Ma l'Età intanto continua ad uccidere di Mimmo Candito

Ma l'Età intanto continua ad uccidere SPAGNA, CONQUISTE E PROBLEMI NELLA NASCENTE DEMOCRAZIA Ma l'Età intanto continua ad uccidere DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE SAN SEBASTIAN — La guerra basca sta diventando una brutta strada sema uscite. Come in Ulster, qui si spara e s'ammassa sventolando la bandiera del nazionalismo; ma si comincia a non capirci più niente. Ai tempi di Franco tutto era più semplice, con la democrazia da una parte e il fascismo dall'altra: e la lotta per la libertà poteva anche essere l'attentato ai poliziotti torturatori, o il tritolo piazzato sotto il Dodge di Carcero Bianco. Poi, però, è arrivata la democrazia; lenta e ambigua quanto si vuole, ma sicuramente diversa dal regime che aveva proibito anche soltanto di sventolare la ikurriiìa o di osar parlare in basco. L'Età però continua ad ammazzare, e tutto si fa all'improvviso oscuro e drammatico. 1 giornali più moderati titolano di «Guerra civil», e queste sono parole che hanno una risonanza profonda nelle paure e nelle emozioni della Spagna d'oggi. Altri scoprono con la «Estrategia de la tensión» frasi e sentimenti che hanno fatto la storia d'Italia degli ultimi dieci anni. Incertezze e sospetti seguono il comportamento d'ogni forza politica. Potrebbe essere anche una delle tante cronache d'un Paese europeo nei tempi più recenti: ma «Spain is different» è ancora una frase vera, e il Paese Basco si è trasformato in una polveriera nella quale lentamente slitta il processo di transizione verso una democrazia costituzionale. Perché tutto questo? José Maria Bandrés si alza dalla sua scrivania e ci fa cenno di seguirlo nell'anticamera. Li c'è un uomo giovane e fiero, sui quarant'anni, con una gran barba nera e due occhi fondi. Con un gesto della mano Bandrés dice: «Le presento il signor Eduardo Uriarte Romero». Lascia passare qualche attimo, come per dare suoni concreti al silenzio, poi aggiunge: «Questo è un uomo condannato a morte due volte. L'Età afferma che ydopo Franco non è cambiato niente. Tutte balle. Se fosse vero, Eduardo sarebbe ora garrotato o ancora in galera. E io non potrei parlare per come parlo». Bandrés è l'avvocato più famoso di Spagna. Tutti i processi all'Età lo hanno avuto nel collegio di difesa, a Burgos fu il protagonista di quel drammatico mese di dicembre chiuso da una nevicata feroce e da sei condanne a morte. Ora fa il senatore per Euzkadiko Eskerra, la coalizione della sinistra basca: è stato eletto con 70 mila voti, che era quasi un plebiscito. In anni non tanto lontani s'usava dire che, se Franco avesse voluto davvero finirla col terrorismo basco, doveva venire qui a San Sebastiàn a bussare alla porta di Bandrés. Il Caudillo veniva invece in Guipùzcoa a passarci le vacanze, e non toccò mai il battente dell'avvocato dell'Età. Anzi, s'interessò di lui solo per mandarlo in galera alcune volte e, un'estate, per spedirlo tre mesi al confino in Andalusia. E' difficile dire se sia stata colpa di quella mancata visita, ma la guerra dell'Età è continuata. E dura tuttora, con i già 40 morti di quest'anno. «Se mi si vuole chiedere una condanna di queste azioni terroristiche — dice Bandrés — io debbo anzitutto rispondere che sento il dovere di rendere omaggio a molti degli uomini dell'Età, della cui generosità, spirito di sacrificio e amor di patria sono stato testimone diretto per molti anni. Però ora dico anche che le ultime azioni dell'Età la allontanano dalla gente, dal popolo, cui è stata sempre profondamente legata. La liquidazione d'un poliziotto o d'un ufficiale non ha senso, ora occorre trovare una formula politica». Bandrés non è un estremista fanatico, ma un uomo di pace. La riserva su un giudizio di condanna, la cautela stessa che s'impone nei distinguo, sono allora cose che debbono far meditare. E che hanno due significati inequivocabili. Il primo è che tra Età e Paese Basco c'è una solidarietà reale, di fondo, una complicità «morale» se si vuole, certamente più autentica di quella di altri gruppi terroristici che hanno operato nella storia politica con- temporanea (in Germania, per esempio, o tra Brigate rosse e classe operaia italiana). L'altro significato è la mancanza ormai d'ogni alternativa a un negoziato politico che, stando così le cose, non può però avere come interlocutori che il governo e l'Età (o chi in qualche modo la rappresenta). La trattativa, sìa pure segreta e clandestina, era già cominciata: gli intermediari erano due baschi, un giornalista di Bilbao e un uomo politico di San Sebastiàn. Di quest'ultimo è meglio salvare l'anonimato, dopo che l'altro, il giornalista Porteli, è stato mitragliato da alcuni milis dell'Età tre settimane fa. Sì sono fatte molte ipotesi sulla sua morte, la più probabile fa risalire la responsabilità a un settore estremista dell'ala militar, che voleva bollare così ogni sviluppo del negoziato. Eppure tutto non è fermo, anche se niente ancora pare messo su cammini definiti. Nei candidi alberghi della Promenade di San Sebastiàn, in altri tempi esauriti fin da maggio, in questi giorni i lift sbadigliano tra colonne liberty e palmizi di plastica lucida. E' la crisi. A Bilbao, le industrie affumicate della Ria girano al 50 per cento, senza soldi, senza commesse. La Babcock Wilcox sta per chiudere, i grandi cantieri navali sono vuoti. Jesus Alberti, segretario generale dell'Adegui la Confindustria locale, dice: «Gl'imprenditori sono molto preoccupati per il calo della domanda, ma ancor più per la situazione generale». L'Età sorse nel '59, quando un duro piano di stabilizzazione colpi soprattutto la piccola borghesia; il piano di risanamento varato alcuni mesi fa può far ritrovare coincidenze e significati politici di valenza negativa. In tutto questo c'è sicuramente una delle ragioni che spiegano la ripresa violenta dell'indipendentismo. Un'altra sta nella linea politica assunta dal processo di transizione: il gioco bloccato tra una maggioranza e un'opposizione, che non hanno, né luna né l'altra, forza sufficiente a stabilire un'egemonia nel confronto parlamentare, ha imposto una sorta di compromesso, che a Madrid chiamano «politica del consenso». Il risultato è nella moderazione che i partiti della sinistra (psoe e pce) hanno dovuto dettarsi, sottraendo alla democrazìa uno dei suoi elementi essenziali: la libertà del dissenso. Probabilmente era una necessità politica, ma ha spinto anche a radicalizzare posizioni ideologiche che non trovavano più sbocco. Se a questo s'aggiunge la crescente delusione per i ritardi con cui il governo spagnolo dà contenuti reali al principio delle autonomie (il governo regionale basco ha ricevuto le prime attribuzioni, peraltro marginali, solo 15 giorni fa), appare evidente come in Euzkadi si stia creando un clima assai pericoloso, dove motivazioni politiche e rivendicazioni sociali si sommano e si confondono dietro una bandiera che nessuno capisce più da chi sia sventolata e con quale fine: se indipendenza, separatismo, socialismo o cos'altro. Suarez finora s'è mosso con una tattica riduttiva. Ha cominciato cercando di descafeinar le rivendicazioni basche attraverso un largo incoraggiamento delle autonomie nelle altre regioni: ma il regionalismo e la nacionalidad basca sono cose troppo diverse per poter puntare realisticamente a una omogeneità accettabile, e il risultato è stato una prima ripresa dell'attività militare dell'Età dopo una sospensione attendista di qualche mese. Suarez è passato allora a proporre il confronto sui contenuti da dare alla nuova Costituzione: ma intanto non ha concesso nulla sulle richieste degli abertzales (i «patrioti» baschi), né i tradizionali privilegi fiscali, né la coufficialità della lingua basca, né l'allontanamento almeno da Euzkadi dei più noti poliziotti accusati di torture ai prigionieri politici «La nostra guerra — dice Bandrés — è cominciata 150 anni fa. E siamo costretti a continuarla ancora». Le scelte del governo — Manuel Vazquez Montalban le chiama «le scaramucce» — hanno avuto comunque una prima conseguenza positiva: hanno costretto al realismo dei rapporti di forza una larga parte dell'opinione pubblica «autonomista», per cui è ormai palese che il tema dell'autodeterminazione, o quello dell'indipendenza, so-, no una faccenda non più contrattabile. «Noi ci diciamo indipendentisti per un principio filosofico — confessa ormai Bandrés —, è un'opzione solo ideale, in cambio della quale vorremmo dal governo almeno un segno di buona volontà, una porta aperta al futuro». Ma il governo non mostra d'avere questa intenzione, e allora tutto quello che di positivo è stato guadagnato diventa ora una puntata rischiosa in un gioco che può sfuggire a ogni controllo. «L'Età si sta chiudendo in una posizione sempre più settaria — commenta Bandrés — ma intanto quel po' che otteniamo rischia d'apparire solo come una concessione alla violenza delle mitragliette. E' questo che vuole il governo?». Probabilmente è solo una continuazione della tattica delle «scaramucce», ma l'uccisione dei due alti ufficiali a Madrid, la scorsa settimana, fa immaginare che anche l'Età tenta le sue «scaramucce»: per guadagnarsi posizioni migliori al tavolo delle trattative, se ci saranno, o per vincere la partita, nel caso che qualcuno a Madrid perda il controllo dei nervi e decida di mandare l'esercito a occupare il Paese Basco. Naturalmente, questo significherebbe anche la fine della giovanissima democrazia spagnola, e non si vede a chi potrebbe interessare. O forse sì? Mimmo Candito -3 m iP \- j ma P JNÈm F2k ■i *Vf 1 saMlhphdgbodqncdsBivnlfmzcgpsBpdcdc Barcellona. Protesta per il giovane ucciso dalla polizia a San Sebastiàn (G. Neri)

Persone citate: Babcock, Eduardo Uriarte, Jesus Alberti, José Maria, Manuel Vazquez Montalban, Romero, Suarez