La grave crisi del dollaro incombe sui Paesi europei di Ennio Caretto

La grave crisi del dollaro incombe sui Paesi europei Si allentano le speranze per una ripresa comune La grave crisi del dollaro incombe sui Paesi europei Washington è ottimista sulla ripresa, ma teme l'exploit dell'oro e prevede tempi lunghi - Anche l'economia americana è solida - Maggiori problemi per i partners DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK — La crisi del dollaro sì aggrava, minacciando i Paesi più deboli della sua area economica, e gettando un'ombra inquietante sull'autunno in Europa. Vacillano le speranze di una ripresa comune, cresciute anche in Italia dopo il vertice dei sette grandi a Bonn e la lettera di intenti del Fondo monetario a Roma. A causa delle difficoltà, americane, gli impegni di collaborazione appaiono più difficili da realizzare, mentre si radicalizzano taluni contrasti politici tra gli alleati. In un momento di particolare pessimismo, ci si chiede se la fiducia nella tenuta del colosso Usa non preluda ad una forte scossa delle strutture occidentali. Questi interrogativi e incertezze non sono completamente nuovi. In forma diversa si posero nel '73, quando il rincaro del petrolio, oltre ad incrinare il dollaro, indebolì anche le più solide economie di trasformazione. Allora una congiuntura senza precedenti fu scambiata per dissesto del sistema. Si parlò di crepuscolo del neocapitalismo, di fine del mercato, di superiorità degli Stati marxisti. L'Occidente — si disse — non avrebbe più conosciuto un periodo di stabilità ed espansione così felice come quello dell'immediato dopoguerra. Per le superpotenze economiche, la paura e le nere previsioni durarono meno di un biennio. La moneta americana perse terreno nei confronti dello yen giapponese, del marco tedesco e del franco svizzero; il 30 dicembre del '74 l'oro salì a 197,50 dollari l'oncia; divenne generale — e si complicò — la questione energetica. Ma a partire dal '75, gli Usa incominciarono la loro formidabile ripresa, trainando i principali esportatori, dal Giappone alla Germania; nell'estate del '76 l'oro calò a poco più di cento dollari l'oncia; e pur nell'instabilità e nel disordine, l'Occidente ampliò il divario che lo separa dal mondo comunista. L'espansione tornò ad essere una realtà. La recentissima esperienza fa sì che oggi Washington affronti la crisi senza allarme. Il governo statunitense non condivide i dubbi altrui sulla validità del sistema occidentale. Giudica pericolosa l'attuale situazione, con l'oro a 201 dollari l'oncia, lo yen apprezzato del 34 per cento negli ultimi due anni, e l'Opec indecisa sull'unità di conto del petrolio. Prevede un periodo di sacrifìci e di tensioni, specialmente nei Paesi europei più squilibrati. E tuttavia ritiene che la crisi sia congiunturale e quindi superabile e le riforme di struttura debbano consistere in sostanza nel coordinamento delle varie politiche economiche nazionali. « Il '73 ci ha insegnato che occorre innanzitutto armonizzare i commerci e pianificare le grandi riconversioni industriali », afferma Robert Strauss, il "deus ex machina" del presidente Carter per l'economia. « Stati Uniti, Canada, Europa e Giappone sono interdipendenti ». Egli sottolinea che l'Ocse, l'associazione degli Stati progrediti, subordina l'aumento della produzione nel '79 (il 4 per centD in media) al rispetto degli accordi sulla doppia strategia antinflazionistica e di rilancio degli investimeli-, ri. L'alternativa sarebbe una serie di misure autarchiche da parte dei governi con conseguente universale recessione. Washington respinge l'accusa, già rivoltale ai tempi del presidente Nixon, di benevola negligenza verso il dollaro e di abuso delle monete alleate. Essa mette in rilievo che il deficit della bilancia commerciale americana, sebbene ancora enorme (16 miliardi di dollari nel primo trimestre del 1978 contro 12 in quello del '77), è venuto diminuendo negli ultimi due mesi; che è rallentato il tasso di incremento del consumo energetico interno, e che sono addirittura diminuite le importazioni di petrolio; che si preparano provvedimenti per restringele la domanda e favorire le esportazioni, salvando così i posti di lavoro. Dichiara Strauss: « Stiamo facendo la nostra parte per stabilizzare le monete, al pari della Germania e del Giappone ». Non è solo l'esperienza di cinque anni fa, perciò, ad impedire che il governo Usa si abbandoni al pessimismo. Rispetto al '73, il Paese è anche in migliori condizioni: il numero dei disoccupati è al punto più basso dal '70, la produzione sta salendo di quasi il 4 per cento, i profitti delle imprese risultano assai alti. Soprattutto è cambiato l'atteggiamento nei confronti degli alleati occidentali. Come il bipolarismo in politica estera con l'Urss, così Carter infatti ha abbandonato l'isolazionismo economico. Egli non prenderebbe mai autonomamente decisioni quali quella di Nixon nell'agosto del '71 di staccare il dollaro dall'oro, privando del tallone il sistema monetario internazionale. L'America oggi rende i "partners" partecipi dei suoi comportamenti, e per l'Occidente questo è un elemento integrativo, e motivo di conforto. La sua diplomazia è diventata pentapolare, si articola non solo più verso l'Urss ma anche — e prima verso l'Europa, la Cina e i Paesi in via di sviluppo. Analogamente la sua gestio- ne economica tiene conto de-gli interessi e degli atteggiamenti della Cee e del Giappone, in uno scambio elastico a tre. Le prospettive comuni non sono più condizionate dalla Realpolitik di Kissinger e del Cremlino per una divisione del globo in sfere separate di influenza. La visione che Carter ha del mondo, di un insieme di società pluraliste in marcia verso la libertà e il benessere, non è facile da concretare. Gli ostacoli interni che si frappongono al Presidente, non ultimo l'antagonismo di una parte dei sindacati e del Congresso, ne ritardano uno dei presupposti, la ri presa del dollaro. Ma Wash ington non teme un anno dì ristagno o di insuccessi. Misura il progresso occidentale su tempi più lunghi, i tempi necessari alle riforme nei diversi Paesi, a cominciare dall'Italia. « Nonostante tutto abbiamo fiducia in voi », ci è stato detto. « Abbiatene in noi ». Ennio Caretto

Persone citate: Kissinger, Nixon, Robert Strauss, Strauss