I Galli e i senatori

I Galli e i senatori I Galli e i senatori Alcuni patrioti francesi hanno posto una piccola lapide nel carcere Mamertino per celebrare il bimillenario della morte dell'eroe della resistenza gallica, Vercingetorige, ivi strangolato per ordine di Cesare la sera stessa del suo trionfo, dopo essere stato esibito in catene dietro il carro del vincitore: un atto residuo di quel risentimento anti-romano che perdura nel fumetto Asterix. La storiografia francese però ha perduto l'accento revanchista che serpeggiava ancora, sessantanni fa, nell'opera monumentale di C. Jullian. Negli ultimi anni anzi, l'interesse verso quel periodo che un tempo si chiamava Basso Impero ha rivalutato autori gallici animati da acceso patriottismo romano, Ausonio, Sulpicio Severo, Rutilio Namaziano; nei primi vescovi delle Gallio si riconoscono i più efficaci sostenitori del primato di Roma su la Chiesa d'Oriente e della dottrina ortodossa contro le eresie: S. Martino di Tours, S. Ilario di Poitiers, S. Paolino di Bordeaux, S. Dionigi di Auxerre. Mentre la storia fa giustizia dei rispettivi debiti culturali, si è insinuato un altro fattore critico, teso a screditare la vantata opera civilizzatrice di Roma: la storiografìa moderna» estende al passato i criteri che applica al presente verso i popoli delle ex colonie; coloro che venivano chiamati primitivi o selvaggi sono saliti al grado di «sottosviluppati» o, con espressione dimanica, «in via di sviluppo». Allo stesso modo, i popoli che l'altezzoso etnocentrismo romano chiamava barbari sono ritenuti portatori d'una propria cultura che avrebbe potuto produrre frutti stupendi se il prestigio e la perfezione formale di quella ellenistica non ne avesse impedito lo sviluppo e non l'avesse soffocata il dominio di Roma. La mostra «I Galli e l'Italia», della cui inaugurazione La Slampa riferì il 27 maggio, e che si è conclusa in luglio a Roma, si ispirava a questa tendenza di ricerca e rivalutazione delle civiltà estranee all'area di civiltà ellenistica. I nostalgici dell'assioma che Roma, per la sua superiorità civile, aveva diritto di imporre la sua legge al mondo, saranno indotti a rivedere le loro superbe certezze nel con statare quanto sia ricca e antica la civiltà dei popoli celtici, quanto raffinata l'oreficeria, conciso e sicuro il loro scalpello: basterà citare un bassorilievo con teste di cavali che sembrano disegnati da Modi gliani. Si son visti in vetrina elmi, spade, pugnali — quel «tipo d'armi inusitate» che sbigottì gli abitanti di Chiusi quando si trovarono davanti gli invasori, atleti dalle chiome fulve che, nel 391, supera te le Alpi ancora inviolate, occuparono la pianura lombarda dove fondarono Milano, sloggiarono gli Etruschi dall'Emilia e dalle Marche (resta traccia della loro presenza nei dialetti, nella topo nomastiia: Sinigaglia era Setta Gallica) — ; si son visti i gioielli delle loro donne, il collare d bronzo tipico dei loro guerrieri, i torques; da esso prese il nomeManlio Torquato per aver vinto e ucciso uno dei loro capi che, tracotante e borioso come tutti quelli della sua stirpe (secondo il pregiudizio razziale latino) l'aveva sfidato a singoiar tenzone. Per la provocazione d'un incauto Fabio, scriveT. Livio, i Galli mossero contro Roma; entrarono nell'Urbe, la saccheggiarono, la dettero alle fiamme; fu un evento memorabile come, l'anno seguente (389 a.C.) la devasrazionc di Delfi, più per l'oltraggio infetto alla Grecia e a Roma da parte di barbari che non per i danni effettivi; un evento che rimbalza nelarte trionfalistica greco-romana, dove i Galli sono rappresentati come vigorosi e chiomati selvaggi,, invariabilmente sconfitti — come il Gallo morente e il suicida della Collezione Ludovisi, copie romane da Pergamo — ; una sciagura che fu rievocata 800 anni dopo, nel 410 d.C, quando lo straniero Alarico pose piede nell'Urbe per la seconda volta. La remota invasione di Btenno, ingigantita dalla leggenda, lasciò un'eco incancellabile: nell'imminenza di possibili invasioni, a Roma si offriva agli dèi un sacrificio umano, venivano seppelliti vivi nel Foro una coppia di Galli, i nemici del Nord, e una di Greci, i primi a Oriente — un uso che durò fino a epoca tarda; e se ad alcuno, per limiti d'età o per l'esercizio di mansioni religiose, era accordato l'esonero dalle armi, tale privilegio veniva sospeso «in taso di minaccia gallica». I Galli, in effetti, unirono le loro forze a quelle di Annibale, in qualità di ausiliati quando i Cartaginesi percorsero e devastarono l'Italia dalle Alpi alle Puglie. Alla conquista di Cesare si at tribuiscono in genere moventi personali, il bisogno di denaro e di prestigio; ma non si può sottovalutare l'ampio disegno che effettivamente, come disse Cicerone, spostò i confini italici dalle Alpi al Reno. Quando poi al suo ritorno il condottiero vittorioso si decise a passare il Rubicone, che segnava l'antico confine tra la Gallia Ci salpina e l'Italia, si sparse la voce che ci fossero guerrieri Galli nelle sue legioni. I primi a lasciare l'Urbe, in preda al terrore, furono i senatori Sconcertato di fronte a tanta viltà Cicerone si chiede: «Avrebbero fatto lo stesso se fossero qui di nuovo i Galli?». La battura rivela sino a che punto, nella coscienza romana, i Galli rappresentassero il nemico secolare, il barbaro irsuto e indomabile che aveva reso tanto dura la conquista alle legioni di Cesare; rivela, inoltre, quanto fos se viva negli animi l'immagine indimenticabile dei senatori che, come narrerà Livio pochi anni dopo attingendo ad antichi anna li, rimasero impavidi di fronte al "invasore: quando si seppe che i Galli erano alle porte, nel 390 a.C, gli uomini abili alle armi e i senatori, il braccio e la mente di Roma, si assetragliarono sul Campido glio; il resto della popolazione, le bocche inutili, vecchi, donne, bambini, furono lasciati indifesi nella città. Coloro che avevano rivestito cariche e magistrature, gli ex con soli, i senatori anziani, indossare no le insegne dei loro uffici, le toghe listate, sedettero ciascuno sulla sedia curule nell'atrio della propria casa; e i Galli, che erano calati su l'Urbe in orde tumultuo se, lanciando grida di minaccia, e vi erano penerrati a sera, furono colti da reverenza e timore di fronte alle porte spalancate delle case, nello scorgere all'interno le nobili figure dei senatori, immoti al loro posto, pronti a morire. Lidia Storoni Il gallo «Astérix»