Giolitti? Era furbo come il diavolo

Giolitti? Era furbo come il diavolo DOPO CINQUANTANNI A DRONERO C'È ANCORA CHI LO RICORDA Giolitti? Era furbo come il diavolo E' rimasta nei vecchi l'immagine di un uomo imponente: alto, robusto, con un "cappellaccio" nero, passeggiava spesso solo "Aveva il senso della giustizia: non pensava solo ai signori, ma anche ai contadini e agli operai" - Sordo alle raccomandazioni, costruì "in barba al Parlamento" un ponte sul torrente Macra - Diceva: "E' meglio una chiacchierata che un comizio" DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE DRONERO — « Giovanni Giolitti? Cristo, se gli ho dato il voto anch'io! Lo votavamo tutti, in Val Maira e in Val Grana. Perché lo conoscevamo: era giusto e ci voleva un gran bene. E' stato lui a far costruire il ponte nuovo sul torrente Macra e a far arrivare la ferrovia, che prima si fermava a Busca. Io mi ricordo, avevo venticinque anni. Veniva a mangiare all'albergo "Nuovo Gallo", quello con l'insegna rosso vino che c'è ancora qui davanti, dove aveva anche una camera riservata, la più bella. Poi usciva, con il suo cappello nero e passeggiava per il paese. Quasi sempre solo ». Sulla piazza Martiri della Libertà di Dronero — grosso paese a venti chilometri da Cuneo, con poco meno di settemila anime, esattamente come un secolo fa — i vecchi parlano dello statista piemontese, a cinquant'annì dalla sua morte, come di uno di casa. Seduti sulle panchine assediate dalle auto in sosta (molte con targa francese, di emigrati rientrati per le ferie), ricordano l'uomo calmo, imponente, il sorriso che spuntava frequentemente sotto i baffoni, gli occhi luminosissimi. Che « pensava non solo ai signori, ma anche ai contadini e agli operai ». Con ritrosia Qualcuno non vuol dire il proprio nome, fedele al precetto per cui «un galantuomo finisce sul giornale soltanto quando nasce e quando muore ». Altri si schermiscono: « Sa, io ero molto giovane allora ». A poco a poco, però, la ritrosìa piemontese si arrende. Si affacciano i ricordi, fioriscono gli aneddoti e viene fuori un Giolitti inedito: non soltanto il ministro che ha impersonato il « nuovo corso » della politica italiana, ma l'uomo, con virtù, astuzie, debolezze. « Eravamo tutti liberali, qui a Dronero — dice Francesco Isoardi, 70 anni, una lunga esperienza di consigliere comunale —. Quando Giolitti veniva a parlare al Caffè-Teatro io aveva diciassette anni e correvo a sentirlo, assieme al farmacista De Rossi. La sala era piena di giornalisti, la gente si accalcava per vederlo. Mi piaceva ascoltarlo perché si esprimeva in modo semplice e chiaro. "Meglio 'na ciaciarada' che un comizio", diceva. E spiegava che "si doveva tener conto delle condizioni di ogni classe sociale, dando a ciascuna quel che le spetta". Dopo, tornavo di corsa in panetteria, e mio padre me le dava perché lo avevo lasciato solo in negozio ». Lo chiamavano "la vecchia volpe di Dronero". Un appellativo affettuoso che si era guadagnato riuscendo ad aggirare con un "colpo di mano" gli ostacoli della burocrazia e a far realizzare il sospirato ponte. Racconta Giacomo Bianco, 71 anni, tornato a Dronero dalla Francia per trascorrere qualche giorno di vacanza: « Il ponte medioevale era ormai superato: piccolo e scomodo. Ma, per costruirne un altro, bisognava rettificare la strada e non c'era il permesso ». Giolitti giocò d'astuzia. La Camera stava chiudendo per ferie e, all'ultimo minuto, con noncuranza, richiamò l'attenzione dei deputati: « Scusate, colleglli, ci sarebbe ancora da vedere una "variante" stradale. E' questione di un attimo ». C era troppa fretta per discutere e il provvedimento fu approvato di corsa. Era impermeabile alle raccomandazioni, allergico agli attestati e alle suppliche. « Dovevo partire per il servizio militare. Mia madre andò da Giolitti per ottenere che non mi mandassero troppo lontano — ricorda il generale Olimpio Olaniero, 85 anni molto ben portati, che vive in una casetta a San Giuliano, poco lontano da Dronero —. La risposta fu secca: "I soldati stanno già fin troppo bene". Dopo un mese ero al fronte a combattere una guerra che Giolitti, per la verità, non aveva voluto. Mi buscai dagli austriaci una pallottola nella schiena che mi porto ancora addosso, vioino alla spina dorsale. Lo ammiravo perché era un uomo con dei principi. E, malgrado rifuggisse dalle clientele, era benvoluto da tutti. Quando si inaugurò la ferrovia, nel '21, 10 avevo avuto il compito di accompagnare il treno da Busca a Dronero. Fu un' ovazione. I cronisti scrissero, con quel pizzico di retorica che allora era d'uso, che anche le campane sembrava suonassero Gio-lit-ti, Gio-lit-ti ». Molti rammentano ancora 11 «banchetto politico» sotto l'ala del Caffè-Teatro, il 18 ottobre 1893, quando la statale 22 divenne «nazionale». «Mangiavano bene, da signori: paté, zuppa alla regina, salmone, filetto di bue al vino, punch al kirsch, suprème di pollo, fagiani allo spiedo, torta, gelato... Aderirono alla manifestazione anche don Bernardo Aimar, maestro elementare di Giolitti e altri parroci, riservandosi di dare la partecipazione dopo aver chiesto il permesso al vescovo. Sa, allora i rapporti tra Stato e Chiesa non erano molto cordiali. Ma nessuno 10 considerava un politico, bensì un "servitòr del pais"». Dronero era tutta per lui proprio perché Giolitti sapeva tenere con gli elettori rapporti cordiali, diretti. E non guastava il fascino personale. «Era proprio un bell'uomo, grande e grosso, come adesso non se ne vedono più» dice Natalina Carbone, 18 anni. Il 29 ottobre 1882. quando divenne deputato al Parlamento per il collegio di Cuneo - Dronero - Borgo San Dalmazzo, ottenne ben 5310 voti di preferenza e nelle successive legislature (25 maggio 1886, 23 novembre 1890) uscì sempre primo della lista. «Poi si passò al collegio uninominale, l'area dei suoi elettori fu ristretta a Dronero, e non ebbe veramente più rivali — spiega il professor Antonio Acchiardi (più conosciuto con il nome di battaglia partigiano. Nini) direttore didattico della scuola del paese, sUidioso di Giolitti —. Alla prima elezione, il 6 novembre 1892, ottenne 3571 preferenze su 3586 votanti. Tre anni dopo, 11 26 maggio 1895, ne raccolse 2684: Francesco Crispi, che si presentò nello stesso collegio, dovette accontentarsi di quattro voti». Gli elettori Il culto per la sua personalità era tale da provocare episodi al limite dell'assurdo. Raccontano che a Stroppo, un paesino della Val Maira, quattro elettori votarono un altro candidato e il sindaco scrisse a Giolitti per scusarsi: «Non avverrà più, abbiamo fatto in modo che trovassero un lavoro in Francia». Lo statista rispose semplicemente: «Forse non era il caso». Ancora il 6 aprile 1924, quando già la marea fascista montava, Giolitti aveva a Dronero un suo elettorato di fedelissimi. Dice Acchiardi: «La lista liberale prese 759 voti e ben 634 preferenze andarono a Giovanni Giolitti, il solo statista che rifiutò ogni compromesso con il regime». Francesco Isoardi era presente all'ultimo discorso che Giolitti tenne a Dronero. «In piazza c'erano sette-otto fascisti, con tanto di camicia nera e pugnale — racconta —. Continuavano a gridare "Abbasso Giolitti". Lui non si alterò, ma si intuiva che era furibondo. Al termine si limitò a dire, rivolto al gruppetto, con voce tagliente: "Avrete il governo che vi meri¬ tate". Era vecchio, sarebbe morto di 11 a poco». Non appena, all'alba del 17 luglio 1928, lo statista ottantaseienne cessò di vivere. nella sua vecchia casa Piochiù, a Cavour, presso Pinerolo, la notizia si sparse in un baleno. Ma Mussolini, che lo detestava, ordinò alla stampa di minimizzare e di stroncarne la figura nelle necrologie. Il re Vittorio Emanuele III (che durante la malattia si era limitato, da San Rossore, a far chiedere notizie, senza accorrere al capezzale come suo nonno aveva fatto per Cavour e il padre Umberto I per Lanza, Cairoli, Depretis, Minghetti) inviò le condoglianze alla famiglia, ma non partecipò ai funerali. Lo Stato ignorò le esequie. Dietro alla bara («che per lui, alto un metro e novantadue, costò ottocento lire») c'era una folla di gente semplice. «Tutti quelli di Dronero intervennero — racconta il generale Olaniero —. Io prestavo servizio alla delegazione Trasporti di Torino e fui assegnato di scorta, con l'obbligo di restare estraneo alla cerimonia. Non riuscii a trattenermi e presi parte, in divisa, al funerale. Cosi mi beccai cinque giorni di arresti». Roberto Bellato l£K°5lRECeie Brina Gioirsi irMÌTAO Dalla copertina di « Giolitti intimo » di Nino e Mario Berrini