno in Italia, le accuse di aver abbandonato i compagni per salvare la prò-pria vita. E' il ricordo recentissimo cheho del generale Umberto Nobile, spentosi novantatreenne, dome-nica scorsa, in quella sua bellae quieta casa di via Monte Ze-bio, ai confini della Roma um-berlina (il giardinetto di fronteall'ingresso, l'enorme, silenziosoascensore, non una voce né unrumore attorno) dove, all'iniziodel maggio scorso, gli avevochiesto di rievocare ancora unavolta l'ormai lontana vicenda. // generale era seduto a unascrivania che, sotto vetro, con-servava la grande mappa delPolo Nord con la rotta dell'aliti-Ma»: « Qui, qui — diceva convoce ferma, l'indice ossuto puntato sui contorni della Baia del Re — qui, siamo caduti, qui. Fu colpa del maltempo. Il notro dirigibile viaggiava ormai, enza soste a terra, da 52 ore e 57 minuti. Mancavano soltanto recento miglia e poi... ». // generale si riavviava, con gesto giovanile, la candida corona dei capelli, lanciava un'occhiaia, ai uoi ricordi, appesi alle pareti o allineati negli scaffali della libreria (i volumi scritti sull'olla- Uà », le fotografie dell'« Italia », a bandiera tricolore dell'« ItaHa », il resto di un timone dei'« Italia », un pezzo di un cavo di ancoraggio dell'« Italia ») e poi riprendeva a parlare, fìtto, ordinato, chiarissimo, Ogni tanto la signora Nobile entrava nello studio per chiedersi se desiderava qualcosa o per aggiustargli il « plaid » variopinto sulle ginocchia. In queigiorni il generale si preparava alla cerimonia del cinquantenario del suo volo al Polo Nord; era in programma, a Vigna di Valle, un incontro con i pochissimi superstiti della spedizione, compreso l'ammiraglio Viglieri, e Nobile mi confessò che quella cerimonia sarebbe stala, per lui. una specie di addio alla vita: «Ho tenuto duro per cinquant'anni, ho lottato contro le maignità, le cattiverie, le calunnie — mi disse —. L'ho fattoanche per quelli che non potevano più difendersi. Ora sento che posso anche andarmene e, come sempre, con la coscienzan pace ». Ma Nobile, malgrado l'età avanzata, sembrava ancora solido, resistente. Di certo la memoria non gli faceva difetto, né gli mancava la vena polemica che sempre accompagnava ogni suo discorso sulla spedizione polare. Rievocò minutamente lutto il dramma, aiutandosi con grafici, fotografie, memoriali: il dirigibile caduto sul « pack », ilmotorista Pomello morto nell'impatto, ì sei membri della spedizione scomparsi con l'aerostato che, dopo l'urto, aveva ripreso quota; Nobile scaraventato con altri nove compagni sulla banchisa; gli inutili tentativi di mettersi in contatto radio con la nave-appoggio « Città di Milano » alla Baia de! Re. tre desuperstiti partiti a piedi alla ricerca di soccorsi (e uno dì Ioro. Malmgren. morto per glstenti), la salvezza un mese dopo quando, il 20 giugno, il piIota svedese Lundborg era riuscito a scendere sul « pack » col suo piccolo aereo a pattin e che aveva preso a bordo il solo Nobile mentre il rompighiaccio sovietico «Krassin» accorreva verso la banchisa. « No, non sono fuggito — mi disse Nobile, e sollevò su \ di me quei suoi penetranti occhi azzurri — Lundborg volle portare me, questi erano gli ordini che aveva ricevuto. O me o nessuno. Ci consultammo fra noi. Viglieri e Trojani mi dissero che dovevo andare. Così andai, sì, per primo, ma senza sospettare che quelll'atto, impostomi dalle circostanze, sarebbe stato considerato una fuga ». £ Nobile mi raccontò l'astio che Italo Balbo aveva per lui e la congiura delle calunnie e dei sospetti inscenata dal fascismo. « C'è voluto del tempo; però la verità è finalmente venuta a galla, ma il mio più grosso dolore — concluse Nobile e qui, per un attimo, la voce gli si incrinò — fu che la perdita dell' "Italia" significò anche la fine dell'epoca del dirigibile ». Da allora, infatti, la scienza studiò soltanto il più pesante dell'aria: « Quando sei anni dopo P "Hindenburg" si incendiò a New York capii che, per noi dei dirigibili, era finita ». La verità è che Nobile è vissuto fino all'ultimo nel ricordo dell' "Italia"; ora che la storia si è incaricata di rendere giustizia a quella sfortunata impresa, anche lui se n'è andato come quel suo amalo dirigibile che sparve, mezzo secolo fa, fra i ghiacci dello Spitzbergen e non fu mai ritrovato. Giuseppe Mayda 1

Persone citate: Biagi, Italo Balbo, Nobile, Umberto Nobile, Viglieri, Vigna