«Vecchio» militante di Lamberto Furno

«Vecchio» militante «Vecchio» militante (Segue dalla l'pagina) nella corrente maggioritaria, quella dorotea, che aveva fondato con Rumor, Colombo, e Andreotti dopo il congresso nazionale del '55. Ma Piccoli è stato sempre un «doroteo atipico», quando il doroteismo era sinonimo deteriore di conquista del potere. «Voi dorotei...», esordiva spesso nelle riunioni della corrente. La sua breve segreteria, carica di promesse contrastate, coincise anche con il momentaneo ritiro di Moro dalla vita politica. I rapporti fra i due uomini conobbero, allora, momenti difficili, ma non si interruppero mai. Dopo le elezioni politiche del '72, Piccoli fu eletto presidente dei deputati de, carica che ha tenuto sino a ierisera. Se da ragazzo imparò la democrazia da un prete antifascista, don Pisoni, assistente dell'associazione trentina «Juventus», come capogruppo ha dovuto moderare il suo carattere impetuoso, piegarsi a un po' di diplomazia senza offendere le proprie convinzioni, scrattutto «sentirsi» al di sopra delle arti. E' stata una scuola preziosa per la carica di cui è ora investito. Nel '74 Piccoli si batté contro il referendum sul divorzio, prevedendo la «catastrofe» per la de, ma poi quando la volontà di Fanfani passò, si batté sulle piazze contro la legge sul divorzio. Una volta, nel '75, si dimise da capogruppo a sostegno dell'on. Fracanzani che era stato eletto nella commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai, contro la volontà di Fanfani che, per protesta, si dimise dalla segreteria della de. Dimissioni rimaste segrete, tanto più che rientrarono nel giro di poche ore. Ma dimostrano che se Fanfani è tenace, anche Piccoli è «montanaro». Nel congresso de della primavera '76, che elesse Zaccagnini segretario, Piccoli fu all'opposizione con il gruppo denominato «Daf», ossia Dorotei Andreottiani Fanfaniani. Poi, in sei mesi incominciò quel rimescolamento delle carte che mutò completamente la maggioranza congressuale di Zaccagnini, sino a oggi quando i dorotei e gli andreottiani ne sono il principale sostegno, mentre i fanfaniani sono equamente divisi. L'avvicinamento di Piccoli fu prima con Moro. Entrambi partivano dagli stessi presupposti; l'unità della de, la sua natura di partito laico e non confessionale, popolare e riformista, aperto al nuovo della società civile, impegnato a superare il vecchio antagonismo tra proletariato e borghesia che è superato nei fatti dall'ispessimento del ceto medio nel quale sono integrati anche gli ex proletari di un tempo. E ancora: lo Stato deve modificarsi, attraverso il decentramento che avvicini il potere e gli istituti ai cittadini; occorre lottare, su basi de¬ mocratiche, contro le ingiustizie palesi, gli sfruttamenti, le piaghe della congiuntura o della struttura, per esempio la disoccupazione soprattutto dei giovani. E poi la de: per Piccoli, come per Moro, deve sviluppare la ricerca culturale per conoscere davvero la società, deve saldare la cultura di matrice cattolica con quella liberaldemocratica, su scala europea, così da eliminare gli anacronistici steccati. «La fede religiosa è a monte di queste scelte — disse Piccoli all"XI Congresso della de, nel '69 —. La fede può essere la premessa dell'unità dei democratici cristiani... ma la politica, l'arte di governare le cose terrene ha un'area tutta sua, dove ci si divìde e ci si incontra al di fuori dei legami delle convinzioni di fede». Con queste idee-forza la presidenza Piccoli non è certo un fatto formale, di facciata, ma è un fatto politico. Del resto sulla carta egli ha il sostegno di quasi tutte le correnti, chi per la speranza che favorisca l'attuale « quadro politico », chi al contrario con la speranza che lo faccia regredire. Ma Piccoli ha detto pochi giorni or sono, in un'intervista a « La Stampa », che a medio termine l'attuale intesa sul programma deve proseguire, anzi « non ha alternative ». E' contrario a una qualche riedizione del centrosinistra pur guardando con attenzione all'autonomia del psi, ma in chiave critica, senza dimenticare l'importanza della lunga collaborazione cattolicisocialisti. Lo preoccupa il pericolo di respingere il pei all'opposizione, mentre per lui è interesse democratico favorirne l'evoluzione in corso, per ora entro limiti insufficienti. «I partiti sono quel che sono, non quel che vorremmo fossero — è solito dire —. Sforziamoci tutti di comprenderci a vicenda ». Se con Moro l'avvicinamento culminò nella trattativa per il nuovo governo, che il 16 marzo costò al leader de il tragico agguato di via Fani, con Zaccagnini la collaborazione riprese e si strinse nelle drammatiche settimane successive. Piccoli ha fatto parte della delegazione de che ha preso le terribili decisioni di rifutare ogni baratto fra Moro e i terroristi; e ancora ha cooperato lealmente con Zaccagnini nella vicenda presidenziale, riuscendo a conciliare nel gruppo parlamentare le spinte contrastanti. Sul suo nome la de nel complesso ha ritrovato l'unità sostanziale; come accade sempre alla de nelle vicende più aspre, diceva Moro. Zaccagnini e Andreotti, ma anche il quadro politico, escono rafforzati dall'elezione di Pie coli. Sul congresso de della prossima primavera c'è già una cambiale che difficilmente potrà essere « girata ». Lamberto Furno