Dc-pci: dialogo oltre l'emergenza di Aldo Rizzo

Dc-pci: dialogo oltre l'emergenza Dc-pci: dialogo oltre l'emergenza Convergenze e differenze tra Zaccagnini e Berlinguer La relazione di Zaccagnini — che il Consiglio nazionale ha fatto propria quasi all'unanimità, ma non senza riserve di alcuni personaggi e di alcuni settori — è stata per lo più considerata ripetitiva di altre dichiarazioni d'intenzioni del vertice della de. Gli stessi comunisti l'hanno definita, almeno in un primo momento, «priva di spunti nuovi ». In realtà è un documento rilevante, non solo perché è un riepilogo dei mesi più tesi e drammatici della Repubblica e di come li ha vissuti la dirigenza del massimo partito, ma anche per le affermazioni specifiche che vi sono contenute e che sono state poi ribadite nella replica. Certo, a più riprese è parso che Zaccagnini si destreggiasse fra diverse esigenze, cercasse di accontentare questo o quel gruppo interno di partito. Ne è risultato un documento, per la verità, non sempre limpido, nel quale tuttavia è possibile cogliere alcuni passaggi essenziali, che definiscono come mai prima la strategia di fondo della de, in questa fase storicopolitica. Un'analisi comparata fra questi passaggi e alcune parti del discorso tenuto pochi giorni prima da Berlinguer al Comitato centrale del pei consente poi, a nostro avviso, di trarre alcune deduzioni più generali. Sull'emergenza, che ispira e giustifica l'attuale « grande maggioranza » con i comunisti, Zaccagnini ha detto due cose fondamentali. La prima è che essa durerà molto a lungo e che nessuno può fare previsioni su quando sarà possibile ristabilire « un sistema di equilibri democratici retto su precise maggioranze parlamentari » (anche se questa resta per la de « l'esigenza di fondo »). L'altra è che l'emergenza non è un dato congiunturale, ancorché grave e destinato a protrarsi, ma qualcosa che investe le strutture di questa società: « Una stagione di crisi profonda nella quale si è stimolati a realizzare scelle che peseranno anche nel lungo periodo ». Più ancora dell'emergenza, ha poi detto Zaccagnini, durerà il « confronto », che « non è un espediente per attraversare questa fase, ma un modo di essere della de, in un periodo d'intense trasformazioni, di cambiamento, di revisione»; infatti i gravi problemi socio-economici, istituzionali e di legalità democratica « sono destinati a contrassegnare la vita del Paese per un arco di anni che va oltre i tempi politici che ora stiamo considerando ». E lo sbocco dev'essere « una transizione ad un nuovo tipo di società, che pratichi in primo luogo il solidarismo tra le generazioni (...) ». Queste affermazioni del segretario democristiano risultano abbastanza parallele, se non convergenti con alcuni passi decisivi del discorso di Berlinguer del 24 luglio, e comunque con alcune posizioni di fondo del pei. Che l'emergenza, o meglio la politica « unitaria » che da essa scaturisce, debba protrarsi senza prevedibili limiti di tempo, è un dato più volte ribadito dai comunisti. E circa la sua incidenza sulle «strutture», Berlinguer è stato molto netto nello smentire « l'impressione che la politica dell'emergenza finisca per essere un puro e semplice contributo che il movimento operaio dà per il superamento di una crisi congiunturale (...)». Come per la de il « confronto » col pei non si esaurisce nell'emergenza, così per il pei sull'emergenza « non si può appiattire » la strategia del compromesso storico. Vale a dire che entrambi i massimi partiti, ciascuno a suo modo, giudicano che un qualche dialogo fra loro si renda necessario anche oltre la fase più acuta della crisi italiana, in vista di una società nuova, che Zaccagnini vorrebbe « solidarista » e Berlinguer « socialista ». Certo, non è la stessa cosa, come non sono la stessa cosa il confronto e il compromesso storico. Zaccagnini ha molto insistito, nella relazione come nella replica, sulla salvaguardia e sul rafforzamento dell'identità della de, e non ha nascosto che l'obiettivo finale per lui è un sistema di alternanza al potere in un quadro di sicurezza democratica. Però anche Berlinguer ha detto che « la politica di unità (...) non comporta confusioni né mortificazione della dialettica e delle distinzioni e polemiche fra i partiti». E quanto al compromesso storico, lo ha in parte ridimensionato, facendone una linea di tendenza molto generale e quasi un'indicazione di metodo, qualcosa che non dovrebbe escludere l'avvicendamento di formule di governo diverse. Detto tutto questo, restano differenze e anche diffidenze profonde tra la de e il pei: Zaccagnini ha fra l'altro rilevato l'ancora insufficiente evoluzione politico-ideologica dei comuni¬ sti, i nodi irrisolti della democrazia interna e del rapporto con l'Urss (peraltro con un tono storicistico e senza sottolineature polemiche). Tuttavia si intravede un'effettiva convergenza politica, la massima consentita dalla diversità dei due partiti, e comunque la massima mai raggiunta dall'immediato dopoguerra. Che il pei abbia valutato tutto questo con una punta di distacco, può essere solo una prova della sua prudenza tattica. ★ ★ Mentre i rapporti tra democristiani e comunisti, tradizionalmente critici, tendono a darsi una relativa stabilità, peggiorano, all'interno stesso della sinistra, quelli fra il pei e il psi. Probabilmente c'è un nesso tra i due fenomeni: quanto più pei e de si avvicinano, tanto più il psi mostra di volere accentuare la propria autonomia. E il pei, che ha molta pazienza con la de, dà prova di averne assai meno con i socialisti. In realtà c'è più concorrenza. Se, per ipotesi, il psi riuscisse a riequilibrare i rapporti di forza dentro la sinistra, la strategia del compromesso storico ne uscirebbe travolta. Già ora essa ha perso in mordente e credibilità per il rifiuto del partito di Craxi di farvisi coinvolgere. Inoltre, la pressione ideologica e culturale dei socialisti sul pei è assai più forte e penetrante (e comunque più difficilmente eludibile) di quella della de. Eppure Craxi ripete di non vedere alternative all'attuale maggioranza e giudica, come Berlinguer e come Zaccagnini, che l'emergenza durerà a lungo. Ma il pei va oltre queste parole rassicuranti, s'inquieta (come del resto La Malfa) per altre parole e altri atti, che considera « destabilizzanti », per altro non sempre a torto. Si pone un doppio problema. Il pei deve accettare la presenza di un partito socialista competitivo, deciso a diventare un polo critico della sinistra: a meno di non ammettere che preferisce intendersi in via esclusiva con un più generico « solidarismo » cattolico. A sua volta il psi deve dimostrarci, meglio di quanto a volte non faccia, di poter catalizzare il consenso di chi non vuole il compromesso storico, senza distrarsi e distrarre, anche solo un po', dai contenuti reali dell'emergenza, quei tremendi problemi che ci sovrastano. Aldo Rizzo

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