Una donna uscita dal manicomio racconta la sua odissea alla tv di Liliana Madeo

Una donna uscita dal manicomio racconta la sua odissea alla tv Quando un malato di mente rientra nella collettività Una donna uscita dal manicomio racconta la sua odissea alla tv ROMA — Anni 1975-1978 a Perugia: il punto dì riferimento è sempre il manicomio provinciale, dove per tanto tempo s'è consumato il dramma dell'esclusione del malato di mente, la sofferenza senza parole di migliaia di esseri umani privati di ogni diritto e dignità. Chiudere l'istituzione, trasformarne le strutture in strumenti di studio e lavoro per la cittadinanza, portare all'esterno i ricoverati e garantirgli la sopravvivenza, il rispetto, la speranza del vivere: tutto questo fu un grosso successo delle forze democratiche della città umbra. «Fortezze vuote», un filmdocumentaria di Gianni Serra, ripercorreva le tappe di quel processo. Fu proiettato a Perugia, all'Università, nel '75. Fra le sequenze, appariva l'immagine dì una donna, Teresa, che si era sposata e viveva in autonomia. La storia di Teresa viene raccontata adesso in un altro filmato, «Come gU altri», prodotto per la Rai-Tv Rete 2, diretto da Gioia Benelli, in programma per l'autunno prossimo. Il filmato — forse — vuole rispondere al quesito: che cosa succede di un malato di mente quando — vinta la battaglia dell'eliminazione dei manicomi — di nuovo viene immesso nella collettività? La sera della presentazione del documentario di Serra, Teresa era eccitata, smarrita. Andammo a mangiare in un ristorante. Si formarono vari tavoli. Lei rimase in disparte. Ci sedemmo vicine. Era intimidita dai camerieri, imbarazzata nella scelta dei cibi, confusa dal vociare distratto che s'intrecciava intorno a noi. Infinite volte chiese perché l'avessi scelta come commensale, che effetto mi avesse fatto, se si vedeva tanto che era a disagio. Come avevo giudicato il suo aspetto fisico, che cosa mi aveva colpito dì lei nel documentario e dopo. Si fece ripetere le risposte, con una insistenza infantile e dolorosa. Era sui treni'anni, bionda, di un'esilità incredibile: ogni emozione le trasformava il viso e l'attraversava tutta Ritornai a trovarla. Abitava sola, in un appartamento minuscolo: due camere nuove alla periferia della città. Era nata in campagna, nella provincia umbra. Di famiglia contadina, aveva studiato fino all'adoloscenza. Era sempre stata vivace, ricca di interessi: era bella, in vista, cantava, si interessava di politica. Poi, il ricovero. La circostanza veniva da lei sfumata, in un discorso sempre fluido. Per 12 anni, il manicomio di Perugia era stato il suo punto di riferimento. Ci fu un momento in cui fu dimessa. Ma il ritorno a casa, il dover affrontare la brutalità della dinamica dei rapporti familiari, furono per lei intollerabili. Chiese il ricovero volontario. Intanto all'interno del manicomio si incominciavano a fare i primi discorsi di rinnovamento. Qualche medico, qualche infermiere introdussero atteggiamenti e modalità di convivenza diversi. Teresa fu lesta a capire. Divenne uno dei personaggichiave per la trasformazione del vecchio ospedale, con centinaia di degenti smarriti nella sofferenza e nell'oblio dei propri diritti. Faceva discorsi. Animava le assemblee. Teneva ì collegamenti con i vari reparti. Era contagiosa, nella sua voglia di vivere e riportare la vita, cioè la speranza, negli altri. Fu il suo periodo eroico. Capeggiò le lotte per il rinnovamento, contro i timidi tentativi dì piccole riforme, di meschine concessio- \ni che molti sarebbero stati ì disposti a far cadere dall'alto. Distrusse le tovagliette di stoffa, che dovevano rappresentare V«umanizzazione dello ambiente». Mandò in frantumi i vasetti di fiori, che dovevano essere il segno dei nuovi tempi. Fu allora che conobbe quello che sarebbe diventato suo marito: un altro degente, con disturbi epilettici e un handicap fisico; anche lui aveva studiato, era politicizzato e agitava con passione la causa del «diverso», di un modo nuovo di affrontare questo problema da parte della società. Furono fra i primi a uscire dal manicomio. La Provincia assegnò loro un contributo mensile, e gli trovò casa. Lui trovò anche una piccola occupazione. Lasciarono il manicomio costituendo un esempio per gli altri ricoverati. Un modello di identificazione. Ma la vita, fuori, fu dura. L'inserimento sociale non si realizzò come invece auspicabile. Incominciò a pesare su di loro la solitudine. Il meccanismo della coppia riprodusse ruoli, subalternità. Il processo di crescita intellettuale e di scoperta di sé, che avevano incominciato nel manicomio, si interruppe lacerandosi. L'oppressione presente aveva caratteri meno vistosi che prima, ma non era per questo meno angosciosa. Almeno così essi vissero quei mesi di matrimonio. Smarrirono la reciproca solidarietà. Non si capirono più. Nessuno dei due sapeva dare risposta all'inquietudine dell'altro, e il sostegno del centro d'igiene mentale fu — evidentemente — inadeguato. Una mattina egli uscì che Teresa era ancora a letto. Lasciò sul comodino l'orologio e il portafoglio. Fuori, si cosparse tutto di benzina e si diede fuoco. Teresa rimase a vivere nella casa dove era entrata sposa. Le sue spese erano poche. Le bastava l'assegno della Provincia e quanto riusciva a guadagnare facendo qualche lavoretto per le vicine. La curiosità del mondo l'accendeva tutta. Scopriva l'amicizia, la solidarietà, il piacere di stare con gli altri, il suo corpo, le piccole e grandi civetterie, fisicità dei desideri, il pulsare delle lotte e delle speranze per affrancare la società dal bisogno. La sua richiesta di partecipazione al flusso più ampio dell'esistenza, era totale, prorompente. Per un momento ebbi la tentazione di raccontare la sua storia, per divulgare un'esperienza che mi pareva fuori dal comune. Ma fui vinta da una serie di riflessioni e autocritiche. Pensai alla inevitabile manipolazione che avrei fatto del suo racconto, all'intrusione nel suo vissuto che lei avrebbe potuto vivere come una violenza, alla prevaricazione di tipo colonialista che operazioni di questo genere sottintendono anche quando sono condotte con la migliore buona fede. Lasciai cadere tale progetto. Non vidi Teresa, per una serie di circostanze, per qualche tempo. La rincontrai per caso a Roma (dove non era mai stata). Mi colpì, da lontano, la festosità della sua figura: la leggerezza del suo incedere, i capelli biondi al vento, un abito rosa estivo molto luminoso, il senso dì gioia che da lei irradiava. Soltanto quando le fui davanti, la rinobbi. Passai oltre, senza sentirmi di fermarla. Doveva essere l'epoca in cui Gioia Benelli sceneggiava per la Tv la sua storia. Liliana Madeo

Persone citate: Gianni Serra, Gioia Benelli, Serra

Luoghi citati: Perugia, Roma