Macellaio arrestato al posto di un altro e costretto a rimanere in carcere 35 giorni di Domenico Allegretti
Macellaio arrestato al posto di un altro e costretto a rimanere in carcere 35 giorni Odissea di un uomo che non riusciva a dimostrare la sua innocenza Macellaio arrestato al posto di un altro e costretto a rimanere in carcere 35 giorni Col suo nome, un truffatore ha emesso assegni a vuoto a Catania - Così il negoziante è dei ricercati - Più di un mese prima di tornare in libertà: un altro caso di giustizia risultato nell'elenco amministrata male Allucinante avventura di un macellaio, arrestato al posto di un altro, e costretto a stare in carcere 35 giorni prima che i giudici di Catania riconoscessero l'errore compiuto e lo rimettessero in libertà. Una storia che ha dell'incredibile, e che fa paura perché potrebbe capitare a chiunque. L'uomo, adesso, dice una cosa sola: «Sono rovinato», pensando ai quintali di carne andata a male nelle celle frigorifere che in quei 35 giorni nessuno ha potuto aprire. Ma nei suoi occhi si legge lo stupore e la rassegnazione di chi ha subito un'ingiustizia crudele, e non sa a chi dire grazie, perché tutto il meccanismo della vicenda è confuso, come troppo spesso sono confuse ed approssimative le pratiche che sì perdono nei labirinti della giustizia inefficiente. La vittima è Rosario Sapienza, 47 anni, nato a San Giovanni La Punta (Siracusa), da 8 anni residente a Torino in via Buriasco 11, titolare di una macellerìa in via San Massimo 46. Un uomo — come si dice — tranquillo, che non ha mai avuto a che fare con un poliziotto o con un giudice conciliatore. Il mattino del 18 maggio scorso esce dalle Molinette dove è stato a far visita alla moglie, Piera Ragusa, sottoposta a un delicato intervento. Fa pochi metri in macchina, una pattuglia della polizia lo ferma. E' un normale controllo: patente, libretto, bollo assicurazione. Ma ad un tratto scatta la molla, e l'odissea di Rosario Sapienza incomincia. Un agente si mette in contatto con la centrale, segnala il nome dell'automobilista. Probabilmente quel «Rosario Sapienza» non gli è nuovo, nome e cognome gli ricordano qualcuno. E il poliziotto ha ragione. Tra le schede dei catturandi, c'è Rosario Sapienza, ricercato da piìi di un anno perché colpito da ordine di carcerazione della pretura di Catania per una truffa di 2 milioni e 400 mila lire a una ditta di elettrodomestici. L'ordine dalla Centrale è tassativo: «Arrestatelo». Il macellaio impallidisce: «Io? Vi sbagliate, non sono mai stato implicato in questa storia, si tratta di un altro, di un omonimo». Ma le sue parole cadono nel vuoto. E' portato in questura, e qui il capo della mobile, Fersini, e il funzionario Pappalardo si prodigano per venir a capo della vicenda che ha tutta l'aria di rivelarsi un clamoroso errore Ma non riescono. I dati corrispondono, il «truffatore» Rosario Sapienza è proprio lui. Entra nella camera di sicu rezza e vi rimane 18 giorni. Intanto la moglie, tornata dall'ospedale, si prodiga per la liberazione del marito, incarica l'avv. Longhetto che solleva subito incidente di esecuzione. Ma la giustizia è lenta e granitica e non si lascia scalfire. Rosario Sapienza protesta, urla, dà in escandescenze: tutto inutile. Viene trasferito al carcere di Saluzzo e dopo 13 giorni, scortato dai carabinieri, ben ammanettato, sale su un treno e parte per Catania. Qui i fratelli del macellaio sono già in allarme, si sono rivolti all'avv. Biagio Pecorino che ha preso a cuore il caso. Ma c'è lo sciopero dei magistrati, e la procedura d'urgenza dev'essere rinviata. Non solo, ma pare che il magistrato incaricato di discutere l'«incidente di esecuzione» se la sia presa con molta calma, dimenticando che il Sapienza continuava a restare in carcere, come un delinquente. Finalmente, il 22 giugno, il caso è chiarito. I giudici accertano che la truffa ai danni della ditta di elettrodomestici è stata compiuta da uno sconosciuto che, presentatosi con una carta d'identità intestata a Rosario Sapienza e alla quale ha messo la propria fotografia, ha firmato degli assegni a vuoto, a suo nome. La testimonianza dei titolari della ditta, Fighera, è determinante: ricordano benissimo la faccia dell'uomo che lì ha raggirati, e non è quella del povero macellaio arrivato in catene da Torino. Rosario Sapienza, tornato nella sua casa, appare un uo mo distrutto. «Ho speso 300 mila lire di telefonate» dice, e si sforza di sorridere. Ma non sono i soldi buttati al vento, non è la carne avariata che gli bruciano. E' la scoperta che la giustizia, in Italia, si amministra in questo modo, ad amareggiarlo. Domenico Allegretti m Rosario Sapienza, 47 anni, incarcerato per un errore
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