Temo la fine del mondo però amo i Carabinieri di Claudio Sabelli Fioretti

Temo la fine del mondo però amo i Carabinieri SOLDATI RISPONDE A CARLO CASSOLA Temo la fine del mondo però amo i Carabinieri Vedo in Panorama del 25 luglio l'esauriente intervista di Claudio Sabelli Fioretti con Carlo Cassola sull'unico argomento che ormai sembra preoccupare Cassola: la minaccia crescente di una guerra atomica e quindi della fine del mondo. La preoccupazione di Cassola è tutt'altro che ingiustificata, e così pure la sua proposta — per passare all'azione nel solo ambito che ci è concesso — di un disarmo unilaterale da parte dell'Italia. Sono vecchio amico di Cassola; recentemente mi sono incontrato con lui più di una volta anche a questo riguardo; e non soltanto a parole, ma anche per iscritto e per le stampe, ho colto ogni volta che potevo l'occasione di proclamarmi pubblicamente d'accordo con lui. Anzi: indipendentemente da lui e prima che lui bandisse la sua santa crociata, ho cercato, qualche anno fa, in un mio romanzo intitolato Lo smeraldo, di immaginare e di descrivere a tinte apocalittiche il futuro del mondo e soprattutto dell'Italia in seguito a una catastrofe atomica. Perciò, mi sono stupito, stupito molto più che offeso, trovando nell'intervista di Panorama queste frasi in bocca a Carlo: «... quando ho chiesto a Soldati se voleva aderire alla nostra lega per il disarmo dell'Italia lui mi ha risposto: "Certo, hai ragione, le tue idee sono giuste e io le condivido. Ma sai, mio cugino fa il carabiniere". Capito? Soldati metteva da una parte della bilancia la fine del mondo e dall'altra la carriera di suo cugino carabiniere!». Rispondo: 1) Confermo di essere d'accordo con le idee di Carlo. 2) Parlando con Carlo, gli avevo detto soltanto questo: che da parte di mia madre, e dunque non da parte di mio padre di cui naturalmente porto il cognome guerresco, io appartengo a una famiglia appassionatamente risorgimentale, tutta di militari: mio nonno, Giuseppe Bargilli, tenente dei bersaglieri nella campagna del 1866, fu poi professore di Letteratura Italiana e di Storia Militare all'Accademia di Artiglieria e Genio in Torino; mio bisnonno, il Generale Giovanni Corvetto, comandante di Corpo d'Armata, senatore del Regno, fu sottosegretario alla Guerra in uno dei Ministeri Crispi. Quando ero bambino, il giovedì le scuole facevano vacanza, e io passavo regolarmente il pomeriggio a casa di mio nonno professore. Era per me una festa solitaria, segreta e deliziosa. L'alloggio di mio nonno era al quinto piano, l'ultimo sotto le mansarde, dello storico edificio dell'Accademia, in piazza Castello. Bisogna pensare al silenzio di qualunque quinto piano in qualunque città italiana, anche grande, verso gli anni 1913 o 1914... Chiuso nella quiete del salotto felpato, felicemente abbandonato a me stesso, mi abbandonavo con tutta l'anima a una lettura vasta, sconfinata, interminabile, e alla contemplazione sognante di vecchie, ingiallite, ma per me ancora vivissime, illustrazioni. Era // Carabiniere, la rivista mensile che ancora oggi l'Arma pubblica rego larmente. Ed era la collezione completa di tutte le annate, a co minciare dall'unità d'Italia. Erano gli atti valorosi dei nostri Carabinieri durante il brigantaggio in Sardegna e in Calabria... Ecco perché ho sempre provato una naturale, inestirpabile simpatia per l'Arma. Non hanno altra origine i miei Racconti del Mare- sciallo. E tengo costantemente sulla scrivania un bronzetto che raffigura il Carabiniere: penso che ognuno, in un modo o nell'altro, deve sempre essere un po' il carabiniere di se stesso. Ognuno: ma specialmente lo scrittore, perché lavora da solo e deve assolutamente mantenere l'ordine in se stesso — deve frenare, deve arrestare quando e quanto sia necessario i propri momenti di ribellione. 3) Se mi si voleva cogliere in flagrante contraddizione con le idee di Cassola, l'esempio del Carabiniere era, quindi, il meno adatto. Non ho mai avuto un cugino Carabiniere. Forse Cassola mi ha frainteso. Forse non stava molto attento alla mia divagazione. Parlavo del nonno e lui ha capito cugino. Parlavo del bronzetto e lui ha capito cuginetto. Non ho mai avuto, e non ho, neanche adesso, un cugino Carabiniere. Ma se lo avessi, questo ipotetico cugino Carabiniere, è chiaro che con un disarmo unilaterale dell'Italia egli si troverebbe enormemente avvantaggiato nella carriera: proprio al contrario di quanto ha detto Cassola nell'intervista! Perché Cassola, nel suo progetto di smilitarizzazione totale, non è mai stato così matto da negare che un corpo armato di polizia deve, in ogni caso, continuare a esistere: e perché non i Carabinieri, che con la loro comprovata serietà e con la solidità delta loro tradizione sono una delle poche cose che funzionano ancora in Italia? L'altra mattina, appena ho letto l'intervista su Panorama, ho telefonato a Marina di Castagneto, tranquillamente protestando la mia innocenza: e Cassola, altrettanto tranquillamente, ha ammesso di non essersi spiegato bene con Claudio Sabelli Fioretti. Morale: ci siamo lasciati amici come prima. Proprio per questo, però, mi sento obbligato a comunicargli un dubbio che mi coglie solo adesso, all'improvviso. Sei proprio sicuro, Carlo carissimo, sei proprio sicuro che disarmando, abolendo le forze armate, si faccia un passo decisivo verso l'impossibilità, o anche soltanto verso l'improbabilità di una guerra atomica? Pensaci bene. In una guerra atomica, i militari sono proprio l'ultima ruota del carro, Potrebbero anche non esistere più. Poche decine di scienziati, fisici, chimici, elettronici, e poche centinaia di tecnici semplicemente burocratizzati, non necessariamente militarizzati, sarebbero più che sufficienti a lanciare l'atomica basterebbe, allora, l'ordine di una persona sola, un dittatore pazzo, un mostro, un nuovo Hitler, che forse esiste già, in uno degli Stati Africani o altrove nel mondo, visto che ogni tanto abbiamo la notizia che un nuovo Stato ha l'atomica. E' storico, in proposito, un episodio di Enrico Fermi, il grande fisico italiano, inventore della bomba atomica. Dunque, Fermi, sul letto di morte, confessò tristemente all'amico e allievo Emilio Segrè di non credere che l'umanità, ormai, sarebbe durata più di due o tre secoli al massimo. Ogni due o tre secoli, disse Fermi, noi vediamo che qua o là, sulla terra, sorge un mostro che finisce per avere potere assoluto su tutta una nazione pronta a obbedirgli ciecamente. Si tratta di un calcolo della probabilità, commenta Segrè: di un calcolo non da storico: di un calcolo da fisico: ed è questo che spaventa. Fermi è morto ventiquattro anni fa; frattanto la scienza e la tecnica sono progredite forse oltre le sue stesse previsioni, o almeno più in fretta; e noi viviamo nell'angoscia. Se ci è stata concessa una moratoria, improvvisamente ci accorgiamo che non è una moratoria di tre secoli, come credeva Fermi, ma solo di tre decenni. Mario Soldati Carlo Cassola