Pressioni sovietiche sull'Albania di Frane Barbieri

Pressioni sovietiche sull'Albania Pressioni sovietiche sull'Albania (Segue dalla l'pagina) state il ministro della Difesa Baluku, il quale suggeriva una cauta apertura verso Mosca, dato che la Cina era troppo lontana. Gli si è associato poi, nella cattiva sorte, il vice primo ministro e capo dell'economia Kellezi, per aver sostenuto l'opportunità di aperture verso l'Europa e la Cee, suggerite da Teng Hsiao-ping. Le due tendenze, secondo le informazioni da fonti diplomaticlie, non sono scomparse dalla pur povera e repressa dialettica politica al vertice albanese. I filocinesi saranno probabilmente bloccati in questo momento, e i filosovietici avranno nuovi motivi per farsi avanti. Si asserisce che siano forti anzitutto nelle file dell'esercito. Secondo il giudizio degli esperti, Enver Hoxha non potrebbe accogliere i loro suggerimenti senza correre troppi rìschi. Egli si è costruito la propria figura carismatica prima di tutto con l'opposizione polemica contro Mosca. Come a suo tempo aveva fatto con Kruscev, ora può fare con Hua, spiegando la rottura con la salvaguardia dei principi autonomi albanesi, rimasti legati a Stalin e Mao, abiurati invece da Mosca e Pechino. Ma quello che non può fare senza perdere il prestigio carismatico è di cambiare ora bruscamente Pechino con Mo- sca, dopo aver sostituito Mosca con Pechino. Avrebbe motivi per farlo in quanto aveva lasciato Kruscev quando questi si era riavvicinato a Tito e ora lascia Hua alla vigilia del suo arrivo in Jugoslavia: di conseguenza potrebbe vendicarsi ritornando con Mosca allontanatasi nel frattempo da Belgrado. Tuttavia, ha detto troppe cose gravi sul conto dei «socialimperialisti» russi, anche recentemente, per farle dimenticare di colpo agli albanesi. I sovietici a loro volta, anche se con estrema cautela, hanno accennato di essere disposti a dimenticare. Una presa di posizione sovietica ancora non c'è stata, o meglio non è stata resa pubblica. Si teme probabilmente una brusca risposta di Tirana, simile a quella di un anno fa quando Hoxha, di fronte alla soddisfazione del Cremlino per i suoi primi screzi con Hua, replicò: «La mano tesa dei social imperialisti non può essere presa in considerazione». Mosca però ha già mosso le sue pedine. Per primo si è fatto avanti il capo bulgaro Zhivkov: in un suo discorso a Blagojevgrad, con cui ha riaperto i contrasti con la Jugoslavia, ha fatto delle avances verso Tirana, offrendo la normalizzazione dei rapporti in una proficua collaborazione. I cecoslovacchi, i quali commerciavano con l'Albania, ovviamente su disposizioni sovietiche (per «rimanere presenti»), hanno poi offerto un ampliamento degli accordi. L'organo ufficiale vietnamita Nan Dan ha pubblicato un richiamo all'aiuto dei Paesi socialisti all'Albania «respinta brutalmente dai cinesi quando si era rifiutata di seguire la loro politica». Infine l'agenzia cubana in un commento ha lasciato intravedere un possibile approccio dell'Avana verso Tirana. Mosca, ad ogni modo, sta disponendo i suoi canali. Un contatto tramite Cuba o Vietnam sarebbe per Hoxha meno compromettente, dato l'estremismo rivoluzionario dei due Paesi. Alcune indiscrezioni però parlano pure di una offerta sovietica a Tirana di ristabilire le normali relazioni diplomatiche. C'è da chiedersi tuttavia se Mosca può aspettare molto per riassorbire l'Albania. Si tratta di una occasione troppo allettante per far ritornare l'Unione Sovietica nelle basi adriatiche, costruite dagli stessi sovietici e che Kruscev si era fatto incautamente sottrarre. Oggi, con la potente flotta russa nel Mediterraneo, quelle basi acquistano un'importanza strategica determinante. Perciò le pressioni offerte a Tirana si faranno incalzanti e, con queste, anche i contrasti fra le fazioni interne in Albania. La posta in gioco è così grossa che non pochi esperti prospettano più che un cedimento di Enver Hoxha, improbabile per causa di vecchi rancori, una sua caduta vera e propria a opera delle fazioni filosovietiche, in primo luogo quelle militari. L'esistenza bucolica e alquanto abulica dell'Albania corre il rischio di essere presto turbata anche perché, data l'importanza strategica del vuoto lasciato dai cinesi, pure le potenze occidentali si muovono per riempirlo o almeno per bloccare l'inserimento sovietico. Secondo alcune informazioni, ai margini della Conferenza dei sette di Bonn si è discusso dell'Albania. La Germania si è dichiarata subito disposta a subentrare economicamente ai cinesi, ma il suo contatto con Tirana risulta ostacolato dalla richiesta albanese per un risarcimento di due miliardi di marchi per danni di guerra, inaccettabile per il governo di Bonn. Più indicate sono risultate la Francia e l'Italia, con rapporti commerciali già avviati. Però dipende anche dalle intenzioni di Hoxha in quale misura sarà attuabile una «sostituzione» occidentale, la quale con strumenti economici potrebbe impedire l'accesso strategico dei sovietici. Il capo albanese per il momento punta soltanto sulla Grecia, con cui ha firmato un accordo commerciale (il ministro Panajatopulos è stato a Tirana con il primo volo «Olympic») e con la Turchia (dopo la manifestazione organizzata per la restituzione delle spoglie del «padre dell'Albania moderna» Fraseri da parte di Istanbul). Atleti albanesi parteciperanno anche, per la prima volta, ai prossimi Giochi Balcanici di Atene. Una minuscola diplomazia del «ping-pong» le cui conseguenze sono tuttora imprevedibili. Anche se potrebbero sconvolgere il già precario e composito assetto mediterraneo. Insediandosi nelle basi albanesi, i sovietici realizzerebbero finalmente il sogno di Pietro il Grande: accedere ai mari caldi. In più sì piazzerebbero alle spalle della Jugoslavia, potendo esercitare pressioni a tenaglia. Forse non è casuale il duro attacco bulgaro contro Belgrado per causa della Macedonia, proprio in questo momento. Qui arriviamo all'ultima incognita: perché Hoxha non cerca di uscire dall'isolamento appoggiandosi alla Jugoslavia? Il ragionamento del capo albanese può essere anche tarato da vecchi rancori, ma la sua chiusura verso Belgrado ha dei motivi precisi: egli teme l'influenza delle idee iugoslave, che sgretolerebbero la rudimentale impalcatura del suo potere centralìstico e autoritario, e teme nello stesso tempo l'impatto di un confronto aperto fra il modo di vivere e pensare remsionistico di un milione e mezzo di albanesi-jugoslavi e quello di due milioni e mezzo di albanesi. Probabilmente quella verso la Jugoslavia sarà perciò, fra le poche porte della fortezza albanese, la meglio chiusa e la più controllata. Anzitutto quando davanti a quella porta prossimamente apparirà Hua Kuo-feng in visita a Tito. Frane Barbieri